“Them – Loro” racconta la storia degli Emory. Questi sono una famiglia afroamericana che nell’America degli anni ’50 dovrà fare i conti non solo con il razzismo, ma anche con degli spiriti maligni. Uno dei più inquietanti assumerà la forma di Blackface.
All’inizio del XIX secolo, ossia prima dell’entrata in vigore del tredicesimo emendamento redatto dal Presidente Lincoln nel 1865, la tratta degli schiavi era una pratica diffusa in tutti gli Stati Uniti. Durante tale periodo, gli afroamericani erano soggetti a sfruttamento, maltrattamenti e umiliazioni.
All’epoca, oltre alla musica e al teatro, non erano molte le forme di intrattenimento in grado di allietare il pubblico americano. Fino a quando, tra la fine degli anni ‘20 e l’inizio degli anni ‘30 dell’ottocento, Thomas “Daddy” Rice propose agli illustri spettatori del Park Teathre di New York, un tipo di spettacolo teatrale che prese il nome di Blackface.
Tali rappresentazioni venivano chiamate Minstrel Show e i protagonisti (i Minstrels), erano attori dalla pelle bianca che, per mezzo della cenere e una tinta rossa o bianca attorno alle labbra, si immedesimavano nello stereotipo dello schiavo nulla facente e ignorante. Lo scopo del Blackface quindi era quello di sbeffeggiare i comportamenti e la natura degli afroamericani. E mettere in scena parodie offensive e enfatizzando gli stereotipi razzisti legati alla figura dello schiavo.
Leggenda narra che la tradizione del Blackface nacque per caso. Difatti Daddy Rice, un attore teatrale newyorkese, concepì il suo personaggio, a seguito di un incontro casuale con uno stalliere di colore che, intento a svolgere il proprio mestiere, intonava un motivetto il cui protagonista era un personaggio di nome Jim Crow.
I Minstrel Show riscossero fin da subito il plauso del pubblico, tanto che molti attori teatrali decisero di abbandonare le commedie per cimentarsi nella Blackface. In breve tempo, tra i Minstrels si svilupparono due macchiette allegoriche: la prima, in onore del personaggio che ispirò Daddy Rice, prese il nome di Jim Crow una caricatura dispregiativa dello schiavo di piantagione, rozzo, ignorante e vestito solo di stracci; e Zip Coon, che rappresentava il vanitoso schiavo di città che si pavoneggiava come un playboy.
Per molti anni il Blackface fu la principale fonte di divertimento per il popolo statunitense. Tanto da essere tutt’oggi associato al razzismo e all’estremismo dell’uomo bianco, divenendo simbolo di odio e discriminazione.
Come abbiamo scritto nell’articolo “Them – Loro: Una storia di razzismo e violenza nell’America degli anni ‘50”, nella serie il Maligno si manifesterà assumendo molteplici forme per sconvolgere le volubili menti dei membri della famiglia Emory: dal misterioso Uomo col Cappello Nero ad una scolaretta che stringe amicizia con la maggiore delle figlie di Lucky e Henry.
Quest’ultimo, stoico capofamiglia nonché veterano di guerra, sarà assoggettato proprio da Blackface, una delle presenze più conturbanti e sinistre dell’intera stagione.
In un primo momento, essa comparirà al Signor Emory in un negozio di elettronica, per poi fare la sua apparizione durante una festa nella ditta dove Henry risulta essere l’unico colletto bianco dalla pelle nera. In un ambiente dominato da bianchi, in cui le uniche persone afro sono i camerieri e i musicisti della band d’intrattenimento, Blackface improvviserà una danza in pieno stile Minstrel Show, senza mai distogliere gli occhi, di un marmoreo nero ipnotizzante, dalla figura pietrificata di Henry. Da quel momento comincia il suo tormento. Un tormento dettato dalla rabbia e dall’indignazione verso coloro che, per secoli hanno calpestato e discriminato il suo popolo. Quella di Blackface difatti, non è una presenza amichevole. Essa, con il suo aspetto ghignante e minaccioso, rappresenta la collera e il desiderio di ritorsione che, in molte occasioni, Henry è costretto a reprimere.
Ed è proprio la rabbia il perno su cui la presenza di Blackface farà breccia nella mente di Henry, trasformando l’odio in materia e i ricordi in vendetta.
Come un angelo della morte assetato di ribellione, istiga, attraverso i ricordi del suo popolo nelle piantagioni di cotone, nella psiche del signor Emory quell’astio che per troppo tempo è stato taciuto. La repressione espressa così a lungo ha turbato il suo animo rigoroso. Questo lo ha spinto a braccare l’uomo bianco, quel veleno che per anni è stato costretto ad ingoiare.
Accecato dall’ira, Henry sfogherà tutta la sua collera puntando la pistola verso colui che, pochi attimi prima, lo aveva ridicolizzato, offeso, mutilato, e appeso ad una corda come un animale da sopprimere, minacciando di riservare lo stesso trattamento alle sue figlie.
E sarà a seguito della sua ribellione, che Blackface farà rivivere ad Henry il trauma vissuto da sua moglie Lucky, il giorno in cui perse il suo bambino, ucciso dall’odio bianco, davanti ai suoi occhi. E attraverso il senso di colpa Blackface alimenterà l’odio di Henry verso quell’uomo chiamato “padrone”. Tanto da spingerlo ad assalire chiunque voglia far del male a lui e alla sua famiglia.
Ma il signor Emory cederà all’ascendente che Blackface ha sulla sua psiche?
Stanco di lottare e sopravvivere in un mondo pieno di odio e astio causati del colore della pelle, si ribellerà al demone che ha offuscato il suo giudizio.
E come perfetta metafora dell’avversione che in secoli di storia ha intaccato menti e corpi innocenti, il signor Emory smaschererà il vero colpevole: l’uomo bianco.
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