Ed eccoci giunti al capitolo n. 3 del Manuale del perfetto fan del doppiaggio – o Come saper apprezzare una professione complessa e stratificata, che con l’improvvisazione non ha nulla a che vedere, fate un po’ voi.
Abbiamo precedentemente appurato che conditio sine qua non per addentrarsi nell’esperienza del – buon – doppiaggio, sia quella di essere attori. Eh sì, a buttarci nella mischia, saremmo potenzialmente tutti in grado, il problema sarebbe il risultato. In un breve video, presentato in un episodio del “Jimmy Kimmel Live!”, il monumentale Gary Oldman si scaglia contro i vari atleti che vediamo sguinzagliati – termine che sottintende la qualità della recitazione di cui danno prova – in molti film. Il mestiere dell’attore richiede studio, dedizione e… lascio la parola a lui, che, recitando divinamente, sa spiegare meglio di me cosa io intenda:
Un discorso del genere può chiaramente essere applicato a qualsiasi mestiere. Nella fattispecie a quello del doppiatore, il quale, oltretutto, è solo uno degli anelli di una catena di figure professionali.
Il lavoro sporco – quello per cui si leva il coro degli “eh, ma l’originale è diverso!!!” – è affidato al traduttore–adattatore o dialoghista, il quale ha il compito di trasporre in maniera quanto più possibile aderente alle intenzioni originali, il copione del prodotto cinematografico o televisivo da doppiare. Oltre a restituire il senso di quanto vi trova scritto, dovrà prestare particolare attenzione alla lunghezza delle parole da utilizzare, in modo da non inficiare il tempo di lettura e il sincronismo labiale dei dialoghi.
Prima di passare il testimone alla figura successiva, il prodotto subisce un’opera di frazionamento, per cui in studio arrivano la copia originale e la colonna internazionale (o M/E), contenente la colonna sonora e priva delle voci.
A questo punto, entra in scena il direttore di doppiaggio, incaricato di selezionare gli attori con le caratteristiche vocali più adatte a rappresentare un determinato personaggio – compito non da poco. Provate a immaginare un Massimo Decimo Meridio senza Luca Ward, un Aragorn senza Pino Insegno, un Forrest Gump senza Francesco Pannofino… eresia!!!
Ed ecco che subentra il doppiatore, il quale occupa il terzo posto, in questo olimpo di professionisti.
Non solo deve seguire intonazioni e rispettare movimenti dell’attore in scena; ma deve anche metterci del suo, stando attento a non strafare, a non eccedere nell’enfasi. È necessario che la sua interpretazione risulti neutrale rispetto a quella originale. Perché se ci trovassimo di fronte a un doppiaggio artefatto, scollato rispetto alla gestualità del personaggio su schermo, di certo non riusciremmo a goderci lo spettacolo.
È in una camera insonorizzata, al buio, che si compie la magia. Il copione, diviso in “anelli” (porzioni di film, così denominate perché, all’epoca della pellicola, quest’ultima veniva divisa in segmenti chiusi ad anello, proiettabili più volte) viene sottoposto al “doppiattore” – mi si consenta di citare questo termine, coniato dal mitico Angelo Maggi -, il quale ha in cuffia la voce originale da ascoltare più volte, e le sue battute su un leggio, da provare sotto la supervisione del direttore, seguendo su uno schermo la recitazione del suo personaggio, avendo l’accortezza di rispettare la sincronia con il suo labiale.
Non meno importanti sono le mansioni ricoperte da figure collaterali, prettamente tecniche.
L’assistente al doppiaggio, con il compito di controllare che il doppiatore sia in sincrono con l’attore al quale presta la voce; il sincronizzatore, che ottimizza il sincronismo, agendo manualmente su quella che un tempo era la pellicola, e che oggi è un file digitale; il fonico, cui è affidata la qualità delle incisioni; il fonico di mix, che riallinea ed armonizza tutti i suoni, voci e colonna sonora.
La tipologia di doppiaggio fin qui descritta, è quella in sincrono, per cui la voce del doppiatore si sostituisce completamente all’originale. È la tecnica per cui un doppiatore può esprimere al meglio il proprio virtuosismo recitativo; insisto su questo punto, a sottolineare la necessità della preparazione attoriale, per lo svolgimento di questo mestiere.
Un’altra tipologia, cui in genere si ricorre per doppiare documentari o interviste, è quella in oversound, “con la mia voce originale in sottofondo: è tutto fuori sync, al solo scopo di urtarti i nervi”, per citare un divertentissimo video dell’attore ed influencer Cosma Brussani. La tecnica consiste in una sorta di traduzione simultanea del soggetto che parla, e non è importante né che il doppiatore gli rimanga incollato, né che sia in sincrono… insomma, ce lo avete presente “il buon vecchio doppiaggio di MTV?” Ecco, proprio quello!
Dunque, un’équipe ben nutrita di professionisti lavora nelle tenebre per permetterci di fruire di un prodotto nella nostra lingua, dando spazio a delle vere e proprie eccellenze della recitazione italiana, che sanno imporsi anche senza metterci la faccia. Anche se essere riconosciuti per la propria, caratteristica voce, non deve essere meno gratificante.
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