“Sono fatti che leggo sui giornali e mischio con ricordi dell’infanzia e citazioni letterarie alte per creare dei contrasti. È facile dire “la guerra è brutta”, ma con altre parole ottieni un altro effetto. La mia è una “patchanka” di citazioni e riferimenti.” (Andrea Laffranchi, “La rabbia di Caparezza”, Corriere della Sera, 17 marzo 2008.)
Anno 2003. Caparezza fa uscire Fuori dal Tunnel, facendosi eternamente ricordare come il cantante di “Sono fuori dal tunnel-le-le-le del divertimento-o-o-o”. Stesso anno: una bambina di soli 5 anni lo ascoltava come una cantilena non capendo neanche una parola di ciò che quello strano cantante con la testa riccia riccia stesse dicendo.
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Ebbene, quella bambina ora di anni ne ha 22 e di tempo per capire cosa quella canzone significasse ne ha impiegato abbastanza per arrivare a stabilire che, in definitiva, Caparezza sia uno dei suoi cantanti annoverati nel suo sacro Olimpo delle preferenze musicali. Non starò qui a raccontarvi la storia di un mostro che, a mio parere, ha dato uno schiaffo simbolico, con le proprie canzoni satiriche e autoironiche, a moralisti, ipocriti e qualunquisti, rivoluzionando in piccolo il concetto di musica italiana.
Vi parlerò dell’aspetto più interessante della sua musica. Ascoltare una canzone di Caparezza non è e non può essere un semplice “ascoltare una canzone” e basta.
Ascoltare una canzone di Caparezza significa entrare nel cuore di una storia e, come tutte le storie, ha bisogno di essere analizzata un po’ come quando a scuola ci veniva chiesto, come traccia del tema, di svolgere l’analisi del testo di una poesia. Per cosa è noto il Capa? Per l’accuratezza nella scelta di un tema, un concept che fa da filo conduttore per tutto l’album. L’esempio lampante è sicuramente Museica: come lui stesso ha dichiarato in una intervista che ha accompagnato l’uscita dell’album, l’idea era una ipotetica visita all’interno di un museo, dove il primo e l’ultimo pezzo fanno da “bigliettaio” e “guardia giurata” che accompagnano il visitatore dall’entrata all’uscita di questo museo che ospita non quadri ma pezzi musicali su opere d’arte.
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Capa qui, come il Vasari nella scrittura di una delle più importanti opere artistico-letterarie, le Vite degli artisti, si è lasciato ispirare da alcune opere d’arte, trasformandole in musica. L’ho sempre trovata un’operazione oltre che originale anche squisitamente colta. Ma la cultura pop, la letteratura, le arti… sono sempre state parte del suo mondo. Ed è proprio questo l’aspetto interessante di cui parlavo all’inizio: tutta la sua produzione musicale è intrisa di citazioni culturali lanciate così, in modo più o meno evidente, esplicito, altre sono più sapientemente mascherate dalla metrica e dalla ritmica che capirle al volo non è sempre un’operazione immediata. E dunque ecco qui 10 canzoni di Caparezza contenenti citazioni provenienti dai più disparati universi culturali e letterari.
1.
Mi piace che mi grandini sul viso la fitta sassaiola dell’ingiuria, l’agguanto solo per sentirmi vivo al guscio della mia capigliatura. [La fitta sassaiola dell’ingiuria –?!(2000)]
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L’iter narrativo di questa canzone, a mio modestissimo parere, è davvero interessante. Il verso sopra citato, che ne La fitta sassaiola dell’ingiuria, racconto rappato di come Caparezza abbia fatto degli insulti una bandiera e un vanto, risuona come il ritornello, è stato ripreso e mantenuto intatto da “Confessioni di un malandrino” di Angelo Branduardi, cantante sempre molto apprezzato da Caparezza per la sua capacità di essersi imposto nel pop italiano con un genere lontano da esso, ovvero la ballata e il madrigale di area celtica e britannica che richiamano le atmosfere e i colori del nord Europa. A sua volta le Confessioni non sono altro che la riscrittura e trasposizione in musica della nota poesia del russo Esenin, “Confessioni di un teppista”.
2.
Chi vuol mandarmi a cagare deve gridare: “Dagli all’untore!” [Dagli all’untore – Verità supposte(2003)]
«…“l’untore! dagli, dagli, dagli all’untore!”
