Nel corso dei secoli molte sono state le forme d’arte create appositamente a scopo dispregiativo; le Ethiopian Minstrelsy, fondate da Thomas “Daddy” Rice, sono un esempio perfetto di tali rappresentazioni.
Prima che il presidente Abraham Lincoln emanasse il tredicesimo emendamento, nel 1865, abolendo la schiavitù, i padroni delle piantagioni di cotone avevano il totale controllo sulla vita dei loro lavoratori. Difatti, per gli schiavi era impossibile svolgere qualsiasi attività potesse intralciare il loro lavoro, dai riti religiosi a semplici svaghi come il ballo e il canto. Soltanto durante il periodo della mietitura, in cui passavano intere giornate nei campi sotto il sole cocente, era loro concesso di improvvisare qualche canto in modo da affrontare la lunga giornata lavorativa. Tuttavia, tale attività non doveva rallentare la produttività. Questo era tutto ciò che l’uomo bianco elargiva; l’unica fonte di svago concessa agli schiavi per poter evadere, anche solo per un misero istante, da una vita di condanna ai lavori forzati.
Sebbene non potessero esprimere appieno il loro talento artistico, ben presto i proprietari terrieri si resero conto che la musica degli afroamericani avrebbe potuto essere un buon mezzo di intrattenimento. Inoltre era un ottimo espediente per aumentare la produzione. Tra i padroni si diffuse quindi l’abitudine di eleggere, tra i lavoratori, un violinista che potesse suonare qualche motivo allegro per far danzare gli schiavi; ma anche canzoni e minuetti che allietassero i membri della famiglia padronale e i loro ospiti.
Durante il periodo del raccolto, non di rado nella stessa piantagione si incontravano diversi gruppi di schiavi provenienti dalle proprietà confinanti.
In quelle occasioni, oltre ad alleggerire il lavoro con la musica, i lavoratori improvvisavano dei veri e propri show in cui si mescolavano danza, satira e spettacoli clowneschi. Così facendo potevano riassaporare, anche se per breve tempo, i sapori e le tradizioni della terra da cui erano stati selvaggiamente strappati. Tali rappresentazioni ispirarono una forma di varietà che prese il nome di Ethiopian Minstrelsy o Blackface Minstrelsy. Nata nel secondo decennio del XIX secolo, questa forma di varietà, messa in scena da attori dalla pelle bianca, era una versione dispregiativa della musica e delle danze degli schiavi. Questi si tingevano il viso di nero usando la cenere dei tappi di sughero affumicati, mettendo in risalto le labbra carnose con della tinta colorata di rosso. Lo scopo era quello di sbeffeggiare le danze e i comportamenti degli afroamericani, enfatizzando il tutto con delle barzellette sulla vita dei lavoratori nei campi.
In breve si svilupparono due figure allegoriche, tra le più offensive che la mente umana abbia mai generato. La prima fu la caricatura dello schiavo di piantagione, rozzo, vestito di stracci e con un forte accento dialettale, che prese il nome di Jim Crow; l’altro era Zip Coon, ossia lo schiavo di città, un playboy con vestiti alla moda che si pavoneggiava per le sue numerose conquiste.
Leggenda vuole che il precursore del successo delle Ethiopian Minstrelsy fu Thomas “Daddy” Rice, un mediocre attore bianco che si esibiva al Park Theatre di New York traendo ispirazione da un vecchio stalliere afroamericano con una deformità fisica che, intento a svolgere il proprio lavoro, intonava un motivetto orecchiabile eseguendo dei buffi saltelli.
Il numero di Rice che impersonava lo scudiero riscosse un tale successo che da quel momento il popolo americano lo soprannominò “Jim Crow Rice”.
Per quarant’anni le Ethiopian Minstrelsy furono la forma di spettacolo più popolare degli Stati Uniti. Molti attori teatrali seguirono l’esempio di Daddy Rice e iniziarono a proporre una loro versione di Jim Crow, creando nuovi personaggi come il servile Sambo, Mr. Banjo e Mr. Bone, due musicisti che prendevano il nome dallo strumento che suonavano. Nutrendo continuamente il bisogno di nuove idee per i loro numeri, i minstrels cominciarono a visitare frequentemente le piantagioni; le manifatture di tabacc; e i porti fluviali. Il loro intento era quello di prendere appunti e osservare le scene di vita quotidiana degli schiavi per poi crearne una versione farsesca rielaborando le movenze e i canti.
Considerata la natura disdegnosa delle Ethiopian Minstrelsy, la maggior parte dei minstrels erano attori dalla pelle bianca, tuttavia alcuni intrattenitori afroamericani si dedicarono fin da subito a questo genere di varietà. Nel periodo prebellico non erano molti i neri che intraprendevano la carriera da minstrels, ma ognuno di loro ebbe un’importanza rilevante nello sviluppo dell’arte delle Ethiopian Minstrelsy. Artisti come Daddy Rice storpiavano i brani folcloristici degli schiavi per adattarli al gusto del pubblico americano del XIX secolo. Lo scopo primario degli interpreti di colore era quello di riportare tali brani alla loro forma originaria, quella della tradizione popolare da cui erano emersi.
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