La storia di Brenda Ann Spencer, la sedicenne che odiava i lunedì.
“I don’t like mondays” non è certo la più famosa delle canzoni. Tuttavia è il più grande successo dei Boomtown Rats, un gruppo rock irlandese capitanato da Bob Geldof. Il brano è sicuramente orecchiabile, il ritmo martellante e l’alternanza tra la voce di Geldof e il coro rendono “I don’t like mondays” un successo ancora oggi molto apprezzato.
Apparentemente, il brano sembra parlare di un uomo che, svegliatosi un lunedì mattina, deve fare i conti con i postumi di una brutta sbronza presa durante il fine settimana. Ma la verità che si cela dietro a “I don’t lile mondays” è molto più agghiacciante.
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Difatti, nonostante il ritmo movimentato e decisamente molto allegro, il leader dei Boomtown Rats, assieme al tastierista Johnnie Fingers, scrisse il testo della canzone dopo aver appreso la notizia di un terribile fatto di cronaca nera avvenuto a San Diego (California), mentre la band si trovava in America per tour promozionale. Ma prima di narrarvi la storia che ispirò la canzone, dobbiamo fare un piccolo passo indietro.
L’anno è il 1978, e l’America del Presidente Jimmy Carter era ancora scioccata dal suicidio di massa di Jonestown, in cui, su ordine del reverendo Jim Jones, una delle figure più controverse del XX secolo, si tolsero la vita ben 913 membri di una setta religiosa, tra cui 304 erano bambini.
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E mentre al cinema Christopher Reeve salvava il mondo indossando il costume di Superman, in un piccolo appartamento di San Diego, un ragazzina di appena sedici anni, si apprestava a scartare il suo regalo di Natale, con la speranza di trovare la radio che aveva chiesto al padre.
Ma quello che si trovò di fronte agli occhi fu un fucile Ruger calibro 10/22, lo stesso dato in dotazione ai soldati israeliani durante la guerra contro la Palestina negli anni ’60, con annessa una confezione contenente 500 pallottole. Certo, la ragazzina aveva mostrato più volte interesse verso le armi da fuoco e, in più di un’occasione, durante i pomeriggi passati al poligono con suo padre, aveva dimostrato di possedere una buona mira. Ma mai si sarebbe aspettata di ricevere un simile regalo.
Capelli rossi, sguardo perso nel vuoto dietro alle grandi lenti dei suoi occhiali da vista. Viso lentigginoso ma comunque di bell’aspetto e corporatura minuta, Brenda Ann Spencer non era certo la ragazza più popolare della scuola, anzi.
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Solitaria, appassionata di armi da fuoco e di casi di cronaca nera e tendente al suicidio, dopo che la madre aveva rinunciato all’affidamento, la giovane fu costretta a crescere assieme al padre alcolizzato. Con il quale condivideva la camera da letto.
O meglio, un materasso sudicio, piazzato al centro di un soggiorno il cui pavimento era colmo di bottiglie vuote di whisky, in una fatiscente e minuscola casa. E quando si trovò tra le mani quel fucile, Brenda interpretò il gesto del padre come un invito a togliersi la vita. Cosa che ovviamente non fece.
Nonostante mostrasse capacità intellettive molto sviluppate, a scuola non si impegnava affatto. Spesso in classe si estraniava non prestando
attenzione alla spiegazione dei professori. Ancor più di frequente, saltava le lezioni per rimanere a casa a sparare ai poveri e indifesi uccellini con la sua pistola ad aria compressa.
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Ma quel lunedì 29 gennaio del 1979, decise di superare sé stessa. Come consuetudine, saltò la scuola e, una vota trovatasi sola in casa, piazzò il materasso di fronte alla finestra del soggiorno, imbracciò il fucile con tanto di cartucce, e iniziò a scrutare il panorama di fronte a lei, in attesa di trovare il bersaglio perfetto. Fino a quando il suo sguardo non incrociò la scuola elementare Cleveland, che si trovava dall’altro lato della strada.
Quei ragazzini erano la preda ideale per un cecchino come Brenda Ann Spencer. Un bersaglio in movimento che ignorava totalmente la presenza di un cacciatore pronto a porre fine alla sua esistenza. I primi colpi tuttavia non andarono a segno. Tanto che alcuni bambini scambiarono quei botti per dei petardi.
