“La Storia Infinita”. Un cult datato 1984, una profonda metafora sull’importanza dell’immaginazione.
Vi siete mai domandati che potere ha la Fantasia?
Gli anni ’80 furono un’epoca d’oro per il cinema, soprattutto per i sognatori e coloro che, da appassionati, vivevano, attraverso lo schermo, mille avventure in grado di farsi condurre in quei mondi fantastici che l’essere umano poteva solo immaginare. Cavalcare un fortunadrago, quindi, era quel che di più era fantastico immaginare. E l’importanza della fantasia, era quindi, di vitale importanza in una sceneggiatura, se pensiamo che durante gli anni ’80 quasi tutto il panorama cinematografico era colmo di immaginazione.
E questo vale sia per le sceneggiature originali e non originali. Pensiamo ad Elliot e al suo amico alieno E.T. (1983) e al suo indimenticabile ritorno a casa. Al Gremlin Gizmo e alla sua tremenda paura nel bagnarsi e quindi al moltiplicarsi (1984). Al fantastico racconto d’amore a colpi di spada e prove di sopravvivenza del film “La Storia Fantastica” e alla frase immortale “Hombre… mi nome es Inigo Montoya.. Tu hai ucciso mi padre… preparati a morir” (1987).
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A quei dongiovanni degli acchiappafantasmi ricoperti di melma verde Slime a zonzo per New York City (1984). E a Marty McFly a zonzo su e giù per il tempo con la Delorean con lo pseudonimo di Levis Strauss a suon di Rock’n Roll. (1985). E nello stesso anno, probabilmente ispirato anche al romanzo di avventura di Robert Louis Stevenson, “L’isola del Tesoro”, ma sicuramente ricavato da un soggetto di Steven Spielberg, un gruppo di ragazzini, capitanati dal futuro Hobbit Sam (Sean Austin), Mikey Walsh, si avventurarono alla ricerca del tesoro del pirata Willy l’Orbo.
Che avventure per le nostre menti, fameliche di fantasia e di magia! Un’epoca d’oro quindi, che stimolava e stimola tuttora, a distanza di anni, decenni, le nostre menti e, fortunatamente, anche quelle dei più piccoli. Che apprenderanno, attraverso un film, a sognare e, perché no, a vivere una vera avventura. Un’epoca quella degli anni ’80 che vive e sopravvive di nostalgia. La nostra nostalgia.
Storie affascinanti, di ragazzini che venivano condotti in avventure colme di imprevedibilità. Non è un caso, quindi che l’autore del romanzo “La Storia Infinita”, abbia chiamato Fantàsia, la civiltà in cui Atreiu lotta per cacciare via il Nulla, il male primordiale, intento a cancellare per sempre la Fantasia stessa dalle menti dei sognatori, dei lettori come Bastian, che, proprio grazie al potere della lettura e quindi dell’immaginazione, riesce a trasportare noi avventurieri in un mondo irreale sì, ma dove la fantasia è sconfinata. Il mondo dei cuor di roccia, dei fortunadrago. E di un amuleto, L’Auryn, il simbolo dell’Infanta Imperatrice che dona al suo possessore immani poteri.
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Diretto dal regista tedesco Wolfgang Petersen, “La storia infinita” vede come protagonista Bastian, un giovanotto dotato di una grande immaginazione e voglioso di vivere un’avventura simile a quella degli eroi presenti in quei libri che a lui piace tanto leggere. Da “L’isola del tesoro” a “20.000 leghe sotto i mari”.
Perseguitato e tormentato da tre bulletti, il giovane Bastian trova quindi rifugio nella libreria di antiquaria del signor Carlo Corrado Coriandoli. Dove, per la prima volta, entrerà in contatto con uno speciale manoscritto in grado di condurlo (letteralmente) nel magico Regno di Fàntasia. Attraverso gli occhi di Atreiu, un cacciatore del popolo dei Pelleverde la cui missione è quella di impedire che il Nulla distrugga per sempre il Regno, Bastian incontrerà personaggi straordinari come Falcor, il gigantesco Drago della Fortuna che aiuterà Atreiu nella sua importante missione, Engywook e Urgula, la simpatica coppia di ometti conosciuti come Bisolitari, il temibile Gmork, il lupo mannaro al servizio del Nulla la cui missione è quella di uccidere il giovane cacciatore.
Sotto molti punti di vista “La storia infinita” rappresentò una grande innovazione nel mondo cinematografico. Difatti, nonostante i limitati mezzi a disposizione durante gli anni ’80, Petersen riuscì a rappresentare ottimamente i personaggi descritti nell’opera originale. Ossia il romanzo scritto da Michael Ende nel 1979, anche se fu costretto a tagliare una sequenza molto importante proprio a causa della mancanza delle risorse necessarie a ricreare un personaggio complicato come Ygramul le Molte. Questo si presenta come un enorme sciame di neri insetti capace di muoversi come in sincronia e assumere molte forme e il cui veleno, sebbene mortale, è in grado di trasportare gli abitanti di Fàntasia in qualsiasi parte del regno nel giro di pochi secondi.
