Divertente. Ironico. Profondo. “Cattiverie a domicilio” riesce a mescolare intrattenimento e riflessione.
Ammettiamolo. Gli anni ’20 hanno il loro fascino. E potrebbero sembrare ancor più affascinanti se si pensa alle tradizioni, all’eleganza e al linguaggio che all’epoca era diffuso nell’Inghilterra del Primo Dopoguerra. L’ora del tea, le partite a bridge e quel modo di parlare tanto raffinato quanto influenzato da un perbenismo obbligatorio.
Ed è proprio nel linguaggio e nel perbenismo che trova le radici la brillante sceneggiatura di “Cattiverie a domicilio”, pellicola diretta da Thea Sharrock, già regista di “Io prima di te”.
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Ambientata nell’Inghilterra del 1922, la trama si ispira ad un vero fatto di cronaca. Racconta le vicende legate a Edith Swan (Olivia Colman), una zitella timorata di Dio che vive con un padre tirannico e una madre succube. La sua vita subisce un brusco cambiamento quando, improvvisamente, comincia a ricevere delle strane lettere piene di insulti, parolacce e profanità. Il padre, così come la maggior parte della comunità di Littlehampton, punta il dito contro Rose Gooding (Jessie Buckley), la vicina di casa di Edith, proveniente dall’Irlanda e con una lingua tanto tagliente quanto volgare.
Così si delinea quello che assume i connotati di un giallo decisamente atipico, scritto come una Black Comedy ma sviluppato come un thriller intrigante e divertente allo stesso tempo. C’è il mistero, un colpevole sfuggente che continua a mietere vittime ma non c’è nessun omicidio. E, sinceramente, non serve. L’arcano enigma delle lettere diffamatorie, che lentamente dilaga in tutta la cittadina di Littlehampton, è una storia abbastanza interessante da riuscire a coinvolgere e appassionare senza l’ausilio di un cadavere.
E gran parte del merito va attribuito, senza ombra di dubbio, alle due protagoniste. Per quanto Thimothy Spall dia vita ad un uomo odioso, nonché un padre e un marito dispotico colmo di rancore e risentimento, e Anjana Vasan impersoni una poliziotta determinata e intelligente, Olivia Colman e Jessie Buckley riescono a mettere in ombra tutti gli altri personaggi. Entrambe sfoggiano una mimica facciale in grado di far trasparire ogni singola emozione delle due donne. Dal senso di oppressione provato da Edith al più grande timore di Rose: perdere sua figlia.
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Ma “Cattiverie a domicilio” sarebbe stato altrettanto gradevole anche se non ci fossero state Olivia Colman e Jessie Buckley? La risposta è assolutamente sì.
Per quanto le due interpreti siano state formidabili nel dar vita a due donne agli antipodi, è la sceneggiatura il cuore pulsante della pellicola di Thea Sharrock. Scritta in maniera irriverente ma profonda, dietro a tutte le imprecazioni e le parolacce, la pellicola cela una morale tanto importante quanto finemente rappresentata. Invero, “Cattiverie a domicilio” lascia che siano le immagini e la storia a far trasparire la critica alla società patriarcale. Una critica che ormai è tanto cara ai moderni cineasti.
Tuttavia, c’è qualcosa di più in “Cattiverie a domicilio”. Difatti, ad essere messi sotto accusa, oltre al sistema patriarcale che vigeva negli anni ’20 dello scorso secolo tanto quanto in quelli del nuovo millennio, anche se in maniera differente, sono il perbenismo, l’ipocrisia e i pregiudizi. Tre aspetti del carattere umano che spesso vanno di pari passo.
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Attraverso il mistero delle lettere diffamatorie, Thea Sharrock sviluppa una trama che porta alla luce tutto il disprezzo e il risentimento che un essere umano è in grado di covare. Ma, soprattutto, è contro la gravità della violenza domestica che il film punta il dito, e sugli effetti collaterali che anni di maltrattamenti, sia fisici che mentali, possono avere sulle persone. Per tutti questi motivi “Cattiverie a domicilio” è una pellicola che ha il grande pregio di riuscire a divertire e, allo stesso tempo di far riflettere. Perché la violenza, sotto ogni sua forma, è un atto che va denunciato prima che possa causare danni, fisici quanto mentali, irreparabili.
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