Ma ci vollero pochi minuti prima che i presenti sul piazzale della Cleveland Elementary School si rendessero conto che quelli non erano degli innocui petardi scoppiati in lontananza bensì degli spari rivolti proprio verso di loro. E in pochi secondi il panico dilagò.
Da dove provenivano quegli spari? E chi poteva essere l’artefice di una simile crudeltà?
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I genitori ancora presenti tentarono di mettere al riparo i bambini che, colti dalla paura di perdere la vita, cominciarono a correre in ogni direzione, confusi e spaventati. Senza avere la più pallida idea di cosa fare. Ma ogni sforzo sembrava vano.
Dalla sua postazione nascosta, Brenda riuscì a colpire otto piccoli ragazzini, ferendone uno gravemente. Non appena l’inferno fu cessato, Cam Miller, di nove anni, venne ricoverato d’urgenza in ospedale e, dopo svariate ore sotto i ferri, i chirurghi riuscirono a rimediare ai danni causati dalla pallottola che gli aveva attraversato il corpo, senza però colpire organi vitali.
Gli altri sette bambini colpiti da Brenda, per fortuna, se la cavarono con ferite tutto sommato non gravi. Una sorte decisamente più infausta toccò invece al preside Burton Wragg, che venne colpito al petto. E a Michael Suchar, custode della scuola ed ex militare che, nel tentativo di proteggere alcuni ragazzini, fu colpito mortalmente. E al giovane agente Robert Robb (che fortunatamente sopravvisse), raggiunto da una fucilata alla scapola mentre cercava di soccorrere le due vittime.
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Occorse l’intervento della S.W.A.T. per porre fine alla furia omicida di Brenda Ann Spencer. Una volta localizzato il cecchino, gli agenti le bloccarono la visuale utilizzando un grosso cassone dell’immondizia. Ma rimasero tuttavia basiti quando si resero conto che il killer che aveva tenuto sotto scacco un’intera città e col fiato sospeso per ore ed ore intere gli Stati Uniti d’America, altri non era che una ragazzina minuta e dai tratti tanto angelici.
Imbracciato il fucile, Brenda chiuse a chiave la porta di casa con l’arma puntata verso di essa. Minacciando di uccidere chiunque fosse entrato. Tuttavia, mentre i poliziotti tentavano invano di irrompere nell’abitazione e farla ragionare, incredibilmente la giovane liceale trovò il tempo di rispondere ad una telefonata.
All’altro capo dell’apparecchio era Gus Stevens, un cronista del San Diego Evening Tribune che, nella speranza di mettersi in contatto con qualche vicino e raccogliere informazioni sul massacro aveva preso l’elenco telefonico e cominciato a chiamare tutti i numeri delle case del quartiere.
Fortuna volle che il primo numero che chiamò fu proprio quello di casa Spencer. E quando il giornalista chiese a Brenda il motivo del suo folle gesto la risposta della ragazzina fu semplicemente: “perché odio i lunedì e volevo ravvivare un po’ la giornata”.
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La conversazione con Stevens non durò molto. Ma abbastanza per far ragionare Brenda, che decise di negoziare con i poliziotti. Fortunatamente, alla fine Brenda decise di arrendersi in cambio… di un menù di Burger King. In fin dei conti, stiamo pur sempre parlando di una sedicenne.
Brenda Ann Spencer venne condannata ad una duplice pena, per duplice omicidio e lesioni con arma da fuoco. Pena che andava dai 25 anni fino all’ergastolo. In tribunale asserì di aver agito sotto l’effetto di alcol e droghe. In particolare di PCP, una sostanza che, tra le altre cose, causa allucinazioni. Ma a poco servirono tali affermazioni. Oggi Brenda ha 62 anni e, nonostante abbia fatto richiesta per la libertà condizionata per ben cinque volte, sta attualmente scontando l’ergastolo al California Institution for Women. E, sebbene sia consapevole del folle gesto che ha compiuto, non ha mai mostrato nessun rimorso per ciò che ha fatto.