“A me qua mi vogliono tutti bene nel quartiere.” (Dogman)
L’Italia è un paese il cui marchio rappresenta da sempre una garanzia di elevata qualità nella maggior parte dei vari settori produttivi così come nell’ambito gastronomico. Ma è soprattutto con il cinema che la nostra nazione si distingue per un buon numero di pellicole memorabili che hanno reso straordinaria la storia del cinema italiano. Basti pensare alle opere dirette da Vittorio De Sica, Federico Fellini, Sergio Leone e tanti altri registi che hanno realizzato delle pellicole dall’inestimabile valore artistico.
Negli ultimi anni si sono affermati diversi registi italiani estremamente talentuosi. Uno tra questi è Matteo Garrone. La sua filmografia presenta titoli che hanno riscosso un importante successo di critica e pubblico, come “Gomorra” (2008), “Reality” (2012) ed il film che verrà preso in esame in questa recensione: “Dogman”, nonché uno dei migliori film italiani degli ultimi anni.
Questo lungometraggio si ispira ad uno dei fatti di cronaca più cruenti del nostro paese. Il delitto del Canaro, l’omicidio del criminale e pugile Giancarlo Ricci, avvenuto a Roma nel 1988 per mano di Pietro De Negri, detto “er canaro”.
Un piccolo paese nella periferia di Roma fa da sfondo all’intera vicenda. Un’ambientazione tetra e decadente ci permette di comprendere maggiormente le condizioni di vita dei cittadini, costretti a sottostare alle regole dei criminali della zona. Tra questi spicca la figura di Simone, un ragazzo portatore di panico e sgomento che permettono il diffondersi di paura e preoccupazione tra gli onesti lavoratori dei negozi della zona. Questi vivono con il costante timore di dover essere costretti a soddisfare le richieste del ragazzo, impedendo così di poter condurre una vita serena.
La stessa sorte capita anche a Marcello, un uomo esile che gestisce un locale di toelettatura per cani. La classica persona gentile e premurosa, in particolare nei confronti della piccola figlia con la quale ha uno splendido rapporto. Egli instaura un rapporto controverso con Simone, fornendogli dosi di cocaina e coinvolgendolo inoltre in atti criminali premiandolo con misere ricompense.
Marcello appare dunque come un uomo debole sottomesso al volere di Simone, un ragazzo spregevole e privo di ogni freno inibitore, il quale si abbandona agli eccessi e ad atti di violenza pur di raggiungere i propri scopi. Per questo motivo trova in Marcello una figura da poter plasmare e controllare a proprio piacimento, sfruttando l’insicurezza di un uomo la cui vita verrà cambiata irreversibilmente.
“Dogman” è un film che non lascia indifferenti perché cattura l’attenzione dello spettatore dal primo all’ultimo minuto grazie alla sua straordinaria potenza visiva.
Le immagini sono infatti caratterizzate da un sontuoso comparto fotografico. Le tonalità grigie e cupe restituiscono un efficace senso di disagio che permea tutta la pellicola, colpendo lo spettatore con una successione di immagini memorabili.
Matteo Garrone realizza un lungometraggio destinato ad entrare di diritto nella storia dei capolavori del cinema italiano. La sua opera risulta superba sotto tutti i punti di vista ed è resa eccezionale dalle ottime interpretazioni dell’intero cast, in particolare i due protagonisti Marcello Fonte (Marcello) e Edoardo Pesce (Simone). Entrambi incarnano rispettivamente l’innocenza e la cattiveria umana in maniera semplicemente incredibile, valorizzando il rapporto tra i due personaggi, il quale si evolve in maniera credibile ed al tempo stesso sconcertante, palesando la trasformazione della mentalità di un uomo estenuato dalle azioni di un delinquente mosso dal solo obbiettivo di soddisfare i propri bisogni.
“Dogman” è quindi un’opera cruda ed indimenticabile, che esprime tutta la sua potenza espressiva soprattutto durante le scene finali.
Brutalità e spirito di sopravvivenza sono alla base di una sequenza struggente. Un uomo liberatosi dai demoni che lo opprimevano da tempo tenta di ritrovare la serenità e la pace interiore esibendo la sua vittoria a tutte quelle persone che un tempo lo stimavano e che ora non nutrono alcun apprezzamento nei suoi confronti, ma solo una gelida indifferenza che alimenta un opprimente senso di solitudine.
Egli è solo. Sopra di lui l’immensità di un cielo che pare rasserenarsi, quelle grida di disperazione che un tempo si udivano per le strade ora sono svanite. È il silenzio che pervade la scena, ed è la quiete finalmente ritrovata che restituisce un senso di beatitudine per tutti, tranne che per l’uomo al centro delle ultime inquadrature, ormai solo e costretto a convivere nel ricordo di un gesto che non si sarebbe mai immaginato di compiere.
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