“A Hollywood si annida una colonia di esseri famosi per la loro dissolutezza, la loro corruzione e i facili costumi. Molte di queste star non sanno più come impiegare le loro ricchezze se non abbandonandosi alla lussuria e allo sperpero. I nostri giovani devono dunque prendere esempio da questi modelli di vita? C’è forse ancora qualche dubbio sulla necessità della censura?” Questo fu il discorso di un oratore, stanco dei continui scandali legati a Hollywood, durante un Congresso del 1922, che portò alla successiva creazione de “Il Codice Hays“. La questione della censura trova comunque radici molto più antiche. La diffusione del cinema rappresentò in America sin dagli inizi un pericolo per la pubblica moralità.
Già nel 1896 “The Kiss”, un film realizzato da Thomas Edison fu fonte di numerose proteste per quello “scandaloso” scambio di effusioni tra due amanti.
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Nel 1921 l’industria cinematografica elesse il politico repubblicano (ex deputato ed ex ministro) William Harrison Hays, presidente della “Motion Picture Producers and Distributors Association of America”. Lo scopo di tale mossa era quello di stabilire e mantenere un alto livello di moralità all’interno della produzione cinematografica; senza però abbassare gli standard di qualità delle pellicole.
Troppe erano infatti le lamentele dei benpensanti, stanchi delle situazioni licenziose presenti nei film e dei continui scandali che infestavano Hollywood. Uno su tutti la vicenda del comico Roscoe “Fatty” Arbuckle, coinvolto in un’orgia con tanto di omicidio. Il processo era ancora in corso quando un nuovo scandalo mise a soqquadro Hollywood. L’omicidio dell regista britannico William Desmond Taylor avvenne il 1 febbraio 1922. In seguito si scoprì che le ultime due persone a vederlo vivo furono la giovane attrice Mary Miles Minter, amante del regista, e Mabel Normand, altra brillante attrice. Il colpevole non fu mai trovato. Ciononostante per la Minter e per la Normand, sospettate di avere avuto a che fare con la morte del regista, questo episodio pose fine alle loro carriere.
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L’anno successivo fu la morte di Wallace Reid a sollevare grande scalpore. L’attore, famoso per i suoi ruoli di eroe onesto, morì per una dose troppo forte di droga.
Fu così che nel 1927 l’ufficio di Hays iniziò a stilare la bozza di un regolamento che comprendeva un insieme di norme e di applicazioni particolari atte a specificare cosa fosse o non fosse moralmente accettabile nella produzione di film. Il “Production Code”, meglio conosciuto come “Il Codice Hays”, venne ufficialmente adottato nel 1930. Ma solo nel 1934 entrò effettivamente in vigore.
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Con tre regole generali, undici applicazioni particolari e ventisette postille da usare come linee guida, “Il Codice Hays” è decisamente una delle forme di censura più rigide che Hollywood abbia mai visto. Tale Codice prevedeva dei principi atti ad evitare il turbamento della moralità del pubblico. Nette furono le condanne verso comportamenti di vita scorretti, ambigui e peccaminosi. È opportuno sapere che prima che un regista potesse cominciare le riprese di un film, l’ufficio di Hays doveva leggere la sceneggiatura ed eliminare le parti considerate oscene, oltre ai termini inappropriati.
Solamente dopo aver ricevuto l’approvazione dell’associazione de “Il Codice Hays” un film poteva ottenere i permessi necessari per essere girato.
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Le applicazioni del Codice prevedevano un lungo elenco di situazioni proibite o sconsigliate: delitti contro la legge (tecniche delittuose, brutali assassini, sanguinose vendette, traffico illegale di droga o alcool); rappresentazioni della vita sessuale (adulterio, scene di passione, perversioni, promiscuità razziali e amplessi); scene in cui un uomo e una donna giacevano nello stesso letto; varie forme di oscenità e volgarità (soggetti disgustosi, parolacce, gesti inconsueti); abbigliamento inadeguato (nudità, spogliarelli e abiti indecenti); scene macabre (impiccagioni, crudeltà verso i bambini e gli animali, operazioni chirurgiche).
