Lasciatemelo dire: Quentin Tarantino adorerebbe “Blue Eye Samurai”! Violenta, sensuale e assolutamente folle, la serie ideata dal duo composto da Michael Green e Amber Noizumi, conferma l’alta qualità dei prodotti di animazione Netflix. Che ci ha abituati a serie come “Baki”, Beastars” e “Violet Evergarden”.
Questa volta però Netflix abbandona i canoni dettati dai manga asiatici per concentrarsi su una storia del tutto originale ideata dalla mente che ha consegnato al cinema contemporaneo una perla come “Logan – The Wolverine” (Michael Green). Nonostante la forte influenza di un cult come “Kill Bill”, che non manca di omaggiare in più di un’occasione, nel raccontare il cammino verso la propria vendetta personale di Mizu, un’abile samurai dagli occhi azzurri, “Blue Eye Samurai” si presenta come un prodotto innovativo dal punto di vista dell’animazione e piuttosto accurato nella storicità del dettaglio.
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Ambientata nel Giappone del Periodo Edo, e quindi nella seconda metà del XVII secolo, la serie d’animazione racconta la storia di Mizu, una giovane e determinata combattente nata dalla violenza subita dalla madre da uno degli unici quattro uomini bianchi residenti in Giappone. All’alba della legge che bandì dal paese nipponico ogni straniero, compresi i missionari di fede cristiana.
La narrazione si sviluppa tra il presente e il passato di una guerriera costretta a crescere celando la sua natura. Fingendosi un maschio per non essere stanata dai suoi aguzzini, il cui scopo, esattamente come la Sposa di Tarantino, è quello della vendetta.
Attraverso un’animazione chiara e ben definita, Green e Noizumi riescono a ricreare un Giappone dominato dagli shogun (personalità con rilevanza sia politica che militare), dai samurai e dalle tradizioni, in un’ambientazione che tanto ricorda i capolavori di un maestro come Akira Kurosawa.
Infatti, in “Blue Eye Samurai” si percepisce fin dalle prime sequenze il rispetto per un’arte antica quanto il Giappone che trova le sue origini nelle tradizioni più remote di un paese tanto affascinante. Grazie ad una sceneggiatura che, nonostante alcuni piccoli difetti, riesce ad enfatizzare la spettacolarizzazione dei duelli raccontando l’arcaico cammino per diventare un Ronin senza trascurare la spiritualità legata al mondo delle arti marziali.
Oltre ad essere un’ottima serie TV sulle arti marziali e sulla vendetta, “Blue Eye Samurai” può essere considerata un documento in grado di raccontare la storia del Giappone senza rinunciare a trattare argomenti tanto attuali come il bullismo, il razzismo e l’emancipazione femminile.
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Ogni personaggio difatti riesce ad incarnare la volontà degli autori di narrare una vicenda tanto adrenalinica quanto profonda. In grado di mescolare la storia del paese nipponico a concetti fortemente delicati, senza rinunciare alla componente sanguinolenta.
Attraverso il personaggio di Fowler, oggetto della vendetta di Mizu, Green e Noizumi ci illustrano il colonialismo dell’uomo bianco. Per mezzo del traffico di armi e dell’indottrinamento della cultura cristiana. Mentre la principessa Akemi (a mio avviso, uno dei migliori personaggi della serie), una ragazza fragile ma intelligente se non astuta, rappresenta una forte quanto velata ed elegante critica al potere del patriarcato.
Il tutto contornato da battaglie mozzafiato perfettamente rappresentate da un’animazione ineccepibile. Ed anche se la sceneggiatura a tratti scricchiola, accelerando (e quindi tralasciando) il cammino di evoluzione e presa di coscienza di alcuni personaggi, e inserendo alcune scene di sesso mal raffigurate e inutili ai fini della trama, “Blue Eye Samurai” offre un’interessante punto di vista sulla tradizione popolare giapponese.
Difatti, oltre ad alcuni dei migliori scontri a suon di katana e arti marziali della storia dell’animazione, vedi la sfida tra Mizu e le Quattro Zanne, i quattro sicari a servizio di Fowler, “Blue Eye Samurai” riesce a dedicare ampio spazio alla spiritualità e alle leggende del paese del Sol Levante.
Avvincente, storicamente accurata e visivamente spettacolare, “Blue Eye Samurai” si presenta quindi come uno dei prodotti d’animazione non solo di Netflix ma di tutto il panorama seriale contemporaneo. Ma il cammino di Mizu verso la vendetta non è che all’inizio, non ci resta quindi che attendere (con somma trepidazione) la seconda stagione.