Dopo Mario Bava, anche Antonio e Marco Manetti adattano per il grande schermo l’opera di Angela e Luciana Giussani. La nostra opinione sulla pellicola ispirata al celebre fumetto numero 3 della saga dedicata a Diabolik, “L’arresto di Diabolik”.
Nato dal genio delle sorelle Angela e Luciana Giussani, Diabolik è il celebre personaggio protagonista dell’omonima serie fumettistica considerata il capostipite del fumetto nero italiano, un genere nato come critica al moralismo che caratterizzava la letteratura dell’epoca. Il primo numero uscì nelle edicole italiane nel novembre del 1962 e da quel momento le sue gesta, nonostante i chiari toni cupi in perfetto contrasto con l’estetica degli anni ‘60, riuscirono a coinvolgere sia i lettori più esperti che i neofiti del genere fumettistico.
Sebbene da quasi sessant’anni le storie dedicate a Diabolik riescano ad intrattenere i lettori italiani e stranieri, le origini del ladro sono avvolte nell’ombra, così come la sua vera identità. Tutto quello che ci è dato sapere, le sorelle Giussani lo hanno raccontato nel fumetto dal titolo “Diabolik, chi sei?” del 1968.
Qui Angela e Luciana narrarono dell’adolescenza di Diabolik vissuta su un’isola abitata esclusivamente da criminali. Cresciuto dal temibile ladro conosciuto come King, il ragazzo imparerà i trucchi per diventare un delinquente al pari del suo tutore. E sarà quest’ultimo, nel momento della sua morte, che avverrà proprio per mano del suo pupillo, a battezzarlo come Diabolik, donandogli il nome dell’enorme pantera nera (da King stesso uccisa e imbalsamata) che anni addietro aveva terrorizzato gli abitanti dell’isola.
Tale esperienza lo trasformerà nel freddo e cinico ladro dall’identità segreta.
Lo scopo di Angela a Luciana era quello di creare un personaggio tanto freddo quanto geniale; un killer spietato e calcolatore capace di uccidere senza rimorso chiunque intralciasse il suo cammino.
Per questo tentare di adattare una simile opera non è mai stata un’impresa facile. La versione di Mario Bava del 1968 per esempio, per quanto apprezzabile nel suo stile autoriale, si distaccò totalmente dall’estetica delle sorelle Giussani.
Al contrario, quello di Antonio e Marco Manetti rispetta in toto l’opera fumettistica italiana più longeva di sempre; atmosfere tetre a chiare tinte noir; e un protagonista flemmatico e imperturbabile, tanto da risultare quasi apatico persino di fronte alla sconvolgente bellezza di Eva Kant.
Ma andiamo per gradi.
A differenza di Bava, i Manetti Bros hanno preso la saggia decisione di portare sul grande schermo l’adattamento di un singolo albo a fumetti, ossia lo storico numero 3 dal titolo “L’arresto di Diabolik”, che racconta l’origine del grande amore tra il ladro dal costume nero e la bellissima Eva Kant.
Difatti la pellicola di Antonio e Marco non si concentra tanto sull’origine di Diabolik, impersonato da un Luca Marinelli perfettamente in parte; né sull’inizio della storica faida con l’ispettore Ginko, interpretato da Valerio Mastendrea (bravissimo come sempre), unico uomo al mondo in grado di eguagliare l’estro di Diabolik. Piuttosto sembra che i fratelli Manetti abbiano voluto raccontare la conversione di Eva Kant (una Miriam Leone straordinariamente convincente), da ricca ereditiera a ladra amante del brivido e dell’adrenalina. Lo scontro intellettuale tra Diabolik e Ginko non fa altro che fare da sfondo al profondo cambiamento che avverrà nella vita e nella psiche dell’avvenente femme fatale.
E se le interpretazioni di Mastandrea e dell’ex Miss Italia hanno convinto sia il pubblico che la critica, quella di Luca Marinelli ha suscitato pareri molto contrastanti tra loro.
In molti infatti, forse abituati all’interpretazione di John Phillip Law del 1968, non hanno apprezzato il distacco emotivo mostrato dall’attore romano verso la sua compagna e complice nel crimine. Ma proprio per tal motivo la recitazione di Marinelli dovrebbe essere osannata piuttosto che stroncata. I comportamenti del Diabolik del film sono perfettamente in linea con quelli dell’albo da cui i Manetti hanno tratto ispirazione. Sebbene si percepisca che tra lui ed Eva ci sia una forte attrazione (sia fisica che intellettuale), il loro rapporto è ben lontano dal profondo amore che in futuro li legherà indissolubilmente.
Eppure, anche se le performance dei tre attori principali riescono a tenere a galla la trama del film, la recitazione degli attori secondari, su tutti Alessandro Roja (che impersona il Vice Ministro della Giustizia Giorgio Caron), risulta essere del tutto scadente.
Tuttavia, i Manetti Bros sono riusciti nel difficile compito di portare sul grande schermo un ottimo prodotto. Nonostante sia l’adattamento di un albo a fumetti, non rinuncia al tratto autoriale dei due registi e si distacca dall’estetica moderna dei cinecomics.