Tutto quanto è perfetto a Barbieland. Ogni giorno il sole illumina la brillante città delle Barbie e ogni sera è una festa. Belle, intelligenti e gioiose, adagiate nelle loro lussuose case, le bambole si godono la compiutezza della loro esistenza.
Nella società matriarcale Barbieland tutto scorre nel benessere più assoluto.
Ogni Barbie ha il proprio ruolo che, ovviamente, svolge nella più completa spensieratezza e allegria. Barbie Presidente (Issa Rae) amministra e governa la splendente città. Barbie Dottoressa (Hari Nef) si assicura che tutti siano in perfetta salute e Barbie Scrittrice (Alexandra Shipp) scrive bellissime storie. I Ken, gli eterni compagni di Barbie hanno un unico scopo (o lavoro): “la spiaggia”.
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E mentre i Ken si impegnano nelle attività ricreative che riguardano la permanenza sulla spiaggia, la loro felicità dipende esclusivamente dalla considerazione che le Barbie decideranno di concedere loro. Invero, nella società matriarcale di Barbieland, i Ken sono felici solo quando possono godere della compagnia delle Barbie. Quindi, tutti sono felici della propria vita a Barbieland. Le Barbie svolgono gli impieghi più importanti e i Ken si impegnano con allegria a contentare le esigenze delle loro amiche. Fino a quando un giorno, Barbie Stereotipo (Margot Robbie) comincia ad avere strani pensieri.
Si sveglia con l’alito cattivo e con la cellulite e, cosa molto peggiore, è triste. Insieme al suo amico Ken (Ryan Gosling) è quindi costretta a intraprendere un viaggio nel mondo reale per tornare ad essere l’allegra Barbie Stereotipo che tutti amano. Ma a causa della loro “missione” tutto quanto cambierà a Barbieland…
Margot Robbie e Ryan Gosling sono quindi i protagonisti della pellicola diretta da Greta Gerwig e sceneggiata a quattro mani con Noah Baumbach, già regista e sceneggiatore di “Storia di un matrimonio”. I due interpreti, une delle coppie più belle viste sul grande schermo (lavorativamente parlando), si rivelano fin da subito perfettamente in parte, riuscendo ad incarnare l’anima felice e svampita della bionda bambola creata da Ruth Handler, e dell’amichevole Ken. Le loro performance infatti, così come le meravigliose scenografie create da Sarah Greenwood, sono uno dei cardini su cui si erge “Barbie”.
Invero, a livello tecnico la pellicola è ineccepibile. I colori sgargianti delle scenografie di Barbieland rispecchiano il carattere spensierato dei suoi abitanti e, trattandosi di bambole, riescono a trasmettere lo spirito giocoso delle Barbie. Persino le coreografie (si, son presenti varie coreografie), in particolare il “balletto dei Ken”, che in qualsiasi altro film potrebbero sembrare eccessivamente sfarzose, quasi “Trash”, nella pellicola di Greta Gerwig sono perfettamente contestualizzate.
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Eppure, nonostante i due autori siano ormai delle garanzie in ambito cinematografico, il punto debole di “Barbie” è proprio la sceneggiatura. L’idea di trasmettere il messaggio che le donne, al pari degli uomini, possono e hanno il diritto di aspirare a diventare tutto ciò che vogliono, è semplicemente geniale. Specialmente se tale concetto è espresso attraverso la bambola più conosciuta e stereotipata di sempre.
Difatti, “Barbie” si apre con una sequenza tanto parodistica quanto elegante.
Parafrasando la scena iniziale di “2001: Odissea nello spazio”, le Gerwig mette subito in chiaro quanto, secondo il suo punto di vista, il concetto che la donna debba svolgere il proprio dovere di casalinga, occupandosi dei figli e delle faccende domestiche, sia ormai superato. A Barbieland infatti sono le donne a ricoprire le cariche più importanti della società, dal sindaco al chirurgo alla scienziata. Mentre gli uomini si accontentano di svolgere i lavori più umili.
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Eppure, tanta genialità si smarrisce in un’intricata critica al patriarcato fin troppo marcata e ripetitiva. Quasi estenuante. Il messaggio raffinatamente velato nella prima parte del film diventa un’esplicita presa di posizione da parte della regista nella seconda parte della pellicola. La sceneggiatura, inizialmente solida e creativa, con dialoghi che lasciavano trasparire un’innocenza tanto commovente quanto ironica, inizia a scricchiolare nel momento esatto in cui Barbie e Ken mettono piede nel Mondo Reale.
Le continue ripetizioni diventano, minuto dopo minuto, una forzatura talmente evidente da neutralizzare il dinamismo funzionale proposto nella prima parte del film. E il ridicolizzare fino all’eccesso il sistema patriarcale rende inefficace sia le ottime interpretazioni di Margot Robbie e Ryan Gosling sia il messaggio finale che “Barbie” avrebbe dovuto e voluto trasmettere.
Ed è un vero peccato che un film tanto ben curato anche nei più piccoli particolari – pensiamo ad esempio come i talloni delle Barbie non toccano mai terra (proprio come quelli delle bambole) – a causa di una sceneggiatura che oserei definire scadente e trascurata, riesca addirittura ad annoiare se non a far infuriare lo spettatore.