“Euphoria” è una serie TV, la cui prima stagione è uscita nel 2019, dedicata alle tematiche legate alla Generazione Z.
“Ho conosciuto il sesso quando ero troppo giovane e non lo augurerei al peggior nemico. Fare sesso quando si è giovani nella maggior parte dei casi è una pessima scelta”.
Con queste parole, nel 1998, una giovane Jen Lindley (Michelle Williams) confessava a Dawson (James Van Der Beek) il suo passato, vissuto tra feste, alcol e ragazzi più grandi che si approfittavano della sua ingenuità. Così “Dawson’s Creek”, serie TV andata in onda dal 1998 al 2003, ha accompagnato nel rapportarsi con il sesso (e alle conseguenze che esso comporta) e all’identità sessuale (per esempio, grazie al personaggio di Jack McPhee) gli esponenti della Generazione Y (o Millennial), ossia i nati tra l’inizio degli anni ’80 e la fine degli anni ‘90, sottolineando che la perdita della verginità, così come l’esplorazione e l’accettazione di una vita sessuale, sono dei passi tanto fondamentali quanto delicati nella vita di ogni essere umano. E, in quanto tali, da non prendere assolutamente con leggerezza.
Tuttavia, l’avvento dei drammi adolescenziali, risale agli inizi degli anni ‘90, quando Darren Star ideò una serie TV capace di rivolgersi sia agli adolescenti che ad un pubblico adulto.
“Beverly Hills 90210” segnò una svolta fondamentale nel mondo della serialità, raccontando per la prima volta, attraverso le vicissitudini di un gruppo di studenti californiani, una storia che affrontasse tematiche importanti, come i primi approcci al sesso, l’abuso di alcol e droghe e l’AIDS. Beverly Hills 90210 è stata una serie dal forte impatto culturale che per dieci anni accompagnò la crescita dei protagonisti fino al raggiungimento dell’età adulta.
E dopo l’avvento di “Beverly Hills 90210” i drammi adolescenziali sono diventati un fenomeno sempre più diffuso, evolvendosi e adattandosi a seconda della generazione a cui si rivolgevano. Ogni serie, grazie al proprio linguaggio, aveva il compito di educare e accompagnare gli adolescenti verso l’età adulta. Tra questi, uno dei più importanti è stato “Gossip Girl”. Ambientato nell’Upper East Side di Manhattan, “Gossip Girl” può essere considerato il prodotto seriale che pose fine alla rappresentazione della generazione dei Millennial per far spazio alla famigerata Z Generation (o Generazione Z).
Difatti, i protagonisti avevano tutte le caratteristiche dei futuri esponenti della Generazione Z. Amanti dei festini e del lusso, Serena Van Der Woodsen (Blake Lively) e gli altri protagonisti della serie, facevano un uso sregolato del cellulare che veniva usato come un’arma di diffusione delle informazioni riguardanti i membri dell’alta società, dai piccoli ed innocenti vizietti ai più reconditi e imbarazzanti segreti.
In “Gossip Girl” il cellulare rappresenta, anche se in maniera ingiuriosa, una fonte di informazione. Ma con l’avvento delle serie dedicate alla Generazione Z, è diventato una delle principali armi di distruzione sia fisica che psicologica.
Con l’avvento di internet, e l’abuso continuo che ne facciamo ogni giorno, tanto da non poterne fare a meno, nelle serie TV susseguenti l’uscita di “Gossip Girl”, l’uso compulsivo del cellulare è stata accostato a importanti tematiche come il cyberbullismo; la promiscuità sessuale; i body shaming; le dipendenze; e un fattore fondamentale per la propria crescita come la ricerca dell’identità di genere.
Come scritto in precedenza, le serie TV hanno il compito di rivolgersi e a rappresentare una determinata generazione, affrontando in maniera originale ogni argomento trattato. “Sex Education”, per esempio, riesce ad approfondire materie importanti come la sessualità e l’identità di genere con un formalismo fresco e leggero, e a tratti anche ironico, senza però peccare di profondità. Una perfetta dimostrazione è l’evoluzione che subirà il personaggio di Adam (Connor Swindells). Il passaggio da bullo, affetto da rabbia repressa a essere umano sensibile e insicuro, in cerca del proprio posto nel mondo, viene affrontato con raffinata delicatezza.
