Un padre dispotico, una madre alcolizzata, due fratelli assassini. La folle storia del piano omicida di Lyle ed Erik Menendez.
20 agosto 1989. In un’affollata sala cinematografica di Beverly Hills il pubblico stava assistendo alla proiezione di “Batman”. L’Uomo Pipistrello, impersonato da Michael Keaton, e il leggendario Joker del grande Jack Nicholson si davano battaglia, facendo emozionare la platea intenta a sorseggiare una Coca-Cola fresca o a trangugiare una porzione grande di Pop-Corn al burro. Estasiata dalla terza fatica da regista del visionario Tim Burton, la platea si godeva lo spettacolo di una delle migliori trasposizioni cinematografiche del Cavaliere Oscuro di Gotham.
Eppure, in quella sala gremita di gente mancavano due persone, nonostante avessero dichiarato il contrario. Invero, mentre il pubblico in sala assisteva alla trasformazione di Jack Napier in Joker, i fratelli Lyle ed Erik Menéndez erano a casa, ad uccidere i loro genitori.
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Ma prima di raccontarvi questa macabra vicenda, facciamo un passo indietro.
Cresciuti in un ambiente ricco ma tossico, con due genitori dispotici, nonostante l’ostentata agiatezza, i fratelli Menéndez vissero un’infanzia e un’adolescenza tutt’altro che appagante. Il padre, José Menéndez era il figlio di un tennista professionista e di una nuotatrice olimpionica. E fu proprio grazie al nuoto che, dopo essersi trasferito negli Stati Uniti agli albori del governo Castro, José Menéndez ottenne una borsa di studio che lo aiutò a spalancare le porte della prestigiosa Princeton University. Qui conobbe Mary Louise Andersen, per gli amici Kitty, una studentessa due anni più grande lui, reginetta dei concorsi dei bellezza e aspirante attrice. Dopo la laurea della ragazza e il matrimonio, i due innamorati si trasferirono a New York, dove José si laureò in economia al Queens College. Ma il loro idillio durò ben poco.
Intelligente e ambizioso, il neolaureato divenne in breve tempo un uomo di successo. Mentre Kitty, rimasta incinta del loro primo figlio, Lyle, intraprese la nobile carriera della casalinga annoiata e insoddisfatta della propria vita. Tre anni più tardi nacque Erik. Dopo il parto e la costrizione del marito alla legge patriarcale, il quale sosteneva che la madre dei suoi figli doveva rimanere a casa a badare ai bambini, ben presto tutta la famiglia si trasferì a Los Angeles. Qui José iniziò a lavorare come amministratore delegato di un’importante casa di produzione cinematografica.
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Ma i trionfi in ambito lavorativo non erano abbastanza per soddisfare l’enorme ego del signor Menéndez. Invero, José pretendeva la perfezione dai suoi figli sia per quel che riguardava i voti a scuola sia per le attività sportive. E per quanto non fossero i primi della classe, fin da piccoli mostrarono un talento innato per il tennis.
Resosi conto delle loro doti sportive, il padre li costringeva ad allenarsi otto ore al giorno, sette giorni su sette, restando comunque perennemente insoddisfatto del loro rendimento. Le vittorie infatti non venivano osannate e in caso di sconfitta venivano violentemente puniti.
La madre invece, dedita ormai all’alcol, riteneva i suoi figli l’unica causa della sua mancata carriera da attrice. Spesso li castigava picchiandoli e rinchiudendoli per ore nello sgabuzzino o nella cabina armadio.
Nonostante i soprusi e i maltrattamenti subiti, Lyle e Erik crebbero più uniti che mai e circondati da amici ricchi quanto loro. Tuttavia, assieme all’adolescenza svilupparono anche un forte senso di ribellione. Difatti, accompagnati dalla loro banda di ricchi rampolli, cominciarono a svaligiare le case degli abitanti del quartiere, rubando gioielli e danaro. Fortunatamente le loro scorribande illegali ebbero vita breve in quanto gli sbirri li arrestarono entrambi.
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Ad ogni modo, per quanto furioso con i suoi figli, José riuscì a tirarli entrambi fuori di prigione e costrinse Erik, all’epoca ancora minorenne al contrario del fratello, ad assumersi la colpa di tutto.
Il giovane Menéndez venne quindi condannato ai lavori socialmente utili e ad andare in terapia da uno psicologo. Una pena piuttosto leggera per quanto commesso ma del resto è risaputo, “quando si commette un reato i poveri finisco in galera e i ricchi vanno in terapia”. Tuttavia, il dispotico capo famiglia, non riuscendo a sopportare la vergogna per il gesto sconsiderato dei suoi figli, decise che era giunto l’ora di cambiare nuovamente casa. E così i Menéndez si trasferirono a Beverly Hills, in quella villa maledetta in cui mesi più tardi vennero ritrovati i corpi martoriati di José e Kitty.
E se, prima del trasferimento, José era un padre ossessivo da quel momento controllò ogni aspetto della vita dei figli: le amicizie, i primi amori e le scuole da frequentare. Arrivando persino a decidere che entrambi avrebbero dovuto abbandonare il tennis poiché non abbastanza talentuosi per diventare professionisti.
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Ma i fratelli, stanchi dei continui soprusi e maltrattamenti da parte dei genitori decisero di agire. Così, il 20 agosto del 1989, Lyle ed Erik entrarono nella loro villa di Beverly Hills e, mentre i loro genitori se ne stavano seduti sul divano a guardare la televisione, li uccisero brutalmente.
