Nella prima parte dell’articolo sulle cover (che potete trovare qui), abbiamo fatto alcuni piccoli esempi di come moltissime canzoni, anche tra le più famose, come “Twist and Shout“, oppure “House of the rising sun“, siano brani reinterpretati e, talvolta, col tempo, divenuti anche più famose dell’originale.
Di seguito continuiamo a portare alla vostra attenzione, piccoli approfondimenti e qualche curiosità sulle reinterpretazioni più famose di sempre o che mai avreste mai creduto che lo fossero.
Respect – Esistono quelle Hit che, immancabilmente, consacrano la carriera di chi le interpreta. Specie se nascente.
Era il 1965 e Otis Redding scrisse e incise una canzone che parlava di un uomo che chiedeva a sua moglie “Respect” quando “For a little respect when I come home”… “Do me wrong, honey, if you wanna to. You can do me wrong honey, while I’m gone”. Occhio non vede e cuore non duole, insomma. Poteva scrivere parole più maschiliste di così Otis Redding?
Aretha Franklin ne riprese la sonorità ma ne cambiò il testo, trasformando la canzone ribaltandone il significato. “Respect” divenne quindi un inno femminile alle prepotenze dell’uomo.
“Respect” divenne così il singolo che fece affermare la Franklin come regina indiscussa del soul.
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Feeling Good – Nata nel 1964, in genere “Feeling Good” si attribuisce all’intensa interpretazione di Nina Simone, e inserita nell’album “I Put a Spell on You” della cantante.
Nel corso dei decenni è stata tra le canzoni più reinterpretate di sempre, ed ogni artista ha saputo in qualche modo darle una propria interpretazione. La versione di Michael Bublè è tra le più famose, a cui si aggiunge l’interpretazione di Avicii, e infine, più recentemente la resa in chiave rock dei Muse.
What a Wonderful World – Interpretata per la prima volta da Louis Armstrong nel 1967, “What a Wonderful World”, vide la luce in un periodo in cui gli Stati Uniti erano alle prese con le lotte per i diritti civili e le conseguenti lotte razziali, la guerra del Vietnam, la morte di Martin Luther King.
A causa del ritmo lento della canzone, al presidente della ABC Records “What a Wonderful World” non piaceva. Desiderava un’altra “Hello Dolly”, un successo che “Satchmo” portò ai vertici delle classifiche.
L’ostinazione a non voler promuovere il disco, portò a una vendita di sole poche migliaia di copie. A parte il grande successo in Europa, la canzone, fortunatamente, trovò il meritato successo dopo vent’anni grazie al film “Good Morning Vietnam” con Robin Williams. La canzone venne inserita nella colonna sonora del film in uno dei momenti di maggiore drammaticità. Così entrò in classifica e diventò tra le canzoni più cantate di sempre. Le sue interpretazioni ad oggi sono state molteplici. In chiave rock cantata da Joey Ramone, oppure la delicata interpretazione di Israel Kamakawiwo’ole.
Ancora, ricordiamo la meravigliosa versione cantata da Eva Cassidy.
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La vie en rose – Tra le canzoni francesi più conosciute di sempre, e tra le canzoni d’amore più belle di sempre, “La vie en rose” è stata resa celebre dalla sua interprete, Edith Piaf, che ne scrisse anche il testo nel 1945, divenuto conosciuto in tutto il mondo.
Le parole di Edith Piaf, accompagnate dal suo timbro inconfondibile, esprimono un amore immenso, colmo di passione, speranza ed eternità, e nel corso dei decenni “La vie en rose” è divenuta quindi tra le canzoni d’amore più raffinate e cantate di sempre. La cover più conosciuta, e probabilmente la più emozionante è quella cantata da Louis Armstrong. Non è da meno la versione ritmica di Grace Jones del 1977. La canzone cantata dalla Jones presenta un ritmo incalzante, in pieno stile bossa nova. Recentemente anche Lady Gaga ha dato la sua personalissima versione della canzone nel film “A Star is Born”.
Ricordiamo che nel 2007 è stato realizzato un film intitolato “La vie en rose”, basato sulla vita della cantante Edith Piaf, e interpretato da una splendida Marion Cotillard. La canzone funge anche da colonna sonora al film “Amami se hai coraggio” (2003), con protagonista la Cotillard.
