La nostra storia ha luogo sul finire dei Roaring Twenties, gli anni ruggenti, precisamente a Chicago, anno 1927. Sullo sfondo di una afosa e giallognola giornata d’agosto, nello studio di registrazione Sturdyvant sono appena giunti quattro musicisti: il giovane e ambizioso trombettista Levee, il pacato trombonista Cutler, l’anziano e critico pianista Toledo e l’irriverente bassista Slow Drag. La loro non è una band qualunque. E’ la band di Ma Rainey, nota al grande pubblