L’analisi di “Intervista col vampiro”, il film del 1994 tratto dall’omonimo romanzo di Anne Rice.

Nel 1994 Neil Jordan dirige “Intervista col vampiro”, film tratto dall’omonimo romanzo di Anne Rice e con una sceneggiatura scritta dalla stessa autrice. Il film, divenuto un cult soprattutto per gli amanti dei succhiasangue, vede come protagonisti Brad Pitt e Tom Cruise, spalleggiati da una giovanissima ma già bravissima Kirsten Dunst.
Trama
1993: il giornalista Daniel Malloy (Christian Slater), al quale piace “collezionare storie”, sta intervistando in una camera d’albergo Louis (Brad Pitt). Louis afferma di essere un vampiro e di voler raccontare nel dettaglio la storia della sua vita, resa misera proprio dal dono oscuro dell’immortalità. Louis non parte dal principio, ovvero dalla sua nascita e giovinezza (“come David Copperfield”, afferma lui), ma decide di iniziare dal momento in cui è iniziata la sua seconda vita come vampiro. Siamo nel 1791, nella New Orleans schiavista, quando Louis era un proprietario terriero che, sconvolto dalla morte della moglie e della figlia, non desiderava altro che la morte per riunirsi a loro.

È in questo momento di grande vulnerabilità che incontra Lestat (Tom Cruise), un vampiro che lo stava tenendo d’occhio e che decide di renderlo a sua volta un immortale, in modo da avere un compagno con cui condividere l’eternità. Louis però è ben diverso dal crudele e senza scrupoli Lestat. Difatti non riesce ad accettare la sua nuova condizione, soprattutto perché significa uccidere essere umani per sopravvivere. Nonostante gli screzi, i due sembrano trovare una stabilità quando nella loro (non)vita entra Claudia (Kirsten Dunst), una bambina che Lestat rende vampira e decide di tenere come se fosse figlia loro.
A questo punto è semplicemente troppo complicato scrivere la trama senza fare spoiler; la lascerò così continuando nella mia analisi, con la speranza che abbiate visto il film.
Analisi
Per alcuni, “Intervista col vampiro” è una storia d’amore (omosessuale); per altri, che rifiutano questa lettura, è semplicemente un monster movie. I monster movies sono il “luogo” migliore in cui nascondere sottotesti queer – basti anche solo pensare al rapporto tra Henry Frankenstein e il dottor Pretorius in “La moglie di Frankenstein” di James Whale (1935). Ma molto spesso questi film si concludono con una risoluzione che ristabilisce l’equilibrio eteronormativo (Pretorius muore e Frankenstein torna tra le braccia della moglie).

In “Intervista col vampiro” è quasi impossibile non notare la forte componente omoerotica: Lestat afferma esplicitamente di amare cibarsi di giovani uomini, oltre che di giovane donne, dopo averli sedotti, e la relazione che instaura con Louis arriva fino al punto di adottare una bambina – “un’unica famiglia felice”, dirà Lestat. Conscia che le situazioni e i personaggi usciti dalla sua penna fossero chiaramente omoerotici, Rice affermò che nessuno avrebbe voluto farne un film. Inoltre era convinta che nessun grande attore vi avrebbe voluto recitare.
Per assecondare la Hollywood omofoba, l’autrice allora riscrisse il ruolo di Louis cambiandone il sesso, in modo da mettere al centro del discorso una coppia eterosessuale.
Il genderswap non andò in porto nel momento in cui la regia venne affidata a Neil Jordan, il quale aveva dimostrato di saper gestire materiale queer in maniera accettabile1, dal punto di vista di Hollywood, con “La moglie del soldato”(1992). Si poteva dunque procedere alla rappresentazione dei due protagonisti, grazie anche alla “maschera” protettiva del vampirismo che lascia pochi dubbi sulla mostruosità dei personaggi.
Dall’altro lato però i personaggi di Lestat e Louis sono profondamente umani e completamente concentrati solo su loro stessi, i loro sentimenti e le loro identità, senza alcun antagonista che voglia distruggerli. Allo stesso tempo (qui arriva un ulteriore “però”), la loro relazione non andrà a buon fine; l’equilibrio iniziale con la figlioletta durerà poco (“poco” in termini vampireschi, circa trent’anni) e la famiglia finirà con lo sfasciarsi. In più, la queerness – soprattutto di Lestat – sbocca sempre nella violenza, spesso indirizzata contro le donne.
Lestat
Nulla sappiamo della vita di Lestat prima di diventare un vampiro; lo incontriamo nel momento in cui conosce il vero protagonista, Louis, il polo positivo della coppia. Il personaggio di Lestat, infatti, non va verso una rappresentazione positiva della non–eteronormatività: sembra accettare la propria “condizione”, eppure è sempre arrabbiato e molto violento, forse anche geloso del compagno. L’unica persona verso cui pare affettuoso è Claudia. La quale però cova un odio profondo verso il padre acquisito, colpevole di averla strappata alla madre e alla vita terrena, negandole così la possibilità di crescere e diventare donna.