“Chi? Io! Ah bugiarda strega! Taci lì” gridò Renzo».
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Così gridava la vecchia che accusava il povero Renzo, che chiedeva semplicemente le indicazioni per il lazzaretto al fine di raggiungere la sua amata Lucia, di essere un untore, ovvero coloro che durante la peste erano creduti diffusori del morbo; ovviamente stiamo parlando del capitolo 33 de “I promessi sposi” del Manzoni. E così Capa riprende queste grida in “Dagli all’untore”, sciorinando una critica dove sembra lui stesso essere dalla parte di questi poveri calunniati.
3.
“Ma sappi che se mi provocherai sono guai/Dottor Jekyll diventa Mr. Hyde” [La mia parte intollerante – Habemus Capa (2006)]
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Al liceo ci siamo sentiti un po’ tutti, durante l’adolescenza, come il ragazzino protagonista de La mia parte intollerante: alla ricerca della nostra identità, spesso non accettati dai nostri coetanei per ragioni a noi sconosciute. Esternamente mite, il ragazzino non riesce a capacitarsi del perché dentro di sé provi una sorta di ribrezzo nei confronti dei suoi coetanei così superficiali e mediocri. E qui Capa paragona questa doppia natura a quella narrata da Stevenson ne “Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde”, nel quale il protagonista (ll Dr. Jekyll) ha un corrispettivo malvagio (Mr. Hyde) portato alla luce da un siero di sua produzione.
4.
Scomunicammo in nome di Dio/un libro di Dan Brown sul priorato di Sion [Non mettere le mani in tasca – Le dimensioni del mio Caos (2008)]
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Come si vedrà in seguito in Prisoner 709, in particolare nel brano “Confusianesimo”, Caparezza dimostra fin da subito un atteggiamento scettico ma allo stesso tempo polivalente sulla Chiesa e la fede in generale. “Non mettere le mani in tasca” è una presa di posizione ben precisa di Caparezza in merito al tema della censura, politica o religiosa che sia. Infatti il gesto di mettere le mani in tasca, come è comprensibile, risulta essere una forma di protesta e, come lui stesso ipotizza, l’unica forma di protesta possibile che rimarrebbe all’uomo qualora venisse perennemente attuata la censura.
La citazione, non a caso, porta all’attenzione pubblica la polemica di due anni prima in merito alla proposta di censura, da parte dell’allora papa Ratzinger, del famoso libro di Dan Brown “Il codice Da Vinci”, questo perché Brown aveva rielaborato le teorie intorno al famoso priorato di Sion, che all’interno del libro stesso gioca il ruolo di associazione di stampo quasi massonico il cui compito (sempre nel libro) sarebbe stato quello di proteggere la verità e la discendenza di Gesù Cristo.
5.
E pensare che per Dante questo era il “bel paese là dove ‘l sì sona” [Goodbye Malinconia – Il sogno eretico (2011)]
Un altro grande autore largamente usato all’interno della vasta produzione musicale del Capa: il Sommo Poeta messer Dante Alighieri. In “Goodbye Malinconia” (cantata col frontman degli Spandau Ballet, Tony Hadley) si affronta il tema dei tanti italiani che a causa della crisi sono fuggiti dal Bel Paese e se ne sono andati, ad esempio, a Londra. Il titolo gioca sulla parola Malinconia che qui, oltre ad assumere il senso proprio del termine, viene usato in senso di Stato italiano. È chiaramente la fotografia di un’epoca. Ma cosa c’entra Dante in tutto ciò? La citazione è ripresa dal XXXIII canto dell’Inferno: con quel verso Dante parlava dell’Italia, così paragonata per il suo volgare in modo analogo alla Francia del nord, dove si parlava la lingua d’oïl, e della Provenza, dove si parlava quella d’oc (oïl e oc sono i due avverbi che in quelle lingue si usano per dire «sì»).
6.