Con l’ausilio di alcuni fucili acquistati con il documento di un loro amico, i fratelli Menendéz spararono a sangue freddo ad entrambi i genitori. Prima del colpo mortale alla nuca, José venne colpito da cinque colpi di fucile, di cui due alle ginocchia. Mentre a Kitty trovò la morte a seguito di uno sparo dritto in faccia.
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E furono proprio Lyle ed Erik, dopo aver compiuto il folle e ingiustificato gesto, a chiamare la polizia, fingendosi sconvolti per il ritrovamento dei corpi senza vita dei genitori. Difatti dopo aver commesso il folle e ingiustificato gesto, dichiararono di aver trascorso la serata, prima al cinema e poi per locali assieme ai loro amici.
Giunti a villa Menéndez, la polizia si trovò di fronte ad una scena agghiacciante. Tuttavia, già dai primi rilevamenti sul posto, esclusero che potesse trattarsi di un’esecuzione da parte di qualche esponente della mafia. Sebbene José fosse invischiato in molti traffici illegali. E poiché tutti gli averi e gli oggetti di valore della famiglia non erano stati toccati, esclusero anche il movente della rapina.
E per quanto la sera dell’omicidio Lyle ed Erik fossero apparentemente sconvolti dall’accaduto, nei giorni successivi mostrarono dei comportamenti tutt’altro che tipici per due ragazzi appena rimasti orfani.
Auto nuove, cene di lusso e un maestro privato di tennis furono solamente alcune delle folli spese dei due fratelli. Ma dopo lo sfarzoso funerale, Erik cominciò a mostrare segni di cedimento. E, convinto di essere protetto dal segreto professionale, confessò tutto al suo terapista, il dottor Jerome Oziel. Quest’ultimo dopo aver convocato anche il più grande dei fratelli Menéndez, raggiunse con loro un accordo: avrebbe mantenuto il segreto, solo e soltanto se entrambi avessero continuato ad andare in terapia da lui. Anche se i motivi del coinvolgimento del terapista sono avvolti nell’ambiguità, una cosa è più che sicura. Quello fu l’inizio della fine per i due fratelli.
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Sconvolto dalle parole e dall’indole violenta dei fratelli, soprattutto di Lyle, che più di una volta aveva minacciato di ucciderlo se avesse rivelato qualcosa, il dottore cedette ben presto e confessò tutto alla sua segretaria nonché amante, Judalon Smith.
Per qualche mese Lyle ed Erik sperperarono il patrimonio del defunto padre, fino a quando Oziel, con la collaborazione della sua amante, denunciò l’assassinio alla polizia, fornendo come prova le registrazioni delle sedute.
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Lyle venne arrestato mentre si godeva un pranzo con gli amici in un ristorante di lusso. Erik invece, che si trovava in Israele per partecipare ad un torneo di tennis, una volta venuto a conoscenza della notizia dell’arresto del fratello, tornò immediatamente negli Stati Uniti consegnandosi alla forze dell’ordine. La notizia fece ovviamente scalpore, ma fu il processo quello che attirò maggiormente l’attenzione dell’opinione pubblica, oltre che della stampa.
Dopo aver cambiato versione innumerevoli volte, nel 1993 i due fratelli affermarono di aver ucciso i genitori attenuandosi alla difesa personale a seguito di abusi mentali, fisici e sessuali da parte del padre (anche se quest’ultima non venne mai dimostrata). Mentre la madre, costantemente annebbiata dall’alcol, si limitava a fingere che niente stesse succedendo.
Infine, nonostante gli sforzi della difesa, Lyle ed Erik vennero giustamente giudicati colpevoli e condannati all’ergastolo. Ancora oggi stanno scontando la loro pena, senza possibilità di libertà condizionata. Niente sconti quindi per i due mostri di Beverly Hills.
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Eppure, nonostante il folle gesto e la permanenza forzata dietro le sbarre, entrambi sono riusciti a costruirsi una vita. Nel 1999 Erik ha sposato un’amica di penna di nome Tammi Saccoman ed ha scritto un libro sulla loro relazione. Lyle invece ha sposato l’ex modella Anna Eriksson, dalla quale ha divorziato dopo che lei ha scoperto le sue tresche con altre donne (naturalmente in prigione). Dopodiché nel 2003 si è risposato. Incredibilmente con un avvocato, ovvero Rebecca Sneed.
Ma a questo punto, è necessaria una piccola ma significativa riflessione. José Menéndez era un essere aberrante, violento con i figli, immischiato in illeciti traffici con la mafia. Era fedifrago e tirannico, sia con Lyle ed Erik che con la moglie. E Kitty non era certo meno colpevole del marito.
Casalinga amareggiata della propria vita, dedita all’alcol e alle punizioni corporali, incolpava i due ragazzi per non essere riuscita a fare carriera nel cinema. Per anni, Lyle ed Erik hanno dovuto subire intimidazioni sia fisiche che mentali, ma tutto ciò non giustifica un gesto tanto spregevole come l’omicidio.
I genitori che abusano, maltrattano e tormentano i propri figli devono essere puniti, questo è fuori discussione. Ma è giusto e doveroso rivolgersi alle legittime istituzioni di protezione. La violenza non è mai il mezzo appropriato.