“Era come se entrassero in una reggia. In un sogno. In paradiso. E tutti i guai che si portavano dietro, per magia, una volta varcata questa soglia si dissolvevano all’istante. E sai perché? Per Chaplin, ecco perché. E Keaton, e Lloyd. La Garbo, Gable, la Lombard. E Jimmy Stewart, James Cagney. Per Ginger e Fred. Erano Dei! E tutti loro là prendevano vita. Quello era l’Olimpo. Ricordi quando dicevo quanto eravamo fortunati a poter stare qui? Ad avere il privilegio di guardarli. Altro che TV, altro che restarsene chiusi dentro casa a guardare una scatoletta …. Dov’è il grande schermo? Dov’è la magia?” (“The Majestic”)
“Dedicato ai folli e ai sognatori”. (“La La Land”)
Fin dai primi anni del cinema muto, la curiosità ha spinto le persone ad entrare nelle sale per ammirare l’invenzione del cinematografo.
Lo scorrere di quelle meravigliose immagini in movimento e il desiderio di vederne di nuove, spingevano lo spettatore ad entrare nei cinema e pagare il biglietto. I Fratelli Lumiere, oltre ad inventare il cinematografo, furono i fruitori delle prime reazioni da parte del pubblico. Nel corso degli anni il cinema ha cambiato il modo di comunicare, come nel passaggio dal muto al sonoro, grazie a pellicole come “The Jazz Singer” (che ha il merito di essere il primo film sonoro) e “Steamboat Willie” (il primo corto animato con effetti sonori), e a personalità innovative come Charlie Chaplin e Walt Disney; sensuali e talentuose come Rita Hayworth e Marlene Dietrich; eclettiche come Cary Grant e Audrey Hepburn, capaci di coinvolgere emotivamente ogni singolo sognatore.
Durante gli anni ‘30 i film musicali di Fred Astaire e Ginger Rogers diedero la spinta necessaria per creare pellicole che intrattenessero anche da un punto di vista canoro e coreografico. Indussero registi e produttori a realizzare pellicole dove gli attori non solo recitavano, ma esibivano il loro talento di fronte al grande pubblico. Nacquero così pellicole come “West side story”, “Singin‘ in the rain”, “Mary Poppins”, “Moulin Rouge” e “Cabaret” (per citarne alcuni). Pellicole che ispirarono sempre più gli autori a creare nuove opere in grado di eguagliare e omaggiare i musical che fecero la storia.
Una personalità creativa come Damien Chazelle, colto dal desiderio di diventare un regista fin da quando era un ragazzino, aveva le idee ben chiare su cosa avrebbe voluto creare in futuro.
Un’opera personale ma che allo stesso tempo omaggiasse i musical e il cinema dell’epoca d’oro di Hollywood. Fu così che durante gli anni di Harvard, Chazelle e il suo compagno di stanza, il compositore Justin Hurwitz, cominciarono a concepire “La La Land”, la storia di Mia e Sebastian, due eterni sognatori che coltivano la speranza di avere successo nel cinema e nella musica. Ed è proprio nel sogno che si racchiude la vera essenza di “La La Land”. Perché è proprio nella magia del cinema che si evade dalla realtà.
Con la sua opera, Chazelle ci trasporta in una dimensione onirica, in cui i richiami al cinema del passato fanno da sfondo ai sogni dei due protagonisti. Attraverso la sceneggiatura di “La La Land”, infatti, il regista ci conduce nella consapevolezza che ogni essere umano ha un sogno nel cassetto, grande o piccolo che sia. L’unica differenza è che per Mia e Sebastian il sogno rappresenta la vita, e insieme a loro viviamo l’incanto e la nascita del loro amore, tra speranze, delusioni e trionfi.
Con “La La Land” Chazelle decide di omaggiare il cinema di una volta attraverso citazioni e immagini, come l’immenso poster di Ingrd Bergman che si trova in camera di Mia o il murale che raffigura celebrità come Chaplin, Elizabeth Taylor, James Dean, Shirley Temple, Humprey Bogart e Lauren Bacall (tra le altre). Mia stessa, una volta realizzato il suo sogno di diventare un’attrice di successo, verrà rappresentata su uno dei tanti murales di Los Angeles, divenuta (finalmente) una celebrità a Hollywood.
Se vogliamo, anche la storia d’amore tra i due protagonisti è una citazione a “Casablanca”.
Mia e Sebastian si amano, tuttavia per realizzare i propri sogni sono costretti a separarsi. Sebbene il loro amore sia destinato a durare per sempre non potranno mai essere felici insieme, proprio come Rick Blaine e Ilsa Lund. E il tutto si conclude con uno scambio di sguardi tanto lungo quanto intenso, con cui Mia e Seb si lasciano per sempre pur sapendo che non smetteranno mai di amarsi.
Ma come è nato “La La Land”?
Chazelle iniziò a coltivare l’amore per il cinema durante l’anno passato a Parigi assieme ai genitori. Passava le giornate nelle sale cinematografiche, godendosi i capolavori di autori internazionali come Akira Kurosawa, Elia Kazan, Francois Truffuat e Billy Wilder.
