“Il colore viola”. Soprusi e Girl Power nel dramma musicale di Blitz Bazawule.
La trama de “Il colore viola” dovrebbe essere ormai cosa nota per tutti gli appassionati di cinema e non, ma per sicurezza… La storia parla di Celia Harris, una ragazzina separata dall’amata sorella Nettie e costretta a sposare Albert “Mister” Johnson, un uomo che definire odioso è davvero riduttivo.
Celia, interpretata magistralmente da Fantasia Barrino, si troverà ad affrontare una realtà violenta e degradante. E sarà solamente grazie all’aiuto Sofia, una donna forte e decisa a non farsi sottomettere da nessun uomo/padrone, e Shug Avery, una cantante di successo con la reputazione di essere una fanciulla dai facili costumi, che Celia riuscirà a riprendere il controllo della propria vita.
Comincia così il calvario della giovane Celia, obbligata a sottostare alle regole di una società razzista e patriarcale e a tutti gli abusi e le umiliazioni di un marito dispotico, alcolizzato e violento.
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Il contenuto del film in effetti potrebbe essere riassunto in un unica iconica frase, pronunciata proprio da “Mister” Johnson e indirizzata a quella moglie che per anni è stata vittima del suo essere un uomo aggressivo, estremamente prepotente: “sei brutta, sei povera, sei negra e sei una donna: non sei niente di niente!”
Adattamento cinematografico del musical di Broadway “The Color Purple”, tratto a sua volta dal romanzo di Alice Walker, “Il colore viola” (2023) è la seconda trasposizione cinematografica dopo l’omonima pellicola del 1985 diretta da Steven Spielberg.
“Il colore viola” (2023) si presenta come un dramma dal forte sapore blues, o un musical dalle tinte drammatiche (dipende dai punti di vista).
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Ma la decisione di rappresentare una storia così tanto drammatica in chiave musicale è solo una delle tante scelte ben fatte del film diretto da Blitz Bazawule.
Il regista, difatti, ha il chiaro pregio di riportare sul grande schermo un dramma diventato Cult, trasformando il modo di comunicare al grande pubblico, mantenendo il contesto originale. Il messaggio, difatti, è chiaro.
Oltre ad una regia dinamica e una sceneggiatura che rivela, denuncia due tematiche importanti, seppur difficili come il patriarcato e il femminismo, eccelle una fotografia colorata e accesa. Soprattutto nelle scene coreografiche. Che, puntualizzerei, non danneggia l’intensità del film.
A differenza del suo illustre predecessore, Steven Spielberg (che figura tra produttori assieme a Oprah Winfrey), Bazawule sceglie di dare un tono meno angoscioso alla storia, ma altrettanto drammatico e commovente.
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L’idea di rappresentare le emozioni, i tormenti e le sensazioni dei personaggi attraverso la musica è una scelta coraggiosa quanto vincente. In una pellicola che tratta argomenti complicati come il razzismo e il maschilismo, sebbene siano questi imposti dai dettami della società americana qui figurata nei primi anni del ‘900, il blues è onnipresente nella pellicola e si rivela una parte portante della messa in scena prediletta da Blitz Bazawule.
Invero, per quanto la musica sia parte integrante della storia, è grazie all’espressività, all’intensità degli interpreti che il blues e le coreografie riescono a enfatizzare e non a minimizzare il dolore e la rabbia di Miss Celia Harris.
Le interpretazioni sono difatti semplicemente sublimi. Fantasia Barrino dimostra tutta la sua bravura sia recitativa che canora nel ruolo che fu di Whoopi Goldberg (la quale compare in un piccolo cameo).
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E Taraji Henson e Danielle Brooks, rispettivamente Shug e Sofia, si dimostrano le spalle perfette per accompagnare Miss Celia nella sua crescita personale.
Senza nulla togliere ovviamente a Colman Domingo, che riesce a impersonare “Mister” Albert Johnson in maniera veramente mirabile.
Da segnalare anche il contributo di Halle Bailey, la discussa protagonista del live action de “La Sirenetta”, che, sebbene compaia solamente nella prima parte del film, riesce a dare corpo, anima e, soprattutto, voce a Nettie Harris, sorellina ribelle e determinata della protagonista.
“Il colore viola” merita quindi una menzione d’onore tra i film che vale la pena vedere. Anche se si tratta di un film estremamente godibile, ovviamente, “Il colore viola” (2023) ha i suoi bei difetti. La parte finale potrebbe risultare un po’ troppo superficiale se non, addirittura, deludente. L’atto conclusivo infatti avrebbe dovuto mostrare e approfondire aspetti fondamentali come la redenzione e il ricongiungimento. Ma purtroppo, il tutto rimane in superficie se non in sospeso. Troppo repentine le evoluzioni, i cambiamenti di molteplici personaggi. Troppo scontati e trascurati quelli che avrebbero dovuto essere i momenti più commoventi della storia di Celia Harris.