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“La storia infinita” potrebbe essere definito come il primo vero approccio, soprattutto da parte di un pubblico più fanciullesco, verso un tipo di narrazione in grado di interagire direttamente con lo spettatore, sfondando così la quarta parete. L’urlo di Bastian percepito da Atreiu, il loro scambio di sguardi allo specchio, e, a riprova di tutto questo, la frase pronunciata dall’Infanta Imperatrice, colei che governa su Fantasia: “lui vive le tue avventure, e altri vivono la sua”.
Ma la pellicola del regista tedesco, che incantò il mondo intero, non si limita a questi tecnicismi. Se gli anni ’80 furono un decennio dedicato al fantastico, “La storia infinita” è forse la più rappresentativa opera del genere poiché la trama è infine una lunga e profonda metafora sull’importanza di non rinunciare a quell’immaginazione tanto preziosa tipica dell’età fanciullesca.
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L’intero Regno di Fantasia infatti trova le proprie fondamenta dalla capacità di far sì che il sogno non muoia mai. Fondamenta che, nel momento stesso in cui gli esseri umani cessano di sognare vengono minacciate, e quindi inghiottite, dal Nulla. L’essere invisibile ed espressione della rinuncia alla propria unicità.
Petersen riuscì quindi a rappresentare personaggi di difficile realizzazione, come Morla, la tartaruga millenaria, nonostante le limitazioni dettate dalla tecnologia dell’epoca. E, grazie ad una memorabile e straziante sequenza Petersen è riuscito nella difficile impresa di trasmettere tutto il senso di smarrimento provato nelle infernali Paludi della Tristezza dal povero Artax.
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Diede quindi vita ad un’opera capace di esporre l’importanza della creatività, dell’immaginazione e della fantasia. Dando così origine ad un cult intramontabile, con una colonna sonora che definire indimenticabile sembra riduttivo. Invero, ancora oggi brani come “Never Ending Story” o “Happy Flight”, riescono inevitabilmente ad innescare un meraviglioso effetto nostalgia in tutti noi amanti del cinema.
Eppure, Micheal Ende si dissociò completamente dalla pellicola, arrivando persino a chiedere di non essere citato nei crediti. E a ragion veduta oserei dire.
Come in precedenza enunciato, “La storia infinita” riuscì a incantare gli spettatori di tutto il mondo. Ma, se paragonato all’opera dello scrittore tedesco, la pellicola presenta non poche falle (purtroppo).
Oltre al fatto che Ende trovasse disturbanti alcune immagini, come la rappresentazione delle Sfingi, il film riesce forse a cogliere l’anima del suo romanzo tralasciando però tematiche e situazioni troppo importanti per non essere approfondite. Scalfendo così solamente la superficie della visionaria opera scritta.
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Su tutte, la mitologia legata all’Auryn, il gioiello dell’Infanta Imperatrice. Un amuleto in grado di offrire protezione, forza e astuzia a chiunque lo indossi. Mettendo però a dura prova le capacità sia fisiche che mentali di chiunque abbia l’onore di possederlo. Atreiu stesso, per quanto si renda conto dell’importanza e del potere dell’Auryn, ne è a tratti spaventato.
Probabilmente, letteralmente parlando, l’Auryn è il gioiello che, per caratteristiche spirituali, più si avvicina all’agognato Anello del Potere de “Il signore degli anelli”. Oltre a possedere una propria volontà e immensi poteri, col tempo attanaglia e consuma sia la mente che il fisico di chi lo indossa (vero Gollum?).
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Ma non è ancora tutto.
Molti esperti concordano sul fatto che “La storia infinita” non sia un semplice romanzo. Ma una vera e propria opera d’arte in grado, attraverso la rappresentazione delle creature e dei luoghi di Fantasia, soprattutto quelle che non compaiono nel film, di omaggiare i pittori surrealisti. Da Salvador Dalì a René Magritte. Un aspetto che manca totalmente nella pellicola datata 1984.
Ma forse lo scopo di Wolfgang Petersen era semplicemente quello di dirigere un lavoro che potesse sottolineare quanto sia importante non perdere quell’aspetto fanciullesco della personalità. In grado di farci gioire, fantasticare e sognare.
E allora, che cosa rimane de “La storia infinita”? Un emozionante cult in grado di incantare grandi e piccoli oppure un pessimo adattamento di un’opera visionaria?
A voi l’arduo compito di rispondere a tale quesito.