“La bella estate”. Ilaria Luchetti adatta il racconto di Cesare Pavese in una pellicola autoriale e estremamente profonda.
Spesso capita che opere ormai considerate datate risultino comunque tremendamente attuali. Non a caso infatti, molti romanzi del secolo scorso possono tranquillamente essere riadattati alla vita odierna. Parlando di alcune tipologie di pensiero che ancora oggi sono oggetto di dibattito. L’esplorazione sessuale, per esempio. In particolare la libertà di esprimere la propria identità di genere senza doversi curare del giudizio di una società che, ora come allora, non è ancora pronta ad accettare chi “non è conforme alla legge della natura”.
Una di queste opere è senza dubbio “La bella estate” di Cesare Pavese. Scritto nel 1940 ma pubblicato nel 1949 nell’omonima raccolta di racconti e vincitore del prestigioso Premio Strega, il racconto dello scrittore piemontese è ambientato nella Torino di fine anni ’30 ed ha per protagonista Ginia, una giovane aspirante stilista timida e casta. Essa vive la propria vita nella maniera più semplice. Condividendo un piccolo appartamento con suo fratello maggiore Saverino, trascorrendo le giornate assieme agli amici. Fino a quando l’incontro con Amelia, una seducente e libertina modella, farà conoscere a Ginia il lato vizioso e bohémien della città.
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Pagina dopo pagina, il racconto di Pavese assume sempre più le sembianze di un romanzo di formazione. Attraverso la crescita di Ginia, l’autore riesce ad affrontare tematiche come la ribellione, la presa di coscienza e, soprattutto, il desiderio sessuale. Tematiche attuali, adesso come negli anni ’40, che Laura Luchetti, regista classe 1969 alla sua terza esperienza con un lungometraggio, riesce a trasmettere attraverso l’adattamento cinematografico de “La bella estate”, presentato al Locarno Film Festival.
Stile autoriale, storia profonda e interpretazioni molto buone sono i punti di forza della pellicola di Laura Luchetti. Oltre ad una fotografia, curata da Diego Romero, che incornicia come un’opera d’arte la Torino degli anni ’30. Colori caldi per l’estate torinese e freddi per il gelido inverno sono lo sfondo perfetto per l’incontro tra Ginia e Amelia. E per il forte impatto che quest’ultima avrà nella vita della tranquilla ragazzina proveniente dalla campagna.
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Con il suo terzo lungometraggio, Laura Luchetti confeziona una storia ben diretta. Dal punto di vista registico infatti “La bella estate” presenta ben pochi difetti. Se non qualche piccola sbavatura per quanto riguarda alcuni movimenti di macchina. Tuttavia, la pellicola risulta scorrevole e coinvolgente. E, cosa non meno importante, riesce a cogliere l’attenzione anche degli spettatori che non hanno avuto modo di leggere il racconto di Pavese.
Per quanto semplice, infatti, la regia di Laura Luchetti è molto efficace. E riesce a fare un buon uso sia dei campi lunghi, che mostrano una Torino di altri tempi, sia dei primi piani, usati principalmente per incorniciare, spesso più con le espressioni che con le parole, le emozioni delle due giovani protagoniste.
I volti di questo dramma di formazione, che alcuni definirebbero un coming of age, sono di Yile Vianello, giovane e talentuosa tanto da impersonare un’anima fragile come Ginia. E Deva Cassel, figlia di Vincent Cassel e Monica Bellucci. Anche se ancora un po’ acerba per quanto riguarda il lato recitativo, sembra proprio aver preso la bellezza della madre e il talento del padre.
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Entrambe dimostrano talento e la loro alchimia risulta palpabile fin dal momento in cui si incontrano sulla riva del lago. Ed anche se a tratti potrebbero risultare poco incisive, il magnetismo che trasmettono in alcune sequenze, come ad esempio la scena nella sala da ballo, è ineccepibile. Merito anche di una sceneggiatura, scritta dalla stessa Laura Luchetti, ben strutturata direi, che ricalca, con le giuste libertà, l’opera originale di Cesare Pavese.
“La bella estate” infatti riesce a cogliere l’essenza del racconto e a trasporlo sullo schermo dando molta più importanza all’attrazione tra le due protagoniste, che si percepisce ad ogni scambio di sguardi. Se nell’opera originale infatti i loro sentimenti restano celati tra le righe, la pellicola si presenta come un prodotto molto più disinibito, in cui tutto appare evidente anche se velatamente nascosto ad una società (quella degli anni ’30) che non avrebbe visto di buon occhio una relazione tra due donne. Nonostante la natura libertina dell’ambiente frequentato da Amelia e Ginia.
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E sebbene siano solo personaggi secondari, Nicolas Maupas (la star de “Il mare fuori) riesce a rendere giustizia a Saverino, il fratello maggiore e maturo di Ginia. E Alessandro Piavani e Adrien Dewitte impersonano ottimamente Guido e Rodrigues, due pittori subdoli e opportunisti, dominati da un forte senso di machismo nei confronti di Amelia e, soprattutto, di Ginia.
Il tutto accompagnato da una colonna sonora, composta da Francesco Cerasi, suggestiva e coinvolgente. Che trae ispirazione alla tradizione musicale dell’epoca. La musica avvolge le due protagoniste e il mondo colmo di tradizione e arte, popolato da artisti e pittori che avvolge la loro quotidianeità.
“La bella estate” è quindi la prova tangibile che gli autori in Italia ci sono e alcuni di essi sono in grado di prendere una storia importante e profonda come quella del racconto di Pavese e trarne una pellicola tanto attuale quanto intensa.