Come abbiamo già spiegato nell’articolo “Tempi Moderni – L’ultima apparizione di Charlot e altre curiosità”, Charlie Chaplin era un perfezionista. Fin dal 1914 difatti, l’interprete di Charlot scrisse, diresse ed interpretò molti dei suoi film, e dopo la fondazione dei Chaplin Studios di Hollywood acquisì la possibilità di produrre come meglio credeva le sue pellicole. Ma per soddisfare pienamente la sua creatività, il suo genio nutriva il bisogno di realizzare personalmente le melodie che avrebbero reso le sue opere indimenticabili.

Quando elaborava un’idea, Chaplin immaginava ogni minimo particolare del film che avrebbe girato. Per tal motivo, in quanto regista, in molte occasioni, prima dell’inizio delle riprese interpretava, di fronte al cast, ogni ruolo in modo che ogni attore capisse cosa stesse cercando.
Chaplin, difatti, era così tanto meticoloso nel suo lavoro che pretendeva che ogni nota rispecchiasse in maniera impeccabile l’azione che si stava compiendo.
Era necessario che la colonna sonora e ogni effetto sonoro esprimesse tutto quel che la scena richiedeva: frenesia o serenità, tristezza o rabbia. Tutto quello che un determinato fotogramma doveva esprimere era amplificato dalla melodia. E in mancanza della giusta melodia, la scena peccava di importanza.

L’orchestra, formata da 64 elementi, aveva così il compito di eseguire non solo la creatività quasi maniacale di Charlie Chaplin, ma anche la sapiente direzione di tre esperti nel settore: il direttore d’orchestra e compositore Alfred Newman, l’arrangiatore Edward Powell, e il compositore David Raksin.
Chaplin, nel suo mestiere aveva tante idee e tanti pregi, ma non sapeva trascrivere le note, e di conseguenza, le sue idee musicali su carta. Cosicché dovette affidarsi alle loro sapienti capacità.
Carpite le idee di quell’ometto geniale qual era Chaplin, diressero l’orchestra con lo scopo di sincronizzare la melodia con gli attori e le loro azioni. Difatti, in “Tempi Moderni” le note avevano il compito di imitare il preciso movimento o situazione di ogni singolo elemento in scena, che fosse un macchinario in una fabbrica, oppure un personaggio.
La musica che accompagna la Monella, per esempio, è veloce ed energica e sta simboleggiare l’esuberanza e la vitalità della giovane interpretata da Paulette Goddard. Al contrario, il tema che introduce il padre della ragazza, disoccupato, stanco e avvilito, è lento e demoralizzante.
.Un altro esempio è il motivo che accompagna Charlot a seguito del suo esaurimento nervoso. Una volta uscito dalla clinica, mentre cammina tranquillamente per strada, Chaplin viene seguito da una musichetta che trasmette serenità. Ma lentamente la colonna sonora si fa sempre più alta e incalzante, fino a raggiungere il massimo del volume e della frenesia durante la manifestazione a cui Charlot partecipa involontariamente, ma che inevitabilmente lo porta in prima linea, perché Charlot è sì uno sbadato ma è pur sempre un operaio che rivendica il proprio diritto a un lavoro libero e sicuro.
La celebre versione di “Titina”, reinterpretata da Chaplin verso la conclusione di “Tempi Moderni”, rappresenta l’unica testimonianza della voce di Charlot, il vagabondo a cui Charlie Chaplin dedicò gran parte della sua carriera. Sebbene “Tempi Moderni” fosse un film principalmente muto, Chaplin si esibì in una leggendaria e più che imitata interpretazione di “Je cherche après Titine” di Léo Daniderff, dando vita al celebre balletto in cui improvvisò una canzone priva di senso, mescolando termini provenienti da lingue e culture diverse.
La dedizione alla creatività di Chaplin non aveva confini. Suonava sia il violino che il pianoforte, dedicandosi anima e corpo alla completa stesura della sua opera e, affidandosi al suo spiccato senso musicale, gli permise di creare melodie per i suoi film.
Dopo la prima proiezione a New York di “The Jazz Singer”, il primo film sonoro vero e proprio, comprendente scene cantate e parlate, le case di produzione si stavano attrezzando per entrare in questa nuova era cinematografica. Anche Charlie Chaplin decise di rivoluzionare la sua arte. Così, dal film “Luci della città” nutrì quella voglia e quella curiosità di sperimentare, attraverso le sue pellicole, la combinazione tra immagini e musica. Di conseguenza, non solo compose le colonne sonore di tutte le sue produzioni a venire, ma anche musiche per le riedizioni dei suoi film muti: “Il Monello”, “La Febbre dell’oro”, “Il Circo”.