Da prima restio all’approccio verso i musical, che considerava privi di logica, il futuro regista cominciò ad appassionarsi al genere una volta giunto alla prestigiosa università di Harvard. Attraverso il suo piano di studi si trovò a seguire in parallelo due corsi che cambiarono il modo che egli aveva di vedere il cinema; un corso sulle avanguardie e il documentario.
Il legame collaborativo, oltre che affettivo, tra Damien Chazelle e Justin Hurwitz ebbe inizio ad Harvard.
Più precisamente nella band chiamata Chester French, dove il futuro regista suonava la batteria e il futuro compositore il piano. Difatti, Hurwitz prese parte a tutte le imprese da regista di Chazelle, dal suo primissimo film “Guy and Madeline on a Park Bench” (incluso nella tesi di laurea di Damien) fino a “First Man”. Ed è proprio durante gli anni del college che iniziarono a elaborare il soggetto di “La La Land”, una versione più elaborata e più complessa del loro film d’esordio.
Realizzato in bianco e nero su pellicola 16mm (invece che in digitale), “Guy and Madeline on a Park Bench” narra la storia di un trombettista jazz che, con la sua band si esibisce in un locale di Boston, e di Madeline, una ragazza in cerca di un lavoro che non ha ben chiaro quale sarà il suo futuro. Se pur con una trama banale e molto scontata, Chazelle si mise in gioco con un lungometraggio che colse l’attenzione del pubblico e della critica più per lo stile vintage, a metà strada tra il classico musical e il documentario, che per la storia in sé. Per risparmiare sulle spese di realizzazione, lui stesso si occupò, oltre che della regia e della sceneggiatura, anche della fotografia e del montaggio.
Dopo aver ricevuto critiche incoraggianti per “Guy and Madeline on a Park Bench”, dal 2010, una volta trasferitosi a Los Angeles, cominciò la gavetta vera e propria, determinante nella carriera di ogni regista, tra il lavoro di sceneggiatore e di soggettista. Scrisse alcune sceneggiature che poi vennero girate da altri registi, come “Il ricatto” (2013); “The last exorcism – Liberaci del male” (2013); e “10 Cloverfield Lane” (2016), e lavorò alla revisione di alcune storie che necessitavano di correzioni.
Grazie a questa esperienza imparò molto sul complesso mestiere del regista e sulla gestione di un film.
Ma nella mente di Chazelle persisteva il desiderio di portare avanti la strada intrapresa con “Guy and Madeline on a Park Bench”. Il regista voleva creare un film di qualità in cui sogno, jazz e musical si fondessero alla perfezione. Si rese conto però, grazie alle competenze maturate sui set cinematografici, che realizzare un film ambizioso come “La La Land” era pressoché impossibile, sia a livello di budget che di esperienza. Decise quindi di sfruttare il suo passato di batterista al liceo, per scrivere e dirigere “Whiplash”, un film meno costoso rispetto a “La La Land” ma con una sceneggiatura valida e una trama coinvolgente.
Difatti, quando Chazelle frequentava il liceo (una volta rientrato negli Stati Uniti), iniziò una difficile esperienza nell’orchestra della scuola, dove vi rimase per quattro anni.
L’insegnante e direttore d’orchestra era un uomo severo e rigoroso che pretendeva la perfezione dai suoi studenti, tanto da terrorizzare il povero futuro Premio Oscar. Il forte impatto con questa realtà, servì così tanto a Chazelle che scrisse la sceneggiatura per il suo secondo film, quel film che lo portò all’attenzione dell’Academy Award...
Tuttavia, come accadde con “Guy and Madeline on a Park Bench”, prima di poter cominciare le riprese di “Whiplash”, Chazelle dovette di nuovo fare i conti con l’ostacolo rappresentato dal budget. Nonostante avesse a disposizione una sceneggiatura matura, non riuscì a trovare abbastanza finanziamenti per poter produrre il suo film. L’unico produttore che mostrò interesse per lo script del giovane talento fu Jason Blum della Blumhouse Productions, ma purtroppo non aveva abbastanza capitale da investire nel progetto “Whiplash”. Fu così che Chazelle prese una decisione tanto rischiosa quanto geniale. Nella speranza di cogliere l’attenzione della critica, e quindi dei produttori, il regista usò solamente quindici pagine della sceneggiatura originale per creare un omonimo cortometraggio ambientato (interamente) all’interno della sala prove di una scuola.
Il piano di Chazelle funzionò.
“Whiplash” il corto venne presentato al Sundance Film Festival, dove si aggiudicò il Premio della Giuria. Tale successo fece sì che altre case di produzione, oltre alla Blumhouse, si interessassero al lavoro del giovane regista, che in breve tempo racimolò un discreto budget che gli permise di completare le riprese e il montaggio di “Whiplash” in sole dieci settimane.
Come il corto un anno prima, anche il lungometraggio venne proiettato in anteprima al Sundace Film Festival. Da quel momento la strada fu tutta in discesa. “Whiplash” divenne un successo internazionale sia di critica che di pubblico, fece incetta di premi nelle varie manifestazioni ed incassò abbastanza da permettere a Chazelle di girare il film che sognava da una vita: “La La Land”.
Senza “Whiplash” non sarebbe mai esistito “La La Land”.
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