Visto che “stavamo scarsi” – per dirla con un’espressione delle mie parti – a film intrisi di retorica stucchevole, il buon vecchio Ron Howard decide di mettersi dietro la macchina da presa, per sfornarne un altro. E quale mossa migliore, se non quella di recuperare la storia di una famiglia disastrata, per inserirla in un paesaggio piacevolmente pastellato, caricando le interpretazioni fino a farle risultare macchiettistiche? Il gusto tipico del regista raggiunge, in questa pellicola, intitolata “Elegia Americana“, la massima saturazione e la storia, di per sé, non aiuta, essendo il film incentrato sul più classico dei temi, il sogno americano.
Il punto di vista è quello del giovane J.D. Vance, che, tra flash-back e ritorni al presente, racconta la propria personale – che poi vuole essere universale – “elegia”: brillante studente, integerrimo ex marine, a un passo dall’ottenere il lavoro dei suoi sogni, viene risucchiato indietro dai tentacoli di un nucleo familiare non proprio lusinghiero, dal quale, tuttavia, non riesce ad emanciparsi del tutto.
Il rapporto con sua madre è oltremodo snervante: la donna (interpretata dall’ottima, sempre espressiva Amy Adams, una delle poche note positive) ha un vissuto tormentato, che l’ha condotta ad una vita sregolata, ed è animata da quella che definirei una “resilienza isterica”: non sta bene, ma non accetta di farsi aiutare, e tira avanti con odiosa testardaggine. La madre di lei (ed ecco che spunta una perfetta Glenn Close, che non perde un colpo), donna di polso e carisma, cerca di “metterci una pezza”, ma è palese che anche lei abbia la sua bella fetta di responsabilità, nella situazione in cui la figlia versa.
In sostanza, J.D. e sua sorella sono abbandonati a sé stessi. I loro punti di riferimento sono starati, in uno scaricabarile di errori, che si perpetra di generazione in generazione. Però, si sa, i sani principi trionfano sempre, per cui, in un epilogo quantomai scontato, tutti vissero per sempre disastrati, ma contenti.
Se si eccettuano il comparto trucco – con relativa azzeccata scelta di cast, per la somiglianza degli attori con i veri protagonisti di questa storia – e la bella fotografia, questo prodotto ha ben poco altro da offrire: esageratamente melodrammatico, risulta essere la caricatura di sé stesso.
Non si salva neanche la colonna sonora, che pare scollata dal contesto in cui è inserita.
Una fiera di luoghi comuni, i quali risultano anche dalla sceneggiatura, impregnata delle frasi-tipo messe in bocca agli americani, nei film girati da americani, per americani.
In conclusione che dire, se io fossi americana, mi dispiacerebbe proprio essere rappresentata in questa maniera.
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