Direttamente dalla raccolta di Racconti “Le mille e una notte”, Le avventure di Aladino. E come potrete immaginare la fiaba è molto diversa dalla versione di Walt Disney.
Le fiabe e le leggende fanno da sempre parte della cultura popolare mondiale. Alcune di esse, risalenti a molti secoli fa, ancora oggi riescono ad influenzare ed ispirare ogni genere di artista. Ed è nei paesi arabi che hanno origine taluni dei racconti più belli di sempre. Basti pensare a “Le mille e una notte”, la celebre raccolta di storie che comprende racconti provenienti dalla Mesopotamia, dall’Egitto, dall’India e dalla Persia.
Difatti, tra le pagine de “Le mille e una notte” potrete trovare le storie legate al marinaio Sinbàd e al celebre ladrone Alì Baba. Tuttavia, una delle più affascinanti e famose (e forse anche cruente), è quella di “Aladino e la lampada magica”. E, incredibilmente, in molti rimarranno stupiti, perché la storia è ambientata in Cina.
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Dimenticatevi del poveraccio ma intrepido Aladdin del Classico Disney. Dimenticatevi del suo animo gentile, della sincerità con cui promette la libertà al Genio e del coraggio dimostrato nell’affrontare Jafar. E poi di Abù, la simpatica scimmietta sempre al suo fianco, e del fedele tappeto volante. Ma, soprattutto, dimenticatevi dell’affascinante briccone dal sorriso ammaliante che allunga la mano verso la principessa Jasmine sussurrando, dolcemente, “Ti fidi di me?”.
Quella di Aladino è difatti una storia violenta, colma di ossessioni, tradimenti e, incredibilmente, di spargimenti di sangue.
Tutto ha inizio in “una delle tante città della Cina”, anche se le descrizioni dei paesaggi e i nomi dei personaggi lascerebbe intendere che la vicenda si svolga in un paese arabo. Giunta l’anzianità, questi avrebbe voluto che il figlio ereditasse l’attività di famiglia. Tuttavia, il giovane Aladino, preferiva passare le giornate vagabondando per le vie della città piuttosto che imparare il mestiere del padre. E dopo la sua morte, giunta a causa di un attacco cardiaco a seguito dell’ennesima marachella del figlio, il sarto lasciò, suo malgrado, la moglie e Aladino in uno stato di povertà.
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Per madre e figlio i mesi seguenti furono i più duri della loro vita. Difatti, nonostante la vendita dei loro beni, a stento riuscivano ad assicurarsi un pasto al giorno. Fino a quando, alla loro porta, non bussò un uomo proveniente dal Continente Nero che si palesò come fratello del defunto Mustafà.
Durante la cena, questi confessò di essere un negromante dotato di grandi abilità magiche. Convinse così la donna ad affidargli il ragazzo perché lo potesse educare e istruirlo sull’arte divinatoria della negromanzia. Oltre a farlo divenire un abile mercante in modo da rilevare l’attività del defunto padre. Tuttavia, le ambizioni del falso zio erano ben altre.
Difatti, qualche settimana dopo il suo arrivo, decise di condurre il ragazzo in una regione remota del deserto dove, una volta assicuratosi di non essere stato seguito da nessuno, il negromante eseguì un rituale oscuro allo scopo di far apparire l’entrata di una misteriosa grotta sotterranea. In questa grotta, secondo un’antica profezia, era nascosto un tesoro che solamente ad Aladino era concesso prendere.
Ma, per poterne trarre beneficio, avrebbe dovuto impadronirsi di una lampada ad olio che avrebbe dovuto consegnare al mago, una volta uscito dalla grotta. Quindi, questi consegnò un anello magico al ragazzo, assicurando che lo avrebbe aiutato a trovare l’uscita, per poi intimarlo a scendere nell’antro.
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Aladino iniziò quindi la ricerca della lampada, anche se, durante il cammino, pensò bene di raccogliere alcune gemme preziose. Trovare l’oggetto del desiderio del falso zio non fu difficile, ma il peso dei gioielli con cui si era riempito le tasche, resero impossibile salire i gradini che lo avrebbero condotto all’uscita. E considerata la riluttanza del mago ad aiutarlo, il ragazzo decise di non consegnare la lampada fino a quando non fosse uscito sano e salvo dalla grotta.
Irritato da tele insolenza, il negromante andò su tutte le furie. In una scatto d’ira pronunciò l’incantesimo per sigillare l’uscita sotto la sabbia, imprigionando così Aladino nella grotta sotterranea, per poi dileguarsi nel nulla.
Trascorsero due giorni e due notti prima che il giovane trovasse il modo per uscire dalla grotta. Invero, con le mani volte in preghiera, sfregò l’anello che gli era stato donato dal mago, facendo così apparire un Jinn (un Genio) che esaudì il desiderio di condurlo fuori dalla caverna.
Una volta tornato a casa, stremato dalla fame e dalla sete, Aladino consegnò la lampada alla madre. A lei Aladino spiegò che, una volta ripulita, avrebbe potuto venderla e ricavarne qualcosa per comprare del cibo e dell’acqua. E fu proprio mentre la donna lucidava l’antico manufatto che da questo ne uscì un Jinn molto più potente rispetto a quello che dimorava dentro l’anello.
