Con il crollo di Wall Street del 1929, la Grande Depressione colpì anche l’industria cinematografica. Il popolo americano, afflitto dalla situazione economica del paese, non era più interessato ad andare al cinema. Le grandi produzioni, per reagire a questa grande crisi economica e destare nuovamente la curiosità del pubblico, iniziarono a realizzare pellicole con molte più allusioni sessuali e scene di violenza. Nel 1930 venne redatto il Production Code, un insieme di norme che per i futuri vent’anni avrebbe regolato, governato e limitato le produzioni cinematografiche americane.
Ma fino al 1934, tale codice non entrò ufficialmente in vigore. In quella che la storia del cinema ricorda come era pre–codice (dal 1930 al 1934), i registi e i produttori di Hollywood realizzarono una serie di pellicole violente e promiscue; colme di atteggiamenti provocanti e sequenze veementi (ovviamente secondo gli standard degli anni ’30), non conformi alla mentalità perbenista degli americani. Difatti, in film come “Baby Face” (1933) o “La donna dai capelli rossi”, le protagoniste sono donne attraenti che sfruttano la propria sensualità per arrivare ai vertici della società.
Il messaggio morale dei film veniva messo in discussione. I protagonisti, pur consapevoli di aver compiuto gesti viziosi, erano restii dal pentirsi delle proprie azioni.
Tuttavia, le pellicole dell’era pre–codice riuscirono a creare un senso di destabilizzante curiosità non soltanto per le allusioni sessuali, ma soprattutto per le scene con un alto tasso di violenza. Questo accadeva in special modo nei gangster movie come “Scarface – Lo sfregiato” (1932) e “Nemico Pubblico” (1931).
Fomentatori dell’inizio della censura furono le organizzazioni religiose. Come già accaduto nei secoli passati, pretendevano di avere il controllo anche su questioni non propriamente legate alla chiesa. I più alti esponenti della fede temevano che i riferimenti sessuali e le scene di violenza proposte su grande schermo, potessero corroborare l’anima e il buon senso degli spettatori. Donne dai facili costumi e gangster non erano certo dei buoni esempi per la società morigerata degli anni ’30.
Fu così che nel 1933 la Chiesa Cattolica Americana fondò la Legione della Decenza. Si trattava di un’organizzazione votata a identificare, e quindi a arginare, i contenuti immorali delle produzioni cinematografiche. Nondimeno, il vero potere della Legione della Decenza non era quello di porre il veto su determinati contenuti; bensì la capacità di persuadere la popolazione ad evitare la visione di pellicole etichettate come illecite. Tale ideologia si diffuse rapidamente in tutti gli Stati Uniti.
Nel 1921 i leader delle maggiori case di produzione fondarono la Motion Picture Producers and Distributors Association of America. Un’associazione di autocensura a cui misero a capo William H. Hays.
Hays era un politico repubblicano; fedele membro della chiesa presbiteriana nonché un uomo dai sani principi morali. Istituita allo scopo di evitare una legge di censura federale, a causa delle numerose lamentele dei benpensanti per i contenuti immorali nel mondo del cinema, la Motion Picture Producers and Distributors Association of America incaricò Hays di redigere un documento che stabilisse delle linee guida che ogni regista e produttore doveva obbligatoriamente seguire nella realizzazione dei prodotti cinematografici.
Hays e il suo ufficio nel 1927 avevano stilato la bozza di un regolamento non ufficiale, per disciplinare i comportamenti nella vita privata degli attori. Lo scopo era quello di evitare fatti di cronaca spiacevoli; come i festini a base di alcol, sesso e droga di Rosco “Fatty” Arbuckle. Tale documento servì ad Hays e il suo team come base per redigere il Production Code nel 1930.
Considerata le necessità, dopo il crollo di Wall Street, di riportare il pubblico nelle sale per risollevare gli incassi, il Codice venne immediatamente reso ufficiale; anche se l’effettiva entrata in vigore fu rimandata. L’influenza e l’incombenza della Legione della Decenza, costrinse la Motion Picture Producers and Distributors Association of America ad approvare definitivamente il Production Code. Nel 1934 entrò ufficialmente in vigore. Assieme al Codice, Hays istituì anche un ufficio di amministrazione. Gestito da Joseph Breen, compito dell’ufficio era quello di analizzare le sceneggiature e porre tagli e veti prima dell’inizio delle riprese.
Ogni sceneggiatura doveva essere visionata e approvata dall’ufficio di Hays. Gli script eticamente accettabili venivano contrassegnati da un “sigillo di approvazione morale”. Ma tale sigillo non era applicabile ai film che violavano le norme del Codice.
Il Codice regolava ogni tipo di contenuto, dal sesso alla religione, dalla violenza al pudore, dalla rappresentazione di alcol e droghe al razzismo.
