“La donna che canta” è la storia di due gemelli: Jeanne e Simon; che dopo la morte della madre Nawal; si mettono alla ricerca del padre e del fratello scomparso e mai conosciuto, secondo il volere della madre espresso nel testamento.
I due ragazzi dovranno consegnare due lettere, scritte dalla madre, rispettivamente indirizzate al padre ed al fratello. Inizia così una disperata ricerca della verità in un Libano reduce da una sanguinosa guerra civile.
Denis Villeneuve rappresenta una figura di spicco nel panorama dei registi contemporanei, grazie alla sua capacità di unire sapientemente il cinema d’autore a quello più commerciale, attraverso storie narrate trattando tematiche complesse che potrebbero non incontrare l’apprezzamento del grande pubblico; tuttavia, grazie al suo fenomenale stile registico, Villeneuve è stato in grado di avvicinare molti spettatori a storie dal forte impatto emotivo; è il caso di questo “La donna che canta“, probabilmente il suo film più complesso da assimilare per gli argomenti trattati in maniera tanto cruda e diretta da lasciare basito lo spettatore che assiste indifeso ad un continuo flusso di tragici eventi che scuotono l’animo umano nel profondo, ma al tempo stesso si tratta dell’opera più drammatica e potente del regista canadese, il quale mette in scena una brutale rappresentazione della guerra, denunciandola attraverso una messa in scena dal forte impatto visivo ed emotivo.
Una sequenza in particolare, devastante agli occhi dello spettatore, descrive in tutta la sua crudeltà l’orrore della guerra, che non lascia scampo a nessuno, neanche alle anime innocenti ed indifese dei bambini, costretti ad assistere all’implacabile crudeltà dell’uomo.
Villeneuve ci trasporta in una realtà devastata dall’insensatezza della guerra, attraverso una regia diretta.
Con l’utilizzo di continui flash-back, mostra immagini talmente potenti e disturbanti da rimanere impresse a lungo nella nostra memoria. Fino ad arrivare ad uno dei finali più sconvolgenti di tutta la filmografia del regista. Il tutto impreziosito da un cast di attori poco noti ma dalle performance più che lodevoli. In particolare le attrici Lubna Azabal e Mélissa Désormeaux-Poulin interpretano splendidamente due donne costrette a farsi strada in una realtà desolante e priva di compassione.
Dal punto di vista tecnico, il lungometraggio di Villeneuve eccelle sotto tutti i punti di vista; accentuando la prodigiosa cura per il dettaglio che contraddistingue la filmografia del regista canadese; la fotografia inoltre è caratterizzata da colorazioni fredde che regalano inquadrature potenti ed estremamente espressive.
Ad esse si aggiunge una straordinaria colonna sonora con brani dei Radiohead che ben si sposano con la mestizia che contraddistingue la pellicola.
Un lungometraggio doloroso quello di Villeneuve, ma necessario e dalla visione pressoché obbligatoria per ogni amante del cinema e non solo, doveroso per denunciare la disumanità della guerra e gli orrori che da essa ne scaturiscono; ma è anche un’opera che inneggia la donna a figura dalla straordinaria forza di volontà, che cantando, abbraccia un ideale di speranza da non abbandonare mai, allontanando ogni forma di disperazione che caratterizza la crudeltà di un conflitto tanto insensato quanto inutile: la guerra.
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