Era un testo meticoloso, preciso nell’indicare tutti i possibili divieti, tanto da chiedersi quali libertà rimanessero ai produttori che volevano trattare temi e argomenti di vita quotidiana. Tutto doveva essere rappresentato sotto forma di allusioni, mai mostrato esplicitamente.
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I CASI PIU’ FAMOSI DE “IL CODICE HAYS”
L’impatto che il Codice Hays ebbe sulle produzioni cinematografiche fu devastante e le vittime del nuovo regolamento furono molteplici. I primi film a subirne le conseguenze furono quelli della storica serie di Tarzan. In particolare le prime due pellicole “Tarzan l’uomo scimmia” (1932) e “Tarzan e la compagna” (1934). Jane aveva un comportamento troppo ammiccante per le rigide regole del Codice, e il rapporto tra lei e Tarzan era eccessivamente intimo. Hays fece in modo che la scena del film del 1932, in cui Tarzan e Jane sono fianco a fianco nello stesso “letto”, venisse censurata. E il costume di Maureen O’Sullivan, che interpretava Jane, giudicato troppo rivelatore, sostituito con uno più coprente e consono alle regole del Codice.
Anche “Casablanca” ebbe i suoi problemi con la censura. Ma se i membri del Codice Hays non si fossero imposti, uno dei finali più belli della storia del cinema non sarebbe mai stato girato. Joseph Breen, che dal 1935 aveva preso il posto di William Hays ai vertici del “Motion Picture Producers and Distributors Association of America”, desiderava che la passata relazione tra Rick (Humphrey Bogart) e Ilsa (Ingrid Bergam) non venisse raccontata in maniera esplicita. Così il regista Michael Curtiz, costretto a modificare la sceneggiatura, descrisse questo aspetto delle loro vite con una serie di allusioni al loro passato. Ma non solo.
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La prima stesura della sceneggiatura prevedeva che sul finale Ilsa scegliesse di rimanere a Casablanca con Rick, piuttosto che partire assieme al marito Victor Laszlo (Paul Henreid). Una cosa del tutto inaccettabile. Curtiz fu costretto a cambiare l’epilogo dando vita all’indimenticabile sequenza finale del film.
Altri lavori furono censurati solamente qualche anno dopo la loro data di uscita.
E’ il caso del film “Segno della croce”, diretto da Cecil B. De Mille. Nel 1932, anno di uscita della pellicola, molti puritani si indignarono per le scene ad alto contenuto erotico, ma la commissione per la censura intervenne solo nel 1944, costringendo il regista a tagliare circa un’ora di contenuti. Tra le scene cancellate, una delle più conosciute, è quella in cui Claudette Colbert, che interpretava Poppea, fa il bagno completamente nuda in una vasca piena di vero latte di asina, il cui odore sgradevole fece svenire la povera attrice durante le riprese. Recentemente è stata riprodotta una versione del film nel formato integrale, senza le censure applicate nel ‘44.
Uno dei casi più famosi è sicuramente quello di “Via col vento”, capolavoro del 1939 diretto da Victor Fleming e prodotto da David O. Selznick. La battaglia che regista e produttore combatterono contro il sistema della censura fa ormai parte della storia del cinema; così come la famosa battuta che venne messa sotto processo.
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“Frankly, my dear, i don’t give a damn” (“francamente, mia cara, non me ne frega un dannato niente”), poi tradotta in italiano “Francamente me ne infischio”, ha seriamente rischiato di non far parte della pellicola.
La parola “Damn”, infatti negli anni in cui il Codice Hays vigilava sulle produzioni cinematografiche, era considerata una parola vietata. Joseph Breen, ritenendo la frase originale un’espressione di uso comune, era disposto a chiudere un occhio e concedere l’autorizzazione a Selznick di produrre il film, ma essendo il capo della commissione di censura, non poté fare altro che applicare il Codice e vietarne l’utilizzo.
Il produttore, che non voleva assolutamente rinunciare alla battuta di Rhett Butler (Clark Gable), fece allora una cosa che nessun altro aveva mai fatto prima di allora. Scavalcò il sistema andando a lamentarsi direttamente da William Hays. Selznick fece notare al censore che nel dizionario “Damn” non veniva definita come un’oscenità , ma come semplice volgarismo. E come prova della sua tesi mostrò ad Hays un mucchio di riviste a larga tiratura che facevano un uso continuo della parola. A quel punto il censore dovette cedere.
