ANTEBELLUM – IL PASSATO NON E’ PASSATO
“Antebellum”, appena rilasciato su prime video, è il film d’esordio di Gerard Bush e Christopher Renz. Un lungo e suggestivo piano sequenza, accompagnato da una altrettanto suggestiva colonna sonora, ci introduce in una piantagione di cotone nella Louisiana durante la Guerra Civile americana. Una donna, una schiava che stava tentando la fuga, viene catturata e uccisa dagli schiavisti sotto gli occhi del marito, che nulla può dinnanzi a tale brutalità. Un’altra schiava (Janelle Monaé), che ha assistito al tentativo di fuga, viene brutalmente picchiata e marchiata a fuoco dal generale Denton (Eric Lange). In seguito subisce torture atte a farle accettare la sua sottomissione e il nuovo nome che Denton ha scelto per lei, Eden.
Poco dopo, un gruppo di nuovi schiavi viene condotto all’interno della piantagione diventando oggetto dello sguardo spietato della moglie del proprietario della piantagione (Jena Malone). La donna li passa in rassegna a uno a uno e procede anche lei con l’atto supremo di negazione dell’identità: scegliere nuovi nomi.
In questa angosciosa e soffocante situazione dalla quale sembra non esserci via di fuga, ecco che Eden – mentre si trova a letto con il generale che ogni notte abusa di lei – ode quello che pare essere lo squillo di un cellulare. Siamo ora nel XXI secolo dove Veronica (interpretata sempre da Janelle Monaé), una rinomata accademica afroamericana, viene svegliata dallo squillo del suo cellulare. È stato un sogno? Si tratta di una realtà parallela? Non vi resta che guardare il film per scoprirlo.
Horror e razzismo in “Antebellum”
Sulla scia dell’horror sociale a sfondo razziale riportato sotto i riflettori da Jordan Peele con “Scappa – Get Out” del 2017, si sono susseguite diverse pellicole di rivendicazione e riscrittura della storia degli oppressi (basti pensare al thriller “Ma” o al più recente “His House”), e “Antebellum” non fa eccezione. Ma, mentre Jordan Peele si occupa dell’ipocrisia della classe borghese agiata post–Obama e laddove “His House” va ad esplorare il dolore dei migranti africani di oggi, “Antebellum” immerge lo spettatore nell’orrore “originario”, quello vissuto da milioni di persone nelle piantagioni americane durante il periodo della schiavitù, resa possibile da una mentalità suprematista i cui germi sono ancora presenti.
“Il passato non muore mai. Non è nemmeno passato”. La frase di William Faulkner che compare all’inizio del film subito ci informa che il passato vive nel presente. E che i traumi non superati ritornano prepotentemente. Con indizi disseminati qua e là, una calzante colonna sonora, una splendida fotografia e una notevole cura dei dettagli, “Antebellum” è, a mio parere, un gioiellino nella forma e nei contenuti. Se non l’avete ancora visto correte a recuperarlo, in caso contrario potete continuare la lettura per un’analisi più approfondita delle vicende.
[DA QUI IN AVANTI SPOILER!]
È noto che la Storia abbia delle pagine oscure che spesso si decide di omettere o di provare a dimenticare. Altre volte, si prova a giustificare certi eventi appellandosi all’esistenza, nel passato, di una mentalità ovviamente diversa e si tende ad attribuire la colpa a qualcun altro, a soggetti storici ormai morti che non possono più nuocere. Se è vero che i soggetti storici erano immersi in una realtà e mentalità diverse da quelle di oggi, per cui oggi è possibile comprendere un certo modo di agire e pensare, “Antebellum” ci gioca così come con il nostro senso di sicurezza, generato dalla lontananza temporale degli eventi narrati, solo per poi dirci che in realtà ciò a cui stiamo assistendo sta succedendo proprio… nel presente. Troppo contorto? Andiamo con ordine.
Lo squillo del cellulare cui ho accennato prima ha il compito di connettere quelli che fino a quel momento sembravano due piani narrativi separati. Infatti, Eden e Veronica sono la stessa persona. Veronica viene rapita da un gruppo di suprematisti bianchi mentre si trova in quella che credeva essere un’auto Uber – una contemporanea nave negriera che conduce verso la prigionia – e portata nella piantagione vista all’inizio del film. La seconda parte del film funge dunque da prefazione alla prima. Un flashback che spiega come Veronica è finita in quello che apprendiamo essere un parco di rievocazione storica gestito da folli e viscidi individui.
E alla luce di questa scoperta, lo spettatore rivaluta le scene viste all’inizio. Le giustificazioni che, volendo, si potevano trovare per gli atteggiamenti degli schiavisti “del passato”, ormai, non reggono più, trattandosi del nostro presente.
E così la moglie del proprietario della piantagione, il cui atteggiamento si poteva giustificare con il bisogno delle donne oppresse dal patriarcato del XIX secolo di imporsi con chi era più in basso di loro – gli schiavi, appunto – ora si configura più come il capriccio di una donna bianca che sente di dover ri-affermare il suo ruolo dominante contro le rivendicazioni e i diritti ottenuti dai neri; o ancora, quello che si era presentato come un giovane soldato ingenuo, diviso tra la sua coscienza e il bisogno di mostrarsi “uomo” attraverso l’abuso sessuale di una schiava, diventa un ragazzetto che per goliardia arriva a compiere atti violenti.
Insomma, tutte le relazioni di potere e i meccanismi psicologici che scendevano in campo nel contesto dell’America schiavista, non possono ora giustificare la follia dei personaggi traslati nel presente, il cui comportamento deriva dalla pura e semplice paura di vedere il proprio ruolo dominante venire meno. Ed è per questo che Eden-Veronica diventa la vittima prediletta. La sociologa che con le sue idee e le sue parole viene concepita come più pericolosa e deve essere rieducata e ricondotta entro i confini del suo ruolo di sottomessa. E quale modo migliore della violenza, dello stupro e del processo di ri-denominazione per cancellare l’identità di un individuo?
FORZE E DEBOLEZZE DI “ANTEBELLUM”
Il colpo di scena ha un forte potere straniante sullo spettatore poiché, ripetiamolo, ci fa riconsiderare in un’ottica diversa quello che ci ha mostrato fino a quel momento, con un apparente passato–ormai–passato che invece si rivela un prepotente presente. Tuttavia, ciò che si può criticare a questa pellicola è il rischio di cadere in un meccanismo di opposizione binaria tra buoni e cattivi, in cui i cattivi coincidono, in questo caso, con i bianchi.
Ma mi permetto di puntualizzare che l’estremizzazione di certi ruoli e comportamenti è innanzitutto funzionale al genere di appartenenza del film – l’horror – e al messaggio. Ovvero rendere lo spettatore conscio dell’esistenza di queste dinamiche anche nel mondo contemporaneo e nei gesti più semplici. “Antebellum” non è un film perfetto e sicuramente è stato penalizzato dalla mancata uscita nelle sale cinematografiche. Ma è comunque molto, molto lontano dall’essere banale e scontato possedendo molti strati e chiavi interpretative.
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