Si può compiere il delitto perfetto? Esiste un crimine talmente ben progettato da rendere impossibile la sua risoluzione?
Secondo Brandon Shaw, protagonista di “Nodo alla gola”, uno dei film meno conosciuti del grande Alfred Hitchcock, interpretato da John Dall, il punto debole di ogni omicidio, l’unico fattore in grado di inchiodare un assassino, è il movente. Se non c’è movente risolvere un caso di omicidio è impossibile. Invero, ancora oggi molti sono i delitti irrisolti proprio perché compiuti senza un apparente motivo, massacri talmente insensati che hanno reso impossibile identificare il carnefice.
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Il killer dello Zodiaco, il Mostro di Udine, l’Uomo con l’ascia di New Orleans sono solo alcuni esempi di casi insoluti. Casi in cui nessuno, neppure il più intuitivo degli investigatori, è riuscito a identificare il colpevole. Eppure esistono atti criminali in cui anche il più piccolo e all’apparenza insignificante dettaglio, come un capello, un fazzoletto o un paio di occhiali ritrovati sulla scena del delitto, hanno permesso di risolvere crimini in apparenza “perfetti”, privi di risoluzione.
E il 21 maggio del 1924, Nathan Freudenthal Leopold Jr. e Richard A. Loeb erano davvero convinti di aver compiuto l’omicidio perfetto, commettendo un crimine talmente efferato da ispirare la scrittura di romanzi, l’esecuzione di spettacoli teatrali e la raffinata pellicola di Alfred Hitchcock, citata in precedenza, “Nodo alla gola”, con James Stewart, datata 1948.
Nati entrambi a Chicago agli albori del 1900, Leopold e Loeb avevano stretto amicizia durante l’adolescenza stabilendo fin da subito una particolare intesa unita a un forte legame in quanto entrambi possedevano un’intelligenza fuori dal comune.
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Nathan Leopold, il più piccolo dei due, era il rampollo di una ricca famiglia ebraica tedesca, e, nonostante fosse un bambino prodigio, aveva seri problemi a relazionarsi con il resto del mondo. In particolare, soffriva la mancanza di una figura maschile di riferimento poiché, dopo la morte della madre, il rapporto con suo padre si fece sempre più gelido, quasi inesistente.
Il giovane Nathan crebbe quindi senza avere punti di riferimento stabili nella propria vita. Almeno fino a quando, all’età di quindici anni, fece la conoscenza di Richard Loeb, un giovanotto poco più grande di lui, altrettanto ricco e, cosa non meno importante, altrettanto intelligente.
I due diventarono ben presto inseparabili, complice anche una profonda attrazione omosessuale mai ricambiata, da parte di Leopold nei confronti del suo nuovo amico.
Entrambi misogini e mitomani, erano convinti che la teoria del superuomo, elaborata dal filosofo tedesco Frederick Nietzsche, secondo cui le menti superiori non erano tenute a sottostare alle leggi che regolamentavano i comportamenti degli esseri umani, o inferiori se vogliamo, rispecchiasse alla perfezione i loro ideali.
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Nella pellicola di Sir Alfred Hitchcock, seguendo la filosofia di Nietzsche, Brandon Shaw sosteneva che l’omicidio fosse una speciale forma d’arte che avrebbe dovuto essere concessa solamente a coloro che, grazie alle loro doti intellettive, fossero abbastanza acuti da distinguersi dalla massa e quindi capaci di agire al di sopra della legge.
Seguendo tale filosofia di vita, credendosi un essere onnipotente in grado di trascendere dal giudizio degli esseri umani, Loeb si sentiva tremendamente annoiato dalla vita. Per tal motivo coinvolse il giovane e insicuro Leopold nei suoi traffici criminali, persuadendolo, almeno inizialmente, a compiere furti e atti di vandalismo.
