Jean–Paul Belmondo aveva 88 anni. Si è spento serenamente nella sua casa di Parigi.
Ci ha dunque lasciati il bello e dannato del cinema francese. Cominciò la professione nel 1956, grazie al cortometraggio “Molière” di Norbert Tildian. In cinquant’anni di carriera prese parte ad oltre ottanta film, lavorando con i più rinomati registi europei, da Godard a De Sica, da Truffaut a Corbucci.
Jean–Paul Belmondo raggiunse il successo nel 1960 grazie al personaggio di Michel Poiccard nella pellicola, “Fino all’ultimo respiro”, il film che sancì il sodalizio con Jean–Luc Godard.
Da quel momento divenne uno degli attori più richiesti, al pari di Alain Delon, con cui recitò nel film di Jacques Deray “Borsalino”.
Premiato con la Palma d’Oro a Cannes nel 2011 e con il Leone d’Oro a Venezia nel 2016, entrambi alla carriera, la “simpatica canaglia” del cinema francese è stato il volto della Nouvelle Vague francese; per poi intraprendere un percorso che lo portò a recitare principalmente in commedie e film d’azione. Tuttavia, nella sua carriera durata mezzo secolo, prese parte a ruoli da protagonista in importanti produzioni cinematografiche come “La Ciociara” di De Sica; “Il Clan dei Marsigliesi” di Josè Giovanni; “Mare Matto” di Renato Castellani; e “La mia droga si chiama Julie” di Francois Truffaut.
La sua ultima fatica da attore risale al 2008 nel film “Un uomo e il suo cane” di Francis Huster, dove, tuttavia aveva mostrato segni di cedimento già dal 2001. In quell’occasione difatti, mentre era impegnato nel recitare la parte di Fréderick Lemaitre nella commedia ottocentesca “Boulevard du Crime”, accusò un malore che lo costrinse ad abbandonare lo spettacolo.
Come riportato sul sito de LaRepubblica, all’epoca un cronista gli aveva rivolto la domanda se per un grande attore fosse meglio morire in scena oppure nel proprio letto. Belmondo rispose, sfoggiando una classe naturale e innata, “nel mio letto. Morire in scena è un’indelicatezza, un modo sicuro per rovinare la serata agli spettatori”.
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