Perché le Cattive sono cattive??
Quando parliamo di infanzia non possiamo non parlare dell’impatto che la Disney ha avuto sulla nostra vita (e ancora ha…). Alcuni film della Disney sono davvero dei capolavori, mi basti pensare al cameo di apertura di “UP” sulla vita di Carl e Ellie; al femminismo di Merida di “Ribelle–The Brave”; alla psicologia di “Inside Out”; o ancora a tutti i paesaggi che fanno da sfondo nei Classici del secolo scorso che ci hanno fatto viaggiare un po’ per tutto il mondo, dalla Cina di “Mulan” all’Africa de “Il Re Leone”, “per arrivare là, dove nessun uomo è mai giunto prima”, per citare “Star Trek”. Ma ogni cosa ha il suo risvolto.
La Disney è stata la prima a portare sullo schermo tantissimi personaggi femminili (buone e cattive), perlopiù principesse e streghe.
Ed è qui che sono iniziati i problemi e le sette piaghe d’Egitto. La domanda da porsi è la seguente: come sono stati narrati, questi personaggi? La rappresentazione delle principesse è evidente, almeno in quelle della tradizione classica: abbiamo Biancaneve, Rosaspina, Cenerentola che rappresentano il prototipo per eccellenza della donna bella, fragile, incapace di agire, sempre pronta a cacciarsi nei guai, ma soprattutto, diciamolo una volta per tutte, in attesa del Principe Azzurro pronto a salvarle.
Per fortuna, sulla spinta dei movimenti femministi, questa prospettiva è cambiata, ed ecco che sulla scena sono comparse principesse più grintose e soprattutto più intraprendenti, da Mulan e Pochaontas a Merida, per arrivare alle più recenti Tiana de “La Principessa e il Ranocchio” (che sogna di aprirsi un ristorante), le sorelle di “Frozen”, Anna e Elsa, fino alla recentissima Vaiana di “Oceania” e alla piccola ma potente Vanellope von Schweetz della serie di “Ralph”, che pur non essendo effettivamente una principessa a tutti gli effetti, la vediamo protagonista, in “Ralph Spacca Internet” (2018) di un simpatico siparietto dove viene teletrasportata nella Casa delle Principesse, le quali, per attestare la sua “principessitudine” (passatemi il termine), iniziano a tempestarla di domande che mettono in luce proprio tutti quegli stereotipi delle principesse classiche che ho elencato poco fa.
Quando parliamo delle principesse nessuno parla mai delle cattive, e inevitabilmente mi sono chiesta il perché.
Andiamo con ordine. Perché i nostri genitori da piccoli ci facevano vedere le favole animate della Disney? Per intrattenerci, certo. Ma anche per trovare degli strumenti validi tanto quanto le favole in grado di spiegare in maniera quanto più efficace e diretta la differenza che intercorre tra il bene e il male; e per fornirci gli strumenti per riconoscere e interiorizzare tale differenza. Prendo la Disney ma può essere comunque esteso anche ad altri film/libri, all’interno dei quali il male è quasi sempre legato al femminile: non a caso si parla quasi sempre di streghe e non di stregoni. Perché se pensiamo al mago o allo stregone davanti ai nostri occhi si materializzano diversi personaggi provenienti dalla nostra tradizione letteraria che a tutto ci fanno pensare, meno che al maligno, basti pensare a Merlino o a Gandalf, per citare i primi due che mi vengono in mente.
Perché accade ciò? La risposta, purtroppo, si deduce facilmente. Per anni le narrazioni, tanto quelle scritte quanto quelle trasmesse dall’oralità, sono state costruite soprattutto con elementi sessisti più o meno velati; dove il maligno si fa femminile, che sia nei panni di una donna o di una creatura dalle sembianze non umane. Attraverso un veloce viaggio, vi farò entrare nel malefico mondo delle Villains della Disney, a mio parere personaggi ben più interessanti delle principesse, ma spesso, come le buone, rovinati da una accozzaglia di stereotipi di genere.
Innanzitutto possiamo distinguere le cattive in tre macrocategorie:
-le cattive fino in fondo, quindi Grimilde (la matrigna di “Biancaneve”), Lady Tremaine (la matrigna di “Cenerentola”), Madre Gothel (la matrigna di “Rapunzel”) e Malefica (la strega de “La bella addormentata nel bosco”);
-le cattive intermedie, quindi Crudelia e Ursula;
-le villain che sono cattive fino in fondo, ovvero la Regina di Cuori e Maga Magò;
Delle prime possiamo dire che la loro storia è strettamente legata a quella delle favole tradizionali dei Grimm e di Perrault: donne anch’esse belle, che si confrontano con ragazze più belle, meditando un interiore senso di vendetta e di sterminio di queste, calcolatrici e che fanno della seduzione la loro arma più forte, e che hanno stretto una sorta di “patto” col demoniaco. La Disney di loro mette in evidenza la bellezza, facendo passare l’idea che il malefico seduce quanto una donna bella.
Se vogliamo è proprio il continuo rimando e focus su quella bellezza che mette in ombra le loro azioni, e questo è ben evidente nei live action dei classici Disney, dove ad interpretare le cattive sono tutte attrici che prima di essere brave (e molte di loro lo sono davvero, brave), sono belle e vengono innegabilmente ipersessualizzate con un abbigliamento che ben le allontana dall’immagine costruita nel cartone animato. Qualche esempio? Angelina Jolie che interpreta Malefica in “Maleficent”, Julia Roberts che veste i panni di Grimilde in “Biancaneve”, o ancora Cate Blanchett in una magistrale interpretazione di Lady Tremain in “Cenerentola”. I personaggi più interessanti; ovvero quelli del secondo e del terzo gruppo; sono quelli che, a mio personalissimo parere, la Disney interpreta tanto bene quanto male.