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Aladino colse quindi l’occasione per chiedere al Genio di procurare cibo in abbondanza per lui e per sua madre. Il desiderio venne subito esaudito e il banchetto servito su dei preziosi piatti d’argento che Aladino pensò bene di rivendere una volta finite le provviste. Grazie ai proventi, oltre a procurare altro cibo e altre bevande, decise di aprire un negozio di stoffe.
Per mesi madre e figlio riuscirono a vivere senza doversi preoccupare di procurarsi viveri e acqua. Ma, nonostante questo periodo di agiatezza, la vita di Aladino stava per subire un altro brusco cambiamento.
Un giorno, mentre si trovava a passeggiare nei pressi della sfarzosa dimora del sultano, il giovane si imbatté in una donna chiamata Luna delle Lune (o Badr al-budur, la figlia del sovrano) rimanendo così folgorato dalla sua bellezza. Deciso più che mai a conoscerla, decise di inviare la madre dal sultano, offrendo in dote le gemme raccolte nella caverna magica in cambio della mano della figlia.
Allietato da una tale ricchezza, il sovrano decise che avrebbe concesso il beneficio del dubbio al giovane sconosciuto. Ma prima di concedere la mano della figlia avrebbe riflettuto sulla questione per tre mesi. Tuttavia, il gran visir ricordò al sultano che donna Luna delle Lune era già promessa a suo figlio. Così pretese che la parola data venisse mantenuta. Così, prima della scadenza dei tre mesi, i due convolarono a nozze, facendo infuriare il giovane Aladino. E così, infuriato decise di ricorrere nuovamente all’aiuto del Jinn.
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La prima notte di nozze, mentre i due novelli sposi si trovavano in camera da letto, Aladino chiese al Genio di portare nella sua dimora donna Luna delle Lune e il figlio del visir, per poi imprigionare quest’ultimo nella stanza da bagno. Una volta soli, il giovane spiegò alla figlia del sultano quanto successo con suo padre e il torto che gli aveva fatto mancando di mantenere la promessa.
E prima che a palazzo tutti si svegliassero chiese al Jinn di ricondurre entrambi nelle loro stanze, ripetendo lo stesso tormento notte dopo notte. Il tutto fino a quando, spaventato dalla confessione del figlio, il gran visir chiese umilmente al sultano di annullare il matrimonio, dando così ad Aladino la possibilità di chiedere nuovamente la mano di donna Luna delle Lune.
Ma, memore delle bellissime e preziose gemme che gli erano state consegnate in dote, il sultano pretese che il giovane gli consegnasse quaranta barili di oro massiccio colmi di quelle stesse pietre. Aladino decise quindi di fare le cose in grande. Difatti, grazie all’aiuto del Jinn, fece consegnare i barili al sovrano da ottanta servitori vestiti con abiti eleganti e si presentò a palazzo in sella a un bianco destriero accompagnato dalla madre.
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Di fronte a tanta sfarzosità, il sultano decise quindi di concedere la mano della figlia, anch’essa perdutamente innamorata del bel giovane. Accadde che i due giovani convolarono a nozze, si trasferirono nel palazzo che Aladino chiese al Jinn di ergere in onore della sua sposa, e vissero per sempre felici e contenti… O meglio, vissero felici e contenti, per qualche anno. Fino a quando il mago proveniente dall’Africa non tornò in Cina. E nelle loro vite.
Venuto a sapere delle nozze e della sfarzosa dimora costruita in onore di Aladino, il negromante approfittò dell’assenza del giovane padrone di casa, uscito per una battuta di caccia, per confondere la servitù e impossessarsi della lampada. Evocato il Jinn, il quale era a servizio del possessore della lampada, indipendentemente da chi fosse, espresse il desiderio di trasferire tutte le ricchezze di Aladino, il palazzo e donna Luna delle Luna, in Africa.
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Scoperto l’inganno, per evitare di essere giustiziato dal sultano, il giovane grazie all’anello magico che già aveva usato in precedenza si precipitò nel luogo dove il negromante teneva prigioniera la sua amata moglie.
Una volta entrato nel suo vecchio palazzo, dopo avergli somministrato un potente sonnifero, Aladino decapitò il mago. Poi recuperò la lampada e tornò assieme a donna Luna delle Lune in Cina, dove venne accolto dal sultano con grande gioia.
Ma prima di poter tornare a vivere la loro vita nella felicità e nella ricchezza, Aladino e l’avvenente principessa, dovettero affrontare anche il fratello del negromante, giunto a palazzo con le false sembianze di una donna eremita, allo scopo di vendicare la morte del mago.
Il piano era quello di entrare nelle grazie di donna Luna delle Lune e convincerla che, per rendere la sua dimora la più bella del mondo, era necessario appendere al lampadario della grande sala, un manufatto mistico noto come Uovo di Roc. Ignara che si trattasse dell’oggetto necessario ad evocare il padrone infernale di tutti i Jinn, la principessa acconsentì di esaudire la richiesta dell’eremita. Ma prima che questa potesse portare a termine il suo piano, Aladino, con l’aiuto del Jinn della lampada, riuscì a smascherare il perfido fratello del negromante, uccidendolo brutalmente.
E, solamente dopo la morte di quest’ultimo, Aladino e la sua bellissima moglie, poterono finalmente vivere felici e contenti.
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