L’analisi della trama e delle atmosfere che si respirano in “Alta Fedeltà”, un romanzo scritto da Nick Hornby, adattato per il grande schermo da Stephen Frears nel 2000.
Londra, sobborghi metropolitani. Camden Town; ragazze con le magliette sopra l’ombelico, capelli rasati come Demi Moore nel “Soldato Jane”, jeans larghi e scarpe basse; il tutto sulle note nuove di artisti come Alanis Morissette, Cranberries e Rage Against the Machine, sull’onda di un riavvicinamento a temi importanti come la disuguaglianza sociale. Erano gli anni Novanta. Il muro di Berlino era caduto, così come il comunismo; la mafia in Italia uccideva per le strade; i bombardamenti a Baghdad del 1991 venivano trasmessi in diretta tv; e le persone iniziavano a porsi delle domande, appena uscite dall’illusione del benessere degli anni Ottanta.
Nel romanzo “Alta Fedeltà” dello scrittore britannico Nick Hornby; pubblicato in Inghilterra nel 1995; si respira proprio quest’aria. E la stessa atmosfera fa la sua comparsa in modo ancora più immediato pochi anni dopo; quando dal libro viene tratto l’omonimo film, per la regia di Stephen Frears, con John Cusack come attore protagonista.
La trama leggera di “Alta Fedeltà”, racconta la vita di un trentacinquenne londinese disilluso e depresso. Si inserisce in un contesto storico–culturale preciso e riconoscibile; regalando così una serena e scorrevole lettura, non scevra di riflessioni esistenziali.
Il protagonista è un uomo molto cinico, che guarda al mondo e alla propria vita con sguardo ironico e malinconico; tuttavia, la consapevolezza profonda che questo ha del proprio modo di essere e le sue continue riflessioni su di sé e sulla propria esistenza lo rendono un personaggio di una certa profondità. Tutto questo mette il romanzo nella condizione di essere in perfetto equilibrio con se stesso. Mostra le vicende narrate attraverso una lente che ne ingloba ogni lato e sfumatura; il bene e il male arrivano forse a non esistere più, divenendo semplici parti di un’unica sostanza; così un personaggio che potrebbe essere non del tutto positivo, e anche piuttosto antipatico, finisce per farsi accettare così com’è, benevolmente, come fosse un nostro amico.
Questa è la magia della soggettività.
Una storia di finzione e la vita reale arrivano ad essere la stessa cosa; una vicenda raccontata attraverso gli occhi di chi la vive in quel momento, così intensamente e profondamente, arriva a somigliare ad un vero e proprio essere umano che si mette a nudo di fronte a te; e a quel punto tocca a te, essere umano, accogliere quella persona, comprenderla e accettarla. Il ché non necessariamente significa condividerne i pensieri e gli atteggiamenti, ma solo di viverla per la sua realtà.
Per darvi, però, un’idea di ciò di cui parlo, voglio proporvi un estratto del romanzo. Il protagonista si abbandona ad una riflessione intima e profonda, dopo essere stato invitato al funerale del padre della sua ex fidanzata Laura, morto ignaro della loro separazione e affezionato al ragazzo.
“Ecco, più o meno, quello che mi è successo durante il funerale: per la prima volta ho capito quanto ho paura della morte, mia o altrui, e come questo terrore mi abbia impedito di fare un’infinità di cose, tipo smettere di fumare (perché se prendi troppo sul serio la morte, o troppo poco, come ho fatto io fino a ora, non vedi che senso abbia smettere), o pensare alla mia vita, e specialmente al mio lavoro, con un’idea del futuro (idea spaventosa, perché il futuro termina con la morte).
Ma soprattutto questa paura mi ha impedito di legarmi mai veramente a qualcuno, perché se ti attacchi a una relazione, e la tua vita comincia a dipendere dalla vita della persona con cui stai, e poi quella persona muore, così come è destino di tutti, […] beh, dico, allora ti ritrovi in alto mare con una barca che fa acqua da tutte le parti, sbaglio? […] Ricordo di aver passato alcune notti, con Laura, rannicchiato contro la sua schiena, a letto, mentre lei dormiva, in preda a un immenso terrore senza nome. […] Quando di notte mi rannicchiavo contro la schiena di Laura, avevo paura perché non volevo perderla, e noi perdiamo sempre qualcuno, o qualcuno perde noi, alla fin fine. Preferisco non correre questo rischio.”
Il film, così come il romanzo, riesce a mantenere alto il pathos della narrazione intima del protagonista. Attraverso espedienti registici tradizionali come lo sguardo in macchina, interpella e coinvolge direttamente lo spettatore, senza mediazioni, rendendolo immediatamente amico e confidente di chi parla, senza tergiversazioni.
Ma veniamo alla trama, anche se solo brevemente. L’opera letteraria e quella cinematografica presentano di fatto delle differenze (come, per esempio, il cognome del protagonista) che non vale la pena elencare in questa sede. Ciò che conta è che l’atmosfera, le intenzioni e i caratteri del racconto siano gli stessi, e di questo possiamo esserne certi.
Rob è il protagonista di questa storia.
Ha un negozio di dischi in una stradina di Halloway, quartiere di Londra, che si mantiene grazie ai suoi clienti regolari e alle ordinazioni per posta di patiti della musica “che spendono una spropositata quantità di tempo cercando vecchi quarantacinque giri fuori catalogo e album introvabili”, come racconta lui stesso. In realtà tanto Rob quanto i due fedelissimi dipendenti del negozio, che ha provato più volte a licenziare e che non hanno alcuna intenzione di andar via, sono dotati di una conoscenza in ambito musicale più che enciclopedica e rientrano loro stessi in quella categoria di “patiti” ironicamente criticata dal protagonista; ma si divertono a fare gli snob, non disdegnando di cacciare i clienti del negozio che abbiano gusti musicali da loro giudicati inaccettabili.
La vita di Rob prende una strada ancora più buia quando la fidanzata Laura lo lascia.
Il racconto inizia proprio con la classifica delle cinque batoste amorose della sua vita più difficili da superare; Rob inserisce persino amori infantili pur di non far entrare l’ultima donna, la cui perdita l’ha fatto soffrire in realtà più di tutte le altre. Così decide di scoprire la verità sulle sue sfortune in amore. Inizia ad incontrare le sue precedenti fidanzate per avere spiegazioni circa la loro storia, il tutto attraverso una narrazione ironica, divertente e coinvolgente.
Tanto nel libro quanto nel film, le conversazioni quotidiane che il protagonista intrattiene con i suoi clienti o i suoi amici, si alternano a pensieri tanto improvvisi quanto profondi; come se avesse continue epifanie e rivelazioni, finendo per vivere più nei propri pensieri che nella propria vita stessa.
Insomma, la lettura e la visione di questa storia sono come una chiacchierata con un vecchio amico. Un amico ne combina di tutti i colori e pensa di avere sempre ragione; la lente ironica con cui è raccontata ci permette di goderne a pieno con quella che chiamerei una leggerezza consapevole, non mancando di stimolare in noi riflessioni esistenziali e curiosità musicali, che, a mio parere, non sono mai abbastanza.
La seguente edizione è stata pubblicata da Guanda.
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