“Animal House” oggi è considerato un cult della comicità, ma avreste mai pensato che la sua storia è nata tra i banchi di Harvard??
Stampato ancora oggi, nel corso dei decenni il Lampoon è divenuto uno dei periodici più conosciuti e apprezzati a livello mondiale, pubblicando gli scritti di illustri personaggi del giornalismo e dello spettacolo, primo su tutti William Randoph Hearst, considerato il padre del giornalismo scandalistico assieme a Joseph Pulitzer (sì, proprio il tizio del Premio).
La lungimiranza e la vena umoristica della rivista di Harvard furono di ispirazione per numerosi periodici sia a sfondo satirico che umoristico.
Uno di essi fu il “National Lampoon”, una rivista fondata nel 1970 da Douglas Kenney, Henry Beard e Robert Hoffman (tre laureandi di Harvard).
Ironizzando sulle vicende legate alle rivalità tra le varie confraternite, in breve tempo il “National Lampoon” ottenne un grande successo, raggiungendo l’apice nel 1973, quando, assieme alla rivista, uscì una parodia dell’annuario scolastico. E grazie al successo di questa edizione, nacque l’omonimo programma radiofonico condotto da una generazione di giovani talenti come Bill Murray, Harold Ramis e John Belushi.
Divertente, spigliato e decisamente sopra le righe, il programma fu un vero e proprio trionfo. L’umorismo di Murray, Ramis e Belushi fece breccia nel cuore degli studenti di Harvard, riuscendo a cogliere l’attenzione del pubblico anche al di fuori del campus universitario. Difatti, poco dopo la messa in onda della prima puntata, Ivan Reitman firmò il contratto come produttore del “National Lampoon Show”, ma non prima di averlo integrato con una clausola che gli avrebbe consentito di produrre e dirigere un adattamento cinematografico.
Un adattamento cinematografico? Di un programma radiofonico?
Ebbene si, signore e signori. Ma forse vi starete chiedendo come sia possibile una cosa del genere!
Proprio nel momento in cui sembrava che l’idea di girare un film si stesse concretizzando, molti dei talentuosi comici del Lampoon cominciarono a migrare al Saturday Night Live. Ma, per buona fortuna di Reitman, Harold Remis rifiutò categoricamente di lavorare per il Saturday Night Live (il perché resta un mistero)…
In ogni modo, nell’estate del 1975, Reitman e Remis si accordarono per la scrittura di una sceneggiatura ispirata al celebre programma radiofonico.
Tuttavia, ben presto Harold Remis si rese conto di non essere in grado di scrivere un trattamento cinematografico che rendesse giustizia al “National Lampoon Show”. Non da solo almeno. Per questo chiese di poter lavorare alla sceneggiatura assieme a Douglas Kenney, fondatore della rivista satirica e autore della famosa “Parodia dell’annuario scolastico del 1964”. L’unione delle loro menti concepì un soggetto dal titolo “Le ragazze dell’Orgia Laser”.
L’idea di base era nata quando i due sceneggiatori decisero di rispondere ad un’improbabile domanda: com’era Charles Manson quando andava a scuola?
L’opera derivante comprendeva un giovane Manson che seduceva e rapiva alcune compagne di scuola, per portarle nel deserto e, attraverso una navicella spaziale, faceva sì che tornassero indietro nel tempo, più precisamente a Dallas il 22 novembre del 1963 (giorno dell’assassinio John F. Kennedy). Remis e Kenney si resero conto che non avrebbe mai funzionato ancor prima di cominciare a scrivere la sceneggiatura.
Scritta la sceneggiatura, mancava solo il regista.
Reitman era ancora convinto che l’accordo stipulato fosse ancora valido e quindi che avrebbe diretto lui “Animal House”. Purtroppo per Reitman, la Universal non era dello stesso avviso.
All’epoca Ivan Reitman aveva all’attivo un solo film, “Cannibal Girls”, una pellicola a basso costo. Per questo la casa di produzione pensò che affidargli un progetto così ambizioso, con un ampio budget come “Animal House”, sarebbe stato troppo rischioso. Decisero quindi di affidare la regia a John Landis, che aveva riscosso ottime critiche per il film “Ridere per Ridere”, una commedia anni ’70 con Donald Sutherland. Tuttavia, prima che il futuro regista di “The Blues Brothers” firmasse il contratto, la Universal pose una pesante spada di Damocle sulla sua testa: avrebbero prodotto “Animal House” solo e soltanto se Landis fosse riuscito a convincere John Belushi ad interpretare il ruolo di Bluto. Un compito non certo facile.
A questo punto occorre fare un passo indietro.
La prima volta che Belushi aveva letto il copione ne era rimasto entusiasta e il personaggio di Bluto, un pazzo scatenato che per la maggior parte del tempo agisce facendo cose senza senso, gli era piaciuto tantissimo. Ma a una seconda rilettura si rese conto che, pur avendo un ruolo centrale nella storia, Bluto compariva pochissimo e parlava ancora meno. Belushi cominciò quindi a pretendere che la sua parte venisse rimpolpata, messa più in evidenza e, soprattutto, desiderava ardentemente che il suo personaggio fosse più presente durante le scorribande della confraternita.
Queste richieste vennero però respinte in blocco dalla Universal, costringendo così Belushi a rinunciare alla parte di Bluto.
Tuttavia, John Landis non voleva ancora darsi per vinto. Prese il primo aereo e volò a New York per convincere Belushi a partecipare al film. Doveva farlo. Belushi era fondamentale!
Il regista lo invitò nella sua camera d’albergo dove l’attore ribadì nuovamente le sue pretese per il personaggio di Bluto, ma Landis confermò la decisione della produzione. A quel punto Belushi fece una cosa degna di Jake Blues: alzò la cornetta del telefono, chiamò il servizio in camera e cominciò ad ordinare una quantità immane di cocktail di scampi, birra e margarita.
La discussione per “Animal House” tra Belushi e John Landis andò avanti ancora e ancora, forse per ore ed ore, ma una volta giunti ad un accordo decisero che si sarebbero dati appuntamento per giorno seguente per definire ulteriori dettagli. Pochi minuti dopo l’uscita di scena di Belushi, lo staff dell’hotel consegnò a John Landis una lista con su scritto tutto quello che l’attore aveva ordinato. Così, solo nella sua stanzetta, il regista rimase immerso nei cocktail di scampi e con talmente tanti litri di birra da poter dissetare una squadra di football.
Per fortuna la Universal pagò il conto… e “Animal House” si fece!
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