I crimini, per esempio, dovevano essere rappresentati in maniera tale che lo spettatore non provasse simpatia per il malvivente o giustificasse il suo comportamento e, tanto meno, che nutrisse un desiderio di emulazione; erano vietate rappresentazioni di furti, attentati, incendi dolosi, traffico e uso di droga, e l’uso di armi era limitato all’essenziale; l’assunzione di alcol doveva essere moderata e mostrata solo per specifiche esigenze di copione; le pellicole avevano il compito di raffigurare la santità matrimoniale; talvolta l’adulterio era necessario ai fini della trama, ma non se mostrato esplicitamente; ovviamente era vietato giustificarlo o metterlo in scena in maniera tale da istigare lo spettatore a emularlo; scene di passione e d’amore non potevano essere girate, a meno che non fossero essenziali per lo svolgersi del trama.
Erano proibite: scene di violenza; nudità; schiavismo bianco; relazioni amorose tra persone di diversa etnia; malattie veneree; parti: danze lascive e provocatorie.
Doveva essere promossa l’educazione e il buon gusto. Era negata la pronuncia di termini scurrili e nominare il nome di Dio, Gesù; se non pronunciata un esponente religioso; o qualsiasi altra blasfemia; nessuna fede religiosa doveva essere ridicolizzata.
Seguendo i canoni dettati dal Codice, gli studios produssero pellicole che entrarono nella storia del cinema, nonostante le limitazioni imposte sia a livello registico che di sceneggiatura.
Per esempio, in “Accade una notte” (1934) Pietro Warne (Clark Gable), a causa di una serie di singolari eventi, si trova costretto a condividere una camera con Ellie Andrews (Claudette Colbert), già promessa sposa di un ricco uomo di New York. Per rispettare il regolamento del Codice, secondo cui un uomo e una donna non sposati non potevano condividere lo stesso letto; o la stessa camera; il regista fece sì che Clark Gable separasse i due letti con una coperta stesa su una corda.
I registi e gli sceneggiatori erano costretti a giocare con la loro fantasia. Dovevano ricorrere ad allusioni e sottintesi, per creare prodotti che risultassero godibili e divertenti, senza però violare le norme del Production Code. E’ il caso de “L’orribile verità” di Leo McCarey. Cary Grant e Irene Dunne interpretarono Jerry e Lucy Warriner, una coppia il cui divorzio diventerà effettivo dopo sei mesi. Per tutto l’arco del film il pubblico ovviamente si aspetta che i due tornino insieme e spera di vederli condividere il letto prima che scocchi la mezzanotte al termine dei sei mesi. Nella scena finale, per rendere l’idea di quello che sta per accadere, il regista adottò una tecnica allusiva, mostrando un orologio mentre le lancette si avvicinano alla mezzanotte.
Altro argomento considerato tabù era l’omosessualità. Molte sceneggiature che trattavano tale tematica subirono delle sostanziali modifiche dopo essere state etichettate come immorali da parte dell’ufficio di Hays.
Ne “La calunnia” di William Wyler, adattamento dell’omonima commedia teatrale, la presunta attrazione tra le due protagoniste, Karen (Marle Oberon) e Martha (Miriam Hopkins), si trasformò in un triangolo amoroso. Difatti, entrambe si innamorano del dottor Joe Cardin (Joel McCrea). Anche il remake che Wyler girò 1961, “Quelle due”, con protagoniste Audrey Hepburn (Karen) e Shirley MacLaine (Martha), incappò in diversi tagli da parte della commissione per la censura. Tuttavia l’attrazione di Martha verso la sua amica emerse in maniera piuttosto esplicita, anche se rappresentata come una colpa. La stessa cosa successe alla versione cinematografica del dramma teatrale di Tennessee Williams “La gatta sul tetto che scotta”. L’ex giocatore di football Brick (Paul Newman), non riesce a giacere con la sua bellissima moglie Maggie (Elizabeth Taylor). La sua latente omosessualità venne implicitamente figurata come una forte amicizia tra lui e il suo compagno di squadra Skipper.
Ma non tutti i mali vennero per nuocere.
Il Production Code rimase in vigore per oltre trent’anni (fino al 1967), censurando e ponendo veti su innumerevoli pellicole. Anche se dopo il pensionamento di Breen (1956) il sistema si ammorbidì molto. Tuttavia, tali restrizioni diedero modo a registi e sceneggiatori di lavorare al massimo della propria creatività per elaborare trame, dialoghi e situazioni raffinate che non violassero le normative del Codice. In questo periodo, per esempio, nacque la Screwball Comedy, un genere di commedia molto sofisticato che giocava tutto il suo humor sul botta e risposta e sulle battute incalzanti degli interpreti. Esempi di questo tipo di commedia furono: “L’orribile verità”, “Susanna!”, “Scandalo a Filadelfia”, “Accadde una notte”, “La signora del venerdì”, “È arrivata la felicità”.
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