A differenza di “Sex Education”, che ha avuto l’enorme merito di affrontare in maniera caustica ma riflessiva la Generazione Z, “Euphoria” esplora, senza alcun filtro, le disfunzionalità psicologiche di ogni personaggio, raccontando il trauma infantile che ha scatenato tali comportamenti, dalla violenza all’omosessualità repressa, dalla dipendenza da alcol e droghe al cyberbullismo, dai body shaming agli abusi.
“Euphoria” è una serie tanto cruda quanto realistica che racconta il percorso autodistruttivo dei ragazzi della Generazione Z partendo dall’esatto momento in cui la loro infanzia è stata stravolta da un avvenimento scioccante.
Avvenimento che, in un modo o nell’altro, ha cambiato la loro intera concezione di esistenza trascinandoli nel turbine oscuro dell’autodemolizione. Sogni infranti, cambiamenti fisici radicali, la morte o l’abbandono di un genitore, conturbanti segreti e spregevoli inganni sono alcuni dei terribili traumi subiti dai protagonisti della serie di Sam Levinson.
Una spirale di odio disfunzionale nel quale si trovano coinvolti sia gli adolescenti che gli adulti, colpevoli di indifferenza, di lesionismo e di pressione psicologica verso i propri figli. Levinson difatti non si limita a mostrare gli errori e gli eccessi dei liceali. Decide invece di enfatizzarli palesando, in maniera piuttosto esplicita, i fallimenti e le mancanze dei genitori.
“Euphoria” quindi non rimane confinato al semplice teen drama. Assume piuttosto i caratteri di una serie di denuncia verso una generazione caratterizzata dagli eccessi ma, allo stesso tempo, condizionata dallo stoicismo o dall’impellente bisogno di autocelebrazione da parte degli adulti. Ecco quindi che le tematiche affrontate da “Gossip Girl” prima e da “Sex Education” poi, si fanno ancora più crude e destabilizzanti. Internet non funge da semplice strumento di divulgazione, ma da vera e propria arma per ricatti e pressioni mentali. Il sesso non è un mero piacere della carne, ma una dipendenza, un mezzo di distruzione, di umiliazione e di sottomissione.
Senza filtri e senza edulcorazioni, “Euphoria” presenta tutti gli stereotipi (se così si possono definire) della Generazione Z.
Rue (Zendaya), protagonista e narratrice della serie, dovrà affrontare le conseguenze della dipendenza da alcol e droghe; Nate (Jacob Elordi), la star del liceo, costretto a convivere con un padre dispotico e a gestire la propria aggressività e la propria confusione sessuale; Jules (Hunter Schafer), in procinto di ultimare la sua transizione sopravvive al bivio tra realtà e immaginazione; Kat (Barbie Ferreira), la “ragazza grassa”, scoprirà il sordido mondo del body shame.
La graffiante verità di “Euphoria” è rivelatrice. Ci svela quella fetta radicale di adolescenti che vive o sopravvive priva di regole. Costretti in qualche modo dalla società, dalla propria famiglia, dalla condizione economica, da una condotta immorale o dal proprio disagio adolescenziale fisico o mentale a crescere troppo in fretta, provando ogni tipo di sregolatezza o eccesso, svendendo il proprio corpo e la propria anima come schiavi di una realtà a cui è sempre più difficile sottrarsi.
Articoli Correlati:
- Blackface: Lo spirito della dannazione in “Them – Loro”
- Motherland Fort Salem: dagli antichi processi all’Accordo di Salem
- Dickinson: L’anima pop della grande poetessa
- Squid Game: vivere o sopravvivere? Da Battle Royale alla serie TV coreana
- Mildred Pierce: una donna in carriera nell’America della Grande Depressione
- Umbrella Academy – l’emarginazione di Vanya