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Yesterday – Era il 1964 quando Paul McCartney una notte come tante altre sognò una melodia che ben presto diventò tra le canzoni più famose al mondo (oltre 3.000 cover). “Yesterday” nacque per caso. Una serie di note e un motivo simil jazz che McCartney faceva fatica a credere di avere solo sognato. Eppure le note di “Yesterday” non assomigliavano a nessun altra canzone che avesse ascoltato. Con il titolo provvisorio di “Scrambled Eggs”, “Yesterday” faticò qualche tempo prima di essere scritta e composta. Il 14 giugno 1965, agli studi Abbey Road, McCartney registrò la canzone, e quello stesso autunno venne pubblicata, ottenendo un successo incredibile. Negli anni ’90 è stata votata come miglior canzone del XX secolo. Tra le canzoni d’amore più belle di sempre, uno sguardo al passato, un amore perduto. E la consapevolezza, nel presente, di essere vivi solo a metà.
“Why she had to go?
I don’t know, she wouldn’t say
I said something wrong
Now I long for yesterday”
Nel corso dei decenni, come già scritto, sono state realizzate moltissime cover di “Yesterday”. Ricordiamo la splendida versione eseguita da Ennio Morricone per il film “C’era una volta in America”. E le diversissime cover con le splendide voci di Eva Cassidy, Ray Charles, Marvin Gaye e Michael Bolton.
“I Will Always Love You” – In molti rimarranno basiti nello scoprire che la canzone resa famosa da Whitney Houston in realtà è una cover. Portata al successo dalla Houston nel 1992 grazie al film “The Bodyguard”, “I Will Always Love You” è frutto della creatività della cantautrice country Dolly Parton (che in molti ricorderanno grazie al personaggio di Truvy in “Fiori d’acciaio”). Successivamente alla pubblicazione del singolo, Dolly Parton ricevette una richiesta decisamente inaspettata: contattata nientedimeno che da Elvis Presley perché intenzionato a cantare la sua canzone. Dolly, colma di emozione, non riusciva a immaginare che la sua canzone potesse essere cantata da una stella come Elvis, e da una voce come quella di Elvis. Ma il sogno svanì quando la Parton venne informata che “Il Re” pretendeva – o meglio il Colonnello – la metà dei diritti della canzone. Rifiutò a malincuore.
Anni dopo, la Parton fu sorpresa quando ascoltò per la prima volta la canzone cantata dalla Houston. Era in macchina con la radio accesa e improvvisamente si trovò a prestare attenzione ad una parte a cappella che aveva qualcosa di molto famigliare. Era la sua canzone, e quella di Whitney era la voce perfetta per cantare “I Will Always Love You”. La rese “potente”.
Ma a proposito di “parte a cappella”. Kevin Costner, che all’epoca era all’apice della fama per aver vinto l’Oscar per “Balla coi lupi”, nonché musicista, era in veste di co – produttore e quindi aveva molto potere decisionale. Così tanto che non solo scelse la canzone da far cantare a Whitney Houston, ma lui stesso ebbe la straordinaria intuizione di far iniziare la canzone a “cappella”.
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Stand by me – No, non stiamo parlando del film diretto da Rob Reiner nel 1986 e tratto da un racconto di Stephen King. Nata come un inno gospel composto dal reverendo Tindley nel 1905, nel 1960 Ben E. King, all’epoca membro dei Drifters, propose al gruppo la bozza di una “nuova” canzone, intitolata “Stand by me”. Anche se all’inizio la canzone non interessava, King prese una decisione importante per la sua carriera: diventò un cantante solista. E fu proprio da solista che registrò e pubblicò la canzone, arrivando primo in classifica.
Nel corso degli anni “Stand by me” ha avuto numerosissime cover, e la più importante è sicuramente quella cantata da John Lennon.
Sweet Dreams (Are made of this) – È letteralmente la canzone che ha salvato gli Eurythmics dalla rottura definitiva. Dopo un primo album disastroso e qualche difficoltà economica, Dave Stewart e Annie Lennox, in preda alla disperazione investirono gli ultimi risparmi per acquistare l’attrezzatura necessaria per realizzare la loro idea di musica elettronica sperimentale.
Nel tentativo di far funzionare i nuovi strumenti, Dave creò casualmente un riff talmente orecchiabile che ad Annie le si drizzarono le orecchie. Difatti, quando ormai ogni speranza era giunta alla deriva, grazie alla combinazione dei due sintetizzatori crearono la melodia di “Sweet Dreams” esattamente come la conosciamo.
Da ricordare la disturbante reinterpretazione di Marilyn Manson. Esatto, reinterpretazione.
Manson, spinto probabilmente da alcune frasi poco chiare del testo originale, nel 1995 marchiò indelebilmente la canzone. Cambiò qualche frase dal testo, la sporcò, la rese inquietante, travisando le parole scritte da Dave Stewart e Annie Lennox, con l’evidente scopo di scandalizzare il mondo della musica e realizzando il videoclip più spaventoso di sempre.