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Selznick pagò una multa di 5.000 dollari per aver violato una regola del Codice, ma riuscì a fare in modo che Clark Gable pronunciasse la frase che entrò nella storia del cinema.
Altro caso celebre fu quello di “The Outlaw” (in italiano “Il mio corpo ti scalderà”), il western di Howard Hughes e Howard Hawks.
Il film era stato girato per essere portato sul grande schermo nel 1941, ma la produzione non aveva fatto i conti con le leggi del “Production Code”, che ne vietò la riproduzione per vari motivi, anche se il fattore scatenante di tale negazione fu l’aspetto di Jane Russell. Nella locandina del film, l’attrice appare con il seno prosperoso messo in bella mostra, e per tutta la durata della pellicola non mancano le scene in cui la Russell (al suo debutto su grande schermo per altro) sfoggia le sue forme con abiti succinti. Lo scopo del regista era quello di provocare le autorità e del Codice e, allo stesso, creare un caso attorno al suo film per attirare la curiosità del pubblico. Ad Howard Hughes ci vollero tre anni di battaglie continue prima di ottenere l’autorizzazione per proiettare su grande schermo “Il mio corpo ti scalderà“.
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Questa vicenda non fu del tutto un male per la pellicola di Hughes, né per la giovane Jane Russell. “The Outlaw” diventò un cult del western ancora prima che uscisse al cinema, e la protagonista finì col diventare una star di Hollywood ancor prima che il pubblico potesse vederla recitare. Non tutti i mali vengono dunque per nuocere.
Certo non mancarono le menti che riuscirono a trovare delle scappatoie per poter girare i propri film senza dover scontrarsi con le rigide regole della censura.
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Uno su tutti fu Alfred Hitchcock. Il Maestro del Brivido infatti trovò diversi stratagemmi per aggirare il sistema. Un esempio calzante è la scena di quello che viene ricordato come il “bacio più lungo della storia del cinema”, nel film “Notorious” (1946). Il Production Code prevedeva che un bacio non durasse più 30 secondi consecutivi. Il lungo scambio di effusioni tra T.R. Devlin (Cary Grant) e Elena Huberman (Ingrid Bergman), sarebbe stato decisamente inappropriato non fosse stato per i continui cambi di inquadratura e le pause che i due amanti si prendevano per parlare tra loro. Due semplici espedienti che consentirono ad Hitchcock di creare una delle sequenza amorose più famose della storia del cinema.
Anche per girare “Psycho” dovette adottare alcuni speciali accorgimenti. Decise di girarlo in bianco e nero, in modo da ridurre la brutalità delle scene sanguinose. Per la famosissima scena della doccia sfruttò la particolare tecnica chiamata “montaggio serrato”. Consiste nel mostrare allo spettatore solamente una parte di ciò che sta accadendo, lasciando il resto all’immaginazione. Infatti, non c’è un solo fotogramma in cui viene inquadrato il coltello che colpisce il corpo di Marion Crane; e il liquido che vediamo scivolare nello scolo della doccia è in realtà cioccolato fuso.
E’ proprio il caso di dire “fatta la legge, trovato l’inganno”.
Persino l’animazione venne censurata. Un esempio è Betty Boop, che prima dell’avvento del Production Code indossava un vestitino corto ed una giarrettiera. Ma con l’applicazione del Codice, Betty dovette dire addio alla giarrettiera e indossare un abito più consono alle nuove regole.
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Il film che decretò il definitivo crollo della censura fu “Psyco“. Difatti mostrava alcune sequenze che sotto l’impero di Breen e del Production Code sarebbero state messe al bando. La pellicola di Hitchcock mostrò al pubblico scene di sesso, nudità e violenza come nessuno aveva mai osato fare prima. La definitiva abolizione del “Production Code” fu nel 1967 per fare spazio al nuovo “MPAA film rating system”, ovvero il sistema per valutare che un film sia “adatto a tutta la famiglia”, “per bambini accompagnati da genitori” e “solo per un pubblico adulto”