Ci risiamo: ecco una nuova, randomica puntata della mia personale disamina sull’oscuro mondo delle voci. Nel primo articolo, abbiamo (ho) scherzato e giocato sull’argomento, ma ora è tempo di preparare un sottofondo alla Ulisse – o, meglio, la sigla di Voice Anatomy (qui potete trovare le puntate su RaiPlay), eseguita dagli splendidi Cluster, gruppo vocale genovese a cappella – per addentrarsi in un capitolo un po’ più serio: la storia del doppiaggio italiano.
Tranquilli, eviterò lo sproloquio sulle origini del cinema, limitandomi a ribadire un concetto più che ovvio: al momento della sua nascita, il cinema era muto. Le cose si complicano durante l’avvento del sonoro. Siamo nel 1927 “ed è adesso che la festa inizia”, come direbbe Leonardo Di… pardon, Francesco Pezzulli, per bocca di… sto divagando! (Anakin Skywalker).

Lasciamo in pace il futuro Darth Vader e torniamo a noi.
Pianeta Terra; il continente America, il più grande esportatore di pellicole, subisce un netto calo, per due motivi: l’arretratezza dei cinematografi europei, non adatti a supportare la proiezione del sonoro; e implicazioni politiche, le quali vietano a molti paesi la fruizione di prodotti in lingua straniera. C’è da dire che, nella contingenza storica in cui ci troviamo, questa esterofobia è più che comprensibile, ma il problema rimane, e la prima soluzione applicata non spiccava per efficacia: si pensò di intervallare, alle scene, didascalie bianche su sfondo nero, con il risultato di “zittire” la pellicola, al grandissimo prezzo di snaturarne durata (raddoppiata!!!) e struttura. Non basta? Bene, aggiungerò che la stragrande maggioranza della popolazione dell’epoca era analfabeta… “eh no, così non va!” (sì, oggi parlo per slogan, e questo non è dei più felici).
La virata decisiva, che sopravvive tutt’oggi, viene in mente ad uno dei montatori della Fox Film, Louis Loeffer, il quale, in collaborazione con l’attore italoamericano Augusto Galli, dà vita al primo intervento di post-sincronizzazione in lingua italiana; seppure in una forma claudicante ed embrionale, l’esperimento ha successo e quello attuato sul film “Maritati ad Hollywood” può essere considerato il primo esempio di doppiaggio.
Questo mediocre apripista ha immediatamente seguito.

Il primo film ad essere doppiato interamente in italiano è “Carcere”, per la regia di Ward Wing e la produzione dalla Metro–Goldwyn–Mayer; Metro che, in seguito, si adopererà per il doppiaggio dei film “Sivigliana” di Ramón Novarro, e “Trader Horn” di W. S. Van Dyke.
Negli anni successivi, a cavallo fra il 1930 e il 1932, seppur con alterne vicende, dovute alle restrizioni per cause politiche – che vedono il ritorno della scomoda soluzione del film muto con sottotitolo a tutto schermo – le case di produzione Metro–Goldwyn–Meyer, Fox e Paramount Pictures intensificano la pratica del doppiaggio, reclutando nomi del calibro di Augusto e Rosina Galli, Argentina Ferraù, la cantante Milly e Francesca Braggiotti (Metro); Alberto Valentino (fratello del più noto Rodolfo), Frank Puglia e Franco Corsaro (Fox); Olinto Cristina e Franco Schirato (Paramount) – quest’ultimo, direttore della casa di doppiaggio Fotovox, fondata dall’ingegnere Gentilini.
Nel frattempo, altri esperimenti di doppiaggio non mancavano.
Un esempio su tutti, quello messo in campo con grande successo dalla famigerata coppia comica formata da Stan Laurel e Oliver Hardy (qui trovate il nostro articolo dedicato a Stanlio e Ollio), i quali giravano ogni scena dei propri film in diverse lingue, fra cui l’italiano; l’apoteosi della loro notorietà, con relativa affermazione tra il pubblico italiano, arriva grazie al doppiaggio affidato ai due studenti Carlo Cassola e Paolo Canali, tra il 1932 e il 1933, responsabili della fortunata imitazione dell’accento inglese dei due attori.

Era solo questione di tempo, dunque, prima che la pratica si affermasse del tutto.
Con la già citata Fotovox, nascono l’Itala Acustica e la Fono Roma, che si afferma come maggior stabilimento di doppiaggio, in virtù delle commissioni ricevute da 20th Century Fox, Paramount e Warner Bros. La Metro, invece, apre un proprio stabilimento a Roma e, affidando dialoghi e doppiaggio de “Il campione” di King Vidor e “Ingratitudine” di Clarence Brown ai coniugi Galli, si aggiudica gli encomi della critica per i migliori doppiaggi sentiti fino ad allora.
Storicamente, per il definitivo via libera, bisognerà aspettare l’apertura culturale garantita dal Piano Marshall, ossia il 1947. Anche se le due principali scuole di doppiaggio, quella di Roma e quella di Milano, vedono la luce un bel po’ prima, nel 1932 (la seconda, tuttavia, si affermerà soltanto negli anni ’80).
In conclusione, checché se ne dica, possiamo, a buon diritto, vantarci di avere una delle tradizioni di doppiaggio più longeve e specializzate del mondo; un settore in continua evoluzione, in piedi da sei dignitosissime generazioni; una categoria di professionisti regolata da un Contratto Nazionale; il doppiaggio italiano è un mestiere affascinante, che sta salendo sempre più alla ribalta.
Articoli Correlati: