Agli inizi degli anni ’70 le sonorità italiane subirono una forte e significativa rivoluzione, perpetuata grazie alle influenze del Rock’n roll americano. Il primo fra tutti fu Elvis che, grazie al suo stile ribelle e anticonformista, riuscì a trascinare milioni di persone in tutto il mondo all’interno della black music, quel tipo di melodia che molti americani del pre e del dopo guerra non gradivano. Un po’ perché veniva considerata “la musica del diavolo”, e un po’ perché derivava dal Blues, la musica dei neri americani, che loro disprezzavano. Ma nonostante il disprezzo di taluni, negli anni successivi al secondo dopo guerra, la musica subì numerosi cambiamenti e la politica, vi entrò come un uragano. Sulla scia di Woodstock (1969), e personalità come Bob Dylan, Bruce Springsteen, Janis Joplin, anche in Italia nacquero i primi rocker: Edoardo Bennato e Vasco Rossi.
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In particolare, il cantautore napoletano Edoardo Bennato si è sempre distinto grazie al suo stile rock, genere che ha spesso unito a sonorità blues e a melodie folk, alla sua voglia di sperimentare e alla capacità di raccontare con i ironia i paradossi della vita, ispirandosi, talvolta, alle fiabe più famose.

Nel 1980 Bennato tentò l’audace esperimento di pubblicare due album a pochi giorni di distanza, “Uffà! Uffà!” e “Sono solo canzonette”, quest’ultimo ispirato alla fiaba di “Peter Pan” scritta da James Barrie all’inizio del XX secolo.
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Curiosamente però, il cantautore decise di non assumere il ruolo del cantastorie, bensì di narrare tutto dal punto di vista dei personaggi, come Capitan Uncino, Spugna e la dolce Wendy. Una scelta stilistica che aveva già adottato in un album precedente: “Burattino senza fili” (1977), in cui raccontava la storia di “Pinocchio” di Carlo Collodi. “Sono solo canzonette” colpì il cuore degli italiani e quell’anno schizzò ai vertici delle classifiche dei dischi più venduti, detenendo tutt’oggi il record di album più venduto nella carriera di Bennato.
Ma partiamo dall’inizio.

Narra la leggenda che il titolo del brano di Bennato, nonché del disco, sia nato tutto per merito di quel burlone di Enzo Jannacci. Alla fine degli anni ‘70 i due si trovavano nello studio di registrazione Castello Di Carimate in Brianza. L’autore di “Burattino senza fili” stava lavorando al suo disco nella Stanza Rossa, mentre Jannacci era impegnato nella registrazione del suo album nella Stanza Verde, due studi uno accanto all’altro. Al cantante milanese capitò di dare un’occhiata al mixer usato da Bennato e dal produttore Alessandro Colombini, notando che, curiosamente, era ricoperto di nastri di scotch bianco con scritto a caratteri cubitali “NON TOCCARE”. Lo scopo era quello di impedire che qualcuno toccasse i faders, cambiando i livelli di regolazione del banco mixer. A quel punto Jannacci, con la sua solita verve da persona arguta, sotto al messaggio di Bennato scrisse le parole “sono solo canzonette”.
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Così nacque l’album dedicato al ragazzino che non voleva crescere
- Ma che sarà…
- Il rock di Capitan Uncino
- Nel covo dei pirati
- Dopo il liceo che potevo far
- L’isola che non c’è
- Rockcoccodrillo
- Tutti insieme lo denunciam
- Sono solo canzonette
IL ROCK DI CAPITAN UNCINO
Raccontata interamente dal punto di vista dell’antagonista della favola, “Il rock di Capitan Uncino” non è una semplice ballata rock, bensì un testo con un significato profondo. Bennato ripropone l’eterna lotta tra Peter Pan e il perfido pirata al quale strappò una mano “per darla in pasto a quel dannato coccodrillo”, facendo narrare, direttamente dalla voce del capitano, tutte le sue sventure e i supplizi che deve sopportare ogni giorno, come l’incompetenza del suo primo ufficiale Spugna e del resto della ciurma.
I punti focali del testo di Bennato sono sostanzialmente due: il lungo monologo di Capitan Uncino e il coro dei pirati.
A differenza di quanto afferma nella canzone “Dopo il liceo che potevo far”, in cui Spugna dichiara apertamente cose come “del movimento mi importa poco, faccio buon viso a cattivo gioco” oppure “e non mi importa dov’è il potere finché continuano a darmi da bere”, dimostrando di non credere nella causa del prode capitano, i pirati de “Il rock di Capitan Uncino” rappresentano quei giovani che negli anni ‘70 e ‘80 si arruolarono nel gruppo terroristico delle Brigate Rosse.
Per Edoardo Bennato, in sostanza i pirati erano coloro che lottavano per l’instaurazione della dittatura del proletariato e la costituzione del comunismo in Italia, convinti di lottare per una giusta causa. In tutto questo, ovviamente, Capitan Uncino è colui che guida le Brigate nella loro assurda crociata, un uomo senza scrupoli che mira al potere totalitario e che è disposto a qualsiasi cosa pur di ottenere ciò che vuole, persino ad usare la violenza contro chi tenta di ostacolarlo.
“Veri pirati noi siam
Contro il sistema lottiam
Ci esercitiamo a scuola a far la faccia dura
Per fare piu’ paura
Ma cosa c’e’ di male?
Ma cosa c’e’ di strano?
Facciamo un gran casino
Ma in fondo lavoriamo per Capitan Uncino.”
“Per scuotere la gente, non bastano i discorsi
ci vogliono le bombe”.
“Chi si arruolerà! Un bel tatuaggio avrà!
ma da quel trampolino, io a chi non vuol firmare
lo sbatto giù nel mare”.
Per tali motivi, la maggior parte delle persone ritiene che “Il rock di Capitan Uncino” non sia solo una semplice ballata rock, ma una forte critica ai movimenti terroristici che nel ventennio ‘70 – ‘80 lottavano contro quella che le Brigate definivano un’occupazione economico-imperialista dello Stato Imperialista delle Multinazionali.