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Una volta giunti alla Chicago University, Leopold e Loeb si resero protagonisti di una serie di misfatti, dal furto di un’antica macchina da scrivere appartenente ad una confraternita dell’University of Michigan al commettere un incendio doloso all’interno del campus del loro ateneo. Ma le loro gesta, per quanto eclatanti, non colsero l’interesse (l’attenzione) né dei quotidiani di Chicago né dei giornali universitari. Di conseguenza il loro sadico egocentrismo non trovava alcun genere di soddisfazione.
Sentivano l’esigenza di fare qualcosa di più eclatante. Volevano compiere un crimine talmente efferato che avrebbe portato sia la stampa sia il popolo a chiedere chi fosse l’artefice di un simile misfatto.
Così Leopold e Loeb cominciarono a progettare un atto criminale che avrebbe colto l’attenzione del mondo intero concordando fin da subito che l’unico modo per appagare il loro smisurato ego era quello di compiere l’omicidio perfetto.
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Ci vollero sette mesi per studiare il loro piano. E, una volta esaminato ogni minimo particolare, erano finalmente pronti a mettere in atto il loro nefando proposito. Bastava solo individuare la vittima adatta.
La scelta ricadde su Bobby Franks, un ragazzino di quattordici anni che abitava nel quartiere di Kenwood, lo stesso quartiere di Leopold e Loeb. Il 21 giugno 1924 i due fecero la loro mossa. Si appostarono fuori dalla scuola del ragazzo e, con la scusa di offrire un passaggio verso casa, lo invitarono a salire nella loro vettura, un auto che Leopold aveva noleggiato usando lo pseudonimo di Morton D. Ballard. In un primo momento, trovandosi solo a pochi isolati da casa, il ragazzino rifiutò l’invito ma a seguito delle insistenze di Leopold e Loeb decise di accettare accomodandosi sul sedile del passeggero.
Quella fu l’ultima volta in cui qualcuno vide Bobby Franks vivo.
Nessuno dei due killer rivelò mai chi tra di loro avesse effettivamente compiuto l’omicidio. Siamo solo a conoscenza, che, mentre erano in viaggio sulla strada che li avrebbe condotti a Kenwood, Bobby Franks venne prima tramortito, poi imbavagliato e infine colpito a morte per poi essere adagiato sotto i sedili della vettura. In seguito i due killer trasportarono il cadavere fino a Wolf Lake, un luogo isolato al confine con l’Indiana, dove, con il favore delle tenebre utilizzarono l’acido per sfigurare il volto e il corpo del povero Bobby Franks, in modo da impedire alle forze dell’ordine di identificare il cadavere.
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Il corpo esanime di Bobby Franks giacque infine in un tubo di scarico sulla Pennsylvania Railroad. E, una volta tornati a Chicago, i due folli e psicotici si sentirono pervadere da un orgoglio inimmaginabile constatando che la notizia della scomparsa del ragazzo si era già diffusa.
Quella sera stessa, il signor e la signora Franks ricevettero una chiamata da un tale che si presentò con il nome di George Johnson.
Il tizio annunciò loro di aver rapito il figlio e che, se desideravano rivederlo vivo e vegeto, avevano il compito di consegnargli 10.000 dollari in contanti seguendo le istruzioni che avrebbero ricevuto il giorno seguente. Il loro piano stava procedendo nel migliore dei modi. Nessun movente, nessun contatto con la vittima, resa irriconoscibile dall’acido, e una falsa richiesta di riscatto per sviare le autorità. L’omicidio perfetto era compiuto.
Eppure, per quanto il piano di Leopold e Loeb fosse ben elaborato e, apparentemente, non presentasse alcuna falla, in men che non si dica tutto quanto andò a rotoli. La mattina seguente i due carnefici si sbarazzarono dei vestiti insanguinati, ripulirono con milizia la vettura riconsegnandola all’autonoleggio, attendendo che i Franks seguissero le istruzioni loro recapitate per la consegna del denaro. Ma i soldi non arrivarono mai.
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Cosa successe? Quale fu l’inghippo in cui Leopold e Loeb sprofondarono?