Vedo circhi ma non vedo pane, dillo a Giovenale. [Giotto Beat – Museica (2014)]
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Lo squillante ye ye che ricorda “Il ballo del mattone” di Rita Pavone, beat generation e il boom economico degli anni ’60: sono queste le suggestioni di “Giotto Beat”, ispirato al quadro Coretti di Giotto, dove più che in altri risiede l’idea della prospettiva, che in questa canzone assume il doppio valore di punto di vista e speranza per il futuro. In questo contesto la citazione tratta dalla Satira X di Giovenale, «[…] [populus] duas tantum res anxius optat panem et circenses» viene rielaborata in un astuto gioco di parole e posta come critica alla crisi dei giorni d’oggi contrapposta, appunto, al benessere degli anni ’60.
7.
Come un amico di penna/dove torniamo bambini/come in un libro di Pennac [China Town – Museica (2014)]
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“China Town”, un’ode alla riscoperta della scrittura a mano, alla lentezza, allo sprone di raggiungere una propria destinazione; oltre a presentare un riferimento neanche tanto velato alla bomba scoppiata durante la maratona di Boston del 2013, Capa rende omaggio al papà di “Abbaiare stanca“, Daniel Pennac, e con un abile gioco di parole, oltre a citare Signori bambini, presenta la peculiarità tipica di Pennac, ovvero il suo essere uno scrittore soprattutto rivolto ai più piccoli. Piccola nota di testo: questa è la mia canzone preferita in assoluto di Caparezza, forse perché insieme a “Una chiave” (2017) racchiude l’anima più intimistica e poetica del suo modo di fare rap.
8.
Non so voi, io vado a farmi una religione come Tolstoj [Confusianesimo (Il conforto – Ragione o Religione) – Prisoner 709 (2017)]
Questa è un’altra di quelle citazioni sottili, decisamente colte e non immediate. “Confusianesimo”, come dice Capa stesso, è la rappresentazione del suo scetticismo nei confronti della fede in generale e una riflessione sul fatto che spesso sia, invece, proprio lo strumento di conforto dell’uomo (non a caso è anche il sottotitolo dato alla canzone), come lo è stato nel corso della storia. Il suo scetticismo è così radicato al punto di voler imitare il noto scrittore russo Lev Tolstoj che, dopo avere formulato approfonditi studi sul Cristianesimo, idealizzò un culto che porta il suo nome, il Tolstoismo, di cui La mia fede, appunto, ne è la teorizzazione.
9.
Nei palazzetti pazzeschi sarò Palazzeschi “Lasciatemi divertire” [Il testo che avrei voluto scrivere (La lettera – Romanzo o biografia) – Prisoner 709 (2017)]
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“Il testo che avrei voluto scrivere”, insieme a “Larsen”, è il pezzo che meglio riassume il periodo di confusione e mancanza di ispirazione provato da Caparezza tra il 2014, anno di “Museica”, e il 2017, anno in cui ha partorito “Prisoner 709”. Questo testo in particolare risulta densissimo di riferimenti, quasi a voler scopiazzare un po’ da tutti per non prendere effettivamente da nessuno. Vuole strafare, e si vuole divertire ai concerti nei palazzetti. Questo tipo di euforia ha evocato in Capa le istanze del Futurismo, in particolare questa poesia, “E lasciatemi divertire”, di Aldo Palazzeschi, ode alla libertà di espressione e all’agire, in pieno spirito futurista e reazionario.
10.
E “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” fatte di pixel [L’Infinito (La Finestra: persone o programmi) – Prisoner 709(2017)]
Canzone complessa e dai ritmi che rievocano atmosfere robotiche e digitali, “L’Infinito” di Caparezza è sicuramente un brano provocatorio, a cominciare dal titolo stesso che riprende l’omonima poesia di Leopardi. Il titolo e anche il conseguente verso “(e) nel pensier mi fingo” non sono scelti a caso: Caparezza costruisce tutto il testo sull’ipotesi che la realtà che stiamo vivendo non sia reale ma una realtà simulata, come afferma in una intervista l’imprenditore Elon Musk.
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Anche se effettivamente Caparezza stesso abbia dichiarato di non essere pienamente d’accordo con questa teoria, si è comunque divertito a costruirci un testo dove, nel corso della narrazione il flow crea un’ambientazione quasi distopica degna dei migliori videogiochi. In questo brano anche le citazioni fioccano in modo cospicuo, ma tutte ritoccate proprio per portare l’ascoltatore ad uno stato di confusione tale da chiedersi “ma quello che sto sentendo è vero o no?”. La citazione in questione è una semi citazione della poesia Soldati di Ungaretti.