La genitorialità di Lestat si rivela un completo fallimento al punto da perdere il ruolo di padre, rinnegato in maniera abbastanza chiara da Claudia. La famigliola era ormai diventata un nido di tossicità da cui fuggire; l’eteronormatività può così imporsi quando Lestat viene fatto fuori e Louis resta solo con Claudia, andando a costituire una nuova coppia che spesso sembra toccare la linea di confine con l’amore romantico.
Louis
Louis è, come detto in precedenza, il polo positivo, quello che non smette di soffrire e di sentirsi colpevole per le vite che strappa. Dopo l’uscita di scena di Lestat e la fuga di Louis e Claudia alla volta dell’Europa, il film chiude un arco narrativo e ne apre un altro meno lineare, quasi più fiabesco e metacinematografico; mi viene in mente la scena in cui dei vampiri si fingono umani ma recitano la parte dei vampiri in una rappresentazione teatrale per cibarsi delle vittime direttamente sul palco. L’intero film pare sfaldarsi man mano che si procede verso il presente filmico, quando Louis sta raccontando la sua vita al giornalista. Si sfalda e decade come il corpo di Lestat che appare in altre due occasioni, nonostante ormai lo si considerasse morto-morto. Il dissidio interiore di Louis non cessa, così come il dolore di Claudia, e nuovamente l’apparente idillio viene meno.

La coppia etero Louis-Claudia viene minacciata infatti – e ovviamente – da un altro uomo, un altro vampiro, Armand (Antonio Banderas). Louis appare fortemente attratto da lui, e il climax della tensione si raggiunge in una scena in cui i due per poco non si baciano. La paura è generata dalla pericolosa vicinanza delle loro labbra, ma “Intervista col vampiro” ancora una volta si allontana da questa sessualità queer per riaffermare i valori eteronormativi. Armand è subito percepito come un pericolo da Claudia che, timorosa di essere abbandonata da Louis per il nuovo arrivato, gli chiede di vampirizzare una donna per renderla sua compagna: ancora abbiamo un avvicinamento a coppie omosessuali solo per poi distruggerle e lasciare Louis solo – anche l’incontro finale con Lestat nel 1988, inevitabilmente, non avrà esito positivo.
Claudia
Due paroline vanno spese anche per Claudia che è probabilmente il personaggio più tragico del film. Come una Cecilia di manzoniana memoria, la vita di Claudia è sconvolta dalla pestilenza quando è ancora una bambina; ad attenderla però non c’è la morte, bensì il bacio della vita eterna. Vorace, curiosa e senza scrupoli (come tutti i bambini), Claudia prende tutto quel che può dagli altri, sviluppando una rabbia interiore molto simile a quella di Lestat. Claudia non può crescere ed è costretta a scoprirsi, acquisire consapevolezza di sé e dei propri sentimenti senza però cambiare mai nell’aspetto esteriore. Una condizione che la costringe a vivere in un limbo di eterna insoddisfazione.

Il finale
Ancora una volta la situazione si ribalta nel finale. Quel vampiro che per tutto il film ci è stato presentato come “eccessivo” e dunque destinato ad un lungo e doloroso decadimento, in realtà non soccombe affatto. Louis ha perduto invece ogni briciolo di speranza; ancor di più perché l’intervistatore si rivela completamente rapito dal suo racconto, al punto da desiderare anche lui il dono oscuro, in modo da “guardare il mondo con i tuoi occhi”.

Louis non ha mai accettato la sua condizione ed è lui il personaggio dannato che non può in alcun modo sopravvivere, a differenza di Lestat. Troppe le riflessioni, ma concludo con una dichiarazione di Anne Rice rilasciata per Varietydopo la visione del film: “[…][il film] ha permesso ai miei vampiri, tormentati e outsiders, di trascendere il gender e di parlare di questioni riguardanti la vita e la morte, l’amore, la solitudine, la colpa e il dolore”.
1 Harry M. Benshoff, Monters in the closet: Homosexuality and the horror film, Manchester University Press, 1997, p.270.
