Le otto montagne è un tributo all’amicizia e alla vita stessa. Tra le Alpi e il Nepal, il nuovo film di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch.
No, il cinema italiano non è morto. Ci sono solo sceneggiature e interpretazioni differenti rispetto al passato. Talvolta sono più intriganti, talvolta più drammatiche. Alle volte, come in questo caso, raccontano storie che è necessario portare sul grande schermo, sia per come vengono raccontate, sia per i meravigliosi scenari che scaturiscono in noi la voglia di viaggiare. Ma cos’è che molti continuano a ripetere ogni volta che esce l’ennesimo film che non piace oppure l’ennesimo remake? (che guarda un po’ esiste fin dall’alba dei tempi dei Lumière)
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“Il cinema ha bisogno di bravi attori, di sceneggiature all’altezza del prezzo del biglietto. Ci sono molti libri da cui trarre ispirazione per realizzare un film”. E difatti…
Tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Cognetti e diretto a quattro mani da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, che, insieme nel 2012 crearono quella perla indimeticabile di “Alabama Monroe”, nel 2022 “Le otto montagne” si è portato in terra italica il Premio della giuria direttamente dal Festival di Cannes.
Interpretato da due attori che sorreggono egregiamente la scena, Alessandro Borghi e Luca Marinelli, “Le otto montagne” è una storia semplice. Una rievocazione degli affetti più cari che riemergono da un passato che, qualche volta, fa un po’ male. Un omaggio alla natura, o meglio ai boschi, ai pascoli, ai fiumi, rocce, sentieri. Proprio come dice Bruno in dialetto valdostano. Grazie alla meravigliosa fotografia di Ruben Impens, che aveva già lavorato con i registi belghi in “Alabama Monroe”, ogni scena è preziosa ed eleva il film a qualcosa di unico da poter non solo guardare, ma esplorare. “Le otto montagne innesca, quindi, nello spettatore, non solo il desiderio di poter osservare dietro ad uno schermo ma di poter toccare con mano e vagare tra le montagne assieme a Bruno. O a percorrere ogni altura o sentiero assieme a Pietro.
La montagna con i suoi fiumi, ruscelli, valli, i suoi sentieri, le immense cime innevate è, assieme ai due attori romani, naturalizzati uno valdostano l’altro piemontese per l’occasione, la grande co-protagonista, dove una grande amicizia e i complessi rapporti con la figura paterna fanno da cardine al film.
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“Le otto montagne” è infatti la storia di Pietro, un ragazzino di città, cresciuto nell’agio e nell’istruzione da una famiglia borghese di Torino, che, in vacanza con i genitori nella casa di famiglia in montagna, conosce Bruno, figlio di contadini, e insieme coltivano una splendida amicizia tra campi, valli, fiumi e mucche da mungere. Cresciuti, i due ormai divenuti adulti si ritroveranno a compiere un’impresa che li legherà per sempre. E che, nel corso del tempo, farà capire loro non solo il grande valore dell’amicizia e della famiglia, ma cosa realmente desiderano dalla vita.
Ma non è tutto oro quello che luccica.
“Le otto montagne”, sebbene sia un buon prodotto da guardare, presenta, oltre ad un andamento a tratti poco scorrevole, alcune lacune a livello di sceneggiatura. Un esempio è l’amicizia tra Pietro e Bruno, conosciutesi fin dall’infanzia, poi persi di vista, fanno fin troppo in fretta a riallacciare quel rapporto ormai troppo lontano nel tempo. Ma, nonostante questo, diverranno amici fraterni ed esploreranno, il loro rapporto di amicizia in età adulta. Un’amicizia esplorata dal punto di vista di Pietro (Luca Marinelli), voce fuoricampo e narratore della storia.
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Una storia che narra lo scorrere della vita, osservando da lontano, che realizza e poi disintegra le certezze di uno e rivela e afferma i sogni di un altro. Un sogno negato fin dall’infanzia, distrutto dalla figura paterna, desiderosa invece di vedere il figlio concretizzare il proprio futuro nella certezza di un lavoro vero.
La regia quindi prosegue nel lavoro efficace di mostrare le due differenti vite dei due giovani, fin dall’infanzia. Bruno è un ragazzo di montagna, che vive e respira aria di montagna. Privo di istruzione, trova in Pietro non solo un compagno di giochi, ma frequentandolo, trova nella sua famiglia un appiglio su cui fare affidamento. Una possibilità per evadere dalla mediocrità e nell’ignoranza da cui è circondato. Pietro, invece, da ragazzo di città si rifugia tra la comprensione e l’illusione che lui e suo padre, Giovanni Guasti (Filippo Timi), siano completamente diversi l’uno dall’altro. E questa sua avversità, non farà che allontanarli, portando Giovanni e Bruno, legati dalla comune passione per la montagna e le cime innevate, a legare come un padre e un figlio.
La sceneggiatura, infatti, tentenna anche qui, attribuendo poca chiarezza nel rapporto padre/figlio. In special modo all’inizio, tra Giovanni e Pietro. Il primo descritto come un padre despota di città (quando in realtà non lo era affatto, ricordando la scena nella neve) che trovava nelle montagne la strada giusta per poter proseguire la propria vita isolato dal resto del mondo, e il secondo, nella disperata ricerca del proprio posto nel mondo, ma lontano dal padre.
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“Le otto montagne” è quindi un film da vedere e da respirare. Un film intenso, colmo di malinconia e di rimpianti per un passato che torna e che fa riflettere. Sperare di trovare la giusta strada per un futuro che, all’apparenza, sembra essere senza via d’uscita. È un film sull’importanza della famiglia, sugli affetti più cari e le grandi scoperte.
Ambientato tra le Alpi e il Nepal, a seguire l’andamento della pellicola, una splendida colonna sonora stile folk che segue le note musicali dello svedese Daniel Norgren. Da menzionare Why May I Not Go Out and Climb the Trees?