A livello di cattiveria ritengo effettivamente Ursula, la Strega del Mare, la più caratteristica delle Villains.
Per quanto sia la più stereotipata, è proprio quella che, in controsenso con la divisione che ho fatto, ci crede di più. Ursula, a differenza delle colleghe “di cattiveria”, non è bella (e potrebbe esserlo, ricordiamo che è in grado di trasformarsi in una bellissima donna, Vanessa) e non fa nulla per esserlo. Il suo scopo non è la bellezza: è il potere. È una donna carismatica. Nel suo essere proprio cattiva, sembra anche la più consapevole dell’esistenza del patriarcato, rappresentato dalla reggenza di Re Tritone del Regno dei Mari.
La rappresentazione di Re Tritone è una delle cose più stereotipate di tutta la storia. Una narrazione classica che vede un uomo nerboruto circondato perlopiù da donne, che siano le sue figlie poco importa, sempre donne sono, e che hanno già, per lui, un destino segnato: il matrimonio. La Strega del Mare è consapevole di ciò, e a lei interessa solo una cosa: recuperare ciò che le spetta di diritto, il regno da cui è stata espulsa perché indesiderata, anche per il suo aspetto, cosa di cui rimprovera Ariel, che non invidia, ma biasima, proprio perché ne mette in luce, nella scena del patto, la vanità.
Ursula, in pratica, con dei sapienti giochi di parole, ci mostra come Ariel stia sacrificando la voce, ovvero la parola, il lògos, quello che ci mette sullo stesso piano degli uomini, con la vanità, le gambe.
E, se vogliamo essere ancora più politicamente scorretti, l’eliminazione finale di Ursula non è funzionale alla logica vittoria del bene sul male, ma è da intendersi come l’eliminazione di un elemento scomodo che evidentemente fa paura non per la sua natura cattiva, ma per la sua lucidità: se Ariel avesse dato ascolto a Ursula, forse la storia non si sarebbe conclusa con quella abbastanza ridicola dichiarazione d’amore doppia di Ariel, al marito e al padre, fatto che mette in luce quanto ancora ne “La Sirenetta”, uscito nelle sale nel 1989, la distruzione dell’impalcatura patriarcale fosse ancora in stato di definizione.
Forse uno dei principali errori nella narrazione delle cattive della Disney è stato ed è quello di convincere gli spettatori che queste donne siano naturalmente cattive; senza dedicare una parte della narrazione al percorso che ha portato quel personaggio a diventare così come viene rappresentate.
Come possiamo notare le cose stanno cambiando.
Questo 28 maggio uscirà nei cinema (lo speriamo tutti, ndT) “Cruella”, interpretata da Emma Stone, che parte proprio da questo assunto: chiediamoci perché Crudelia Demon sia diventata Crudelia, uno dei personaggi femminili più stereotipati, ma come Ursula anche uno dei più affascinanti, in quanto la sua cifra stilistica è la sagacia.
Crudelia odia essere contraddetta, ma ad ogni affermazione che le rivolgono risponde sempre con una battuta tra il serio e il sarcastico. Questo la rende assolutamente lucida, più che folle, come molte delle critiche mettono in evidenza. Il personaggio di Crudelia è così iconico che anche altri personaggi femminili sono ispirati a lei. Rimanendo in casa Disney c’è la temibile Yzma de “Le follie dell’imperatore”, personaggio che risulta decisamente la copia di Crudelia, ma c’è anche Miranda Priestly de “Il diavolo veste Prada”, dove quel misto di ironia e sadismo fanno del personaggio di Maryl Streep qualcosa che va ben oltre l’ispirazione.
Qualche parola vorrei spenderla anche a favore di un altro personaggio che ha subito una sorte non diversa da quella delle sue colleghe, ovvero la Regina di Cuori di “Alice nel Paese delle Meraviglie”.
Per quanto non sia una cattiva a tutti gli effetti, mentre lo diventa nell’omonimo live–action di Tim Burton dove anche con Helena Boham Carter viene fatta l’operazione di recupero delle motivazioni che hanno portato la cattiva ad essere tale, merita un posto di diritto nel club delle cattive. Carrol, nel suo libro, ne mette in evidenza la sua poca pazienza: non a caso potrebbe essere proprio la metafora di un comportamento tipico dell’età adulta, ovvero l’innervosirsi spesso inutilmente. Animata dal principio machiavelliano del “è meglio essere temuti che amati” (era possibile che Carrol conoscesse Machiavelli, essendo lui esperto di pedagogia), viene rappresentata come una despota volitiva, fin troppo irascibile, despota non solo nella vita ma anche col marito (che compare nel classico Disney ma non nella versione di Tim Burton) e decisamente bipolare.
Piccola curiosità: si dice che l’illustratore del libro di Carrol, John Tenniel, per disegnare la Regina di Cuori si sia ispirato alla regina Vittoria.
Ora, non so se io sia riuscita nell’intento che mi ero prefissata, ovvero quello di restituire umanità e dignità a dei personaggi che prima di essere cattivi sono delle donne, ma qualcosa, da queste donne così atipiche, l’ho imparato: non si dà mai per assodato che qualcuno sia così per natura, perché come per tutte le cose… cattivi non si nasce, ci si diventa. E spesso, mi permetto di aggiungere, non si parla di cattiveria, ma di ribellione a qualcosa; ad un sistema che ci sta stretto e ci vuole diversamente da come siamo. E come dice la prefazione di “Storie della buonanotte per bambine ribelli”:
“Alle bambine ribelli di tutto il mondo […] lottate con più energia. E nel dubbio, ricordate: avete ragione voi”.
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