“Il Sabba”, in originale “Akelarre”, è un film spagnolo del 2020 diretto da Pablo Agüero. Vincitore di 4 premi Goya, “Akelarre” è principalmente un dramma storico che si sviluppa sullo sfondo della persecuzione alle streghe nel Paese Basco nel 1600, a opera dell’Inquisizione spagnola.
TRAMA

Il giudice Pierre De Lancre, insieme ad altri due uomini, viaggia per il Paese Basco alla ricerca di streghe in quanto rappresentante della Corona e della Chiesa. I tre uomini giungono in un piccolo paese di marinari trovandovi solo donne, essendo tutti gli uomini via per mare. L’unico uomo rimasto nel paesino è il parroco locale, ma a nulla servono le sue parole di rassicurazione circa la fede delle sue compaesane.
Il giudice è convinto che sei ragazzine siano streghe e che abbiano celebrato un Sabba –Akelarre in lingua basca – nel bosco. Mentre si trovano incarcerate, senza neppure sapere cosa siano una strega o un Sabba, le ragazze pensano di prendere tempo fino alla prossima luna piena, momento in cui gli uomini del paese faranno ritorno a casa e potranno salvarle. Per raggiungere il loro scopo, una delle accusate, Ana, suggerisce alle amiche di mentire agli inquisitori e dire loro tutto ciò che vogliono sentirsi dire.
ANALISI DEL FILM
‹Parli cristiano, Padre›, dice uno dei “forestieri” al parroco del paese quando questi usa la lingua locale. Il film gioca infatti sulla contrapposizione tra il castigliano, lingua della Chiesa e della Corona, e il basco, considerata una minaccia dalle autorità. Un popolo che confabula in una lingua incomprensibile è pericoloso; ed è ancor più pericoloso se a confabulare è un gruppo di giovani donne libere. E mentre il parroco ci metterà poco a convincersi a comunicare solo in castigliano, Ana e le altre ragazze non smetteranno mai di utilizzare il basco per parlare tra di loro e per cantare la canzone incriminata, quella che avevano cantato nel bosco, considerata un’invocazione a Satana: ‹Ez dugu nahi beste berorik, zure muxuen sua baino› (“non vogliamo altro calore che il fuoco dei tuoi baci”).

Il basco è una lingua considerata isolata, vale a dire una lingua che non ha legami con nessun’altra lingua esistente. I linguisti non sono ancora stati in grado di rintracciare la sua origine. Ed è probabilmente a causa del mistero che avvolge il basco che i giudici del film la considerano la favella del demonio. È la classica paura dell’ignoto, di ciò che non si comprende e che non può essere ricondotto entro i confini di qualcosa già noto. Paura scaturita anche dalla vitalità e gioia delle ragazzine, le cui giornate sono costellate di balli, canti, gite nel bosco e chiacchierate sui primi amori.
LA DANZA COME FORMA DI RESISTENZA
Le ragazze prendono le redini della situazione e utilizzano gli stessi mezzi dei loro oppressori per prendersene gioco e per non soccombere al loro moralismo. Ana inventa la più elaborata storia per convincere i suoi accusatori che sì, lei è una vera strega, utilizzando la sua bellezza per stordire il giudice, sempre più ossessionato dallo scoprire tutti i dettagli relativi al Sabba. Questo perché neppure gli inquisitori sanno cosa sia e come si svolga il rito di cui conoscono solo il nome.

Il “guscio vuoto”, un significante senza significato, viene così raccolto da Ana che, dettagliatamente, lo inventa e definisce in lingua castigliana (lo riempie), mentre gli uomini si affannano a prendere appunti.

La lingua degli oppressori diventa così un’arma nelle mani della giovane e sveglia Ana, che assume su di sé tutte le caratteristiche e le azioni imputatele, performando la stregoneria in maniera volutamente esagerata. De Lancre, infatti, vuole vedere la magia, e procurerà ad Ana tutto il necessario per mettere in atto un vero e proprio Sabba davanti agli occhi dei rappresentanti della Chiesa e della Corona.
L’ultimo atto di resistenza delle ragazze–streghe sarà dunque una danza perfettamente coreografata e musicata, un inno di libertà messo in scena dentro i confini della loro marginalità e che raggiunge lo scopo di mettere in ridicolo le autorità lì presenti, attraverso un meccanismo di imitazione delle idee di quelle stesse autorità – Homi Bhabha (mi concederete questa piccola parentesi), nella sua analisi dei rapporti coloniali, sostiene infatti che il colonizzato copi e ripeta in maniera eccessiva la cultura del colonizzatore, che quest’ultimo propone come modello da assumere. L’imitazione e la performance esagerate deridono proprio quel modello proposto da chi si trova in una posizione dominante, arrivando a distruggerne l’autorità. Credendo di essere stati accontentati e di aver vinto un’altra battaglia contro la blasfemia, in realtà gli uomini non si rendono conto di essere stati derisi; a trionfare, l’autodeterminazione delle giovani.
CONCLUSIONI

Il modo di agire delle ragazze sicuramente è troppo moderno per delle giovani senza educazione cresciute in un paesino. Il film adotta infatti un punto di vista contemporaneo che fa parte, a mio parere, del suo gioco di ricostruzione storica. Non è quello che è accaduto (purtroppo), ma quello che sarebbe potuto accadere o che ci piacerebbe fosse accaduto. E se questo approccio rende “Akelarre” forse artefatto perché non aderente alla realtà storica – ma, fortunatamente, è pur sempre Arte quella di cui stiamo parlando – a bilanciare il tutto ci pensano le splendide scenografie e i costumi. In ultima istanza, se non lo avete ancora visto, vi lascio dicendo che “Akelarre” non è un film sulla stregoneria, ma su quello che la stregoneria ha significato e prodotto nel passato. Un film da guardare per riflettere, piuttosto che per spaventarsi… ma che spero vi terrorizzi ugualmente.
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