Un operaio polacco che rispondeva al nome di Tony Minke, rinvenne un cadavere con il volto e i genitali deformati dall’acido che, in breve tempo, venne identificato come Bobby Franks. La polizia sigillò immediatamente la zona in cerca di indizi senza però riuscire a trovare niente di rivelante. Fino a quando il detective Byrne, l’investigatore a capo delle indagini, non trovò sulla scena del crimine un paio di occhiali in perfetto stato. Anche se, in un primo momento, parve che la suddetta pista portasse ad un vicolo cieco, un esame più approfondito rivelò che si trattava solo di un paio di lenti usate per correggere la mezza diottria, tra i difetti oculistici più comuni.
Eppure furono proprio quegli occhiali ad inchiodare Leopold e Loeb.
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Pur confermando essere lenti di uso comune, la montatura era molto particolare tanto che l’investigatore notò un piccolo dettaglio: un marchio, il simbolo di una fabbrica di New York che ricondusse gli inquirenti all’unico negozio a Chicago che vendeva quel tipo di occhiali. Il proprietario del negozio di Chicago era solito tenere un registro in cui annotava ogni vendita. Byrne scoprì quindi che solamente tre persone avevano acquistato quella particolare montatura. Una donna totalmente estranea ai fatti, un avvocato che al momento dell’omicidio si trovava in Europa, e un giovane elegante e di buona famiglia che rispondeva al nome di Nathan Leopold.
Il 29 maggio 1924, Leopold e Loeb furono arrestati con l’accusa di omicidio. Leopold cercò in tutte le maniere di sviare ogni accusa a suo carico. Obiettò che quelli non erano i suoi occhiali, poiché li aveva persi tempo addietro durante una battuta di birdwatching. E sostenne inoltre che per la sera dell’omicidio di Bobby Franks aveva un alibi. Entrambi, infatti, dichiararono di fronte alla giuria di aver preso la macchina di Leopold e di aver rimorchiato due ragazze, con le quali avevano trascorso l’intera serata. Tuttavia, non avendo chiesto loro alcun recapito, non erano in grado di rintracciale. Fu tutto inutile.
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Gli alibi non ressero e ben presto i due giovani crollarono, cominciando ad accusarsi a vicenda.
Formalizzata la colpevolezza dei due rampolli, Leopold e Loeb vennero condotti di fronte al giudice che si trovò a dover prendere una delle decisioni più difficili della sua carriera: condannare a morte due ragazzi ancora minorenni o “concedere” loro l’ergastolo? Grazie alla maestria dell’avvocato difensore, Clarence Darrow, fermo oppositore alla pena capitale, Leopold e Loeb furono condannati al carcere a vita. E rinchiusi prima nel centro di correzione di Joliet e poi nel penitenziario di Stateville dove, il 28 gennaio del 1936, Loeb venne ucciso dal suo compagno di cella. Nathan Leopold divenne invece un detenuto modello, aiutò a riorganizzare il sistema scolastico e la biblioteca del carcere.
Seppur coscienti di possedere un ego smisurato, Nathan Leopold e Richard Loeb erano semplicemente due individui con quoziente intellettivo fuori dal comune. Due uomini che avrebbero potuto fare grandi cose se soltanto la loro mente non fosse stata corrotta dalla loro crudeltà.
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Difatti, la loro brama di gloria e il pensiero di essere al di sopra delle leggi umane li condusse a macchiarsi di un terribile crimine, Compiendo un atto che definire agghiacciante sarebbe riduttivo.
Eppure, sebbene non siano riusciti a compiere il delitto perfetto, effettivamente in qualche maniera sono riusciti a fare in modo che nessuno li dimenticasse. Invero, il loro scopo di attuare un delitto che fosse perfetto, non ha solo fruito come fonte di ispirazione per il film di Alfred Hitchcock, “Nodo alla gola” (Rope). Ma una pièce teatrale diretta da Patrick Hamilton dal titolo “Rope”, e “Compulsion”, un romanzo scritto da Meyer Levin nel 1956.