“Civil War”, il nuovo film di Alex Garland è una pellicola matura, sconvolgente e assolutamente attuale.
Dopo aver affrontato i rischi di abusare dell’intelligenza artificiale con “Ex Machina” ed essersi misurato con lo spettro dell’Apocalisse, Alex Garland, già sceneggiatore di “28 giorni dopo”, torna ad uno dei temi a lui più cari: il collasso della società.
Con il suo quarto film da regista (il quinto se contiamo anche “Dredd – Il giudice dell’Apocalisse”), Garland ci porta in un’america dilaniata da una Guerra Civile tra gli Stati Uniti e gli Stati Secessionisti del Texas e della California.
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Una condizione, quella del conflitto, che è il risultato della tirannia fascista del Presidente (Nick Offerman), eletto per il terzo mandato. Una cosa non del tutto costituzionale.
Raccontata attraverso gli occhi di un piccolo gruppo di reporter, in viaggio attraverso le zone di guerra per giungere a Washington e intervistare il Presidente, “Civil War” è una storia cruda. Estremamente adrenalinica. E tremendamente attuale. Una forte critica rivolta al potere dei mass media, soprattutto per quel che concerne gli Stati Uniti.
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Fotografia dopo fotografia, i reporter attraversano la desolazione di un paese devastato dal conflitto. Immortalando atti di violenza, azioni militari e sommosse. Ed è proprio attraverso le immagini, che incorniciano gli orrori dell’animo umano (oltre a quelli della guerra), che si percepisce l’oscurità di una società dominata dalla cattiveria. E dal potere dei mass media.
Quella descritta in “Civil War”, così come i suoi protagonisti, su tutti la fotografa di guerra Lee Smith interpretata da Kirsten Dunst, è una trama fredda e priva di inutili buonismi. E il cammino dei nostri protagonisti è contornato di personaggi spietati e opportunisti che, tuttavia, si piegano al potere dei mezzi di comunicazione di massa.
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Il regista britannico ci presenta quindi quella che potrebbe essere la più politica delle sue opere. Se non la più matura, conturbante, ansiogena quanto un film di George Romero e profonda quanto un saggio filosofico.
Invero, man mano che la troupe si avvicina a Washington, inteso anche come l’epicentro dell’abisso, dove dimora il più tetro degli esseri umani, gli orrori si fanno sempre più macabri. Il tutto rappresentato grazie ad una regia senza smacchi, dinamica e chiara anche nelle sequenze più movimentate. E incorniciato da una fotografia (curata da Rob Hardy) in grado di mitizzare sia la cupezza delle città devastate sia la luminosità delle lande desolate e deserte.
Garland riesce quindi nel difficile intento di raccontare una distopia ancora agli albori, tanto assurda quanto credibile. Aiutato da una colonna sonora tagliente quanto le immagini immortalate da Lee e dalla sua squadra.
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“Civil War” ci regala quindi una storia violenta impreziosita dalle magistrali performance dei suoi interpreti. Da Kirsten Dunst, che impersona una fotografa navigata e, ormai, priva di scrupoli, a Wagner Moura. Poi Stephen McKinley Henderson e Cailee Spaeny, che abbiamo già avuto modo di ammirare in “Priscilla”.
Infatti, se le musiche di un duo collaudato come Ben Salisbury e Geoff Barrow e di band quali i Silver Apples e i Suicide enfatizzano l’immersione dello spettatore negli orrori della guerra, le interpretazioni dei protagonisti danno espressione sia alla determinazione che alle paure degli esseri umani.
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La nuova pellicola di Alex Garland può essere dunque considerata il documento di un’epoca che rischia di collassare su sé stessa. E sebbene sia ambientata in quello che sembra essere un futuro non troppo prossimo, è il perfetto ritratto dei rischi dettati dalla scelleratezza e dalla cattiveria che, al giorno d’oggi, sembra dominare l’umana ragione.