Ma ad oggi, nessuna cover, secondo noi, è mai riuscita ad eguagliare o superare quella di Manson.
Difatti ancora oggi molti pensano: quale sarà la versione migliore? Quella degli Eurytmics oppure quella di Manson?
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“Blowin’ in the wind” – Pace, amore, guerra, libertà. Più che una canzone “Blowin’ in the wind” è un simbolo degli ideali anni ’60. Un inno alla pace e alla speranza.
Il 16 aprile 1962 è una data importante per la storia della musica. In un coffe house del Village di New York, un giovane ragazzo di ventuno anni, Bob Dylan, al secolo Robert Allen Zimmerman compose “Blowin’ in the wind”, in soli dieci minuti. Aggiungendo del testo alla melodia di una vecchia canzone popolare al secolo “No More Auction Block”, cantata da ex schiavi liberati dopo l’abolizione della schiavitù in Gran Bretagna, il giovane Dylan diede origine, forse ancora inconsapevolmente, ad un capolavoro. Un capolavoro che nel corso del tempo ha avuto numerose cover. La più famosa, e personalmente anche migliore dell’originale cantata da Dylan, è senza dubbio la versione cantata da Joan Baez.
Ricordiamo che la canzone è presente nel film “Forrest Gump”, cantata dal personaggio di Jenny (Robin Wright), che esegue la canzone in uno strip club.

“Father and Son” – Durante gli anni ’60 un giovane Steven Demetre Georgiou, in arte Cat Stevens, fu incaricato da un noto attore britannico a scrivere una serie di canzoni per un musical ambientato durante la Rivoluzione Russa. Tra queste vi era “Father and son”, un brano che parlava di un figlio desideroso di unirsi alla Rivoluzione contro il volere del padre. Caso vuole che il giovane Cat si beccò la Tubercolosi e che questa gli causò un periodo di ripresa di circa un anno.
Ovviamente il progetto del musical venne definitivamente chiuso, e quindi Cat decise di modificare il testo di “Father and son”. Oggetto di numerose cover, “Father and son” fu ripresa dai Boyzone negli anni ’90 e ne uscì un singolo di un discreto successo. Nel 2004 Ronan Keating, il cantante dei Boyzone, ne ricavò una cover con la collaborazione dell’autore, Cat Stevens.
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“Girls just want to have fun” – Era il 1983 e Cyndi Lauper, arrivata ormai alla soglia dei trent’anni, si trovò davanti alla grande opportunità di incidere il suo primo album, “She’s so unusual”. Caso vuole che le capiti tra le mani una canzone scritta nel 1979, dal cantautore Robert Hazard. Dopo un primo momento in cui pensò se era il caso o meno di incidere un primo album cantando la canzone scritta da qualcun altro, Cyndi pensò che invece poteva essere una notevole occasione, se la canzone avrebbe potuto essere rielaborata.
Infatti, il testo originale presentava una forte impronta maschile, in quanto la canzone era stata scritta, ovviamente, dal punto di vista di un uomo. Se modificata come si deve avrebbe guadagnato tutto un altro significato e acquisito del potenziale. Cyndi cambiò gran parte del testo, trasformando la canzone in un pezzo apertamente femminista. E così fu.
La canzone venne pubblicata come primo singolo dell’album.
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“Hallelujah” – È il classico esempio di come una cover può diventare ancora più famosa dell’originale. Scritto da Leonard Cohen e pubblicato nel 1984, il singolo cantato da Cohen non riscosse alcun successo, tanto che l’autore iniziò a cambiarne svariate volte il testo. La svolta arrivò quando il fondatore dei Velvet Underground, John Cale, chiese a Cohen il testo originale di “Halleluya”. Furono inviate ben quindici pagine, tanto che Cale iniziò ad eliminare molti dei riferimenti religiosi che Cohen aveva inserito all’interno del testo. Fu così che “Halleluya”, cantata da John Cale fu inserita all’interno dell’album tributo a Leonard Cohen, pubblicato nel 1991.
Ma, ovviamente, non è di questa cover di cui vi vorrei parlare. Un giorno, un giovane ventenne di nome Jeff Buckley, rapito dal singolo cantato da John Cale, iniziò a cantarla nei suoi concerti e la reazione del pubblico fu immediata, tanto che in mezzo a migliaia di persone il silenzio regnava sovrano. Buckley inserì la canzone nel suo album di debutto, “Grace”, ma il caso vuole che “Halleluya” diverrà famosa al momento della prematura morte del cantante, avvenuta a soli trent’anni.
Ma la curiosità di questa cover risiede nell’autore. Talmente è famosa la versione di Jeff Buckley che in molti hanno pensato e pensano tuttora che sia lui l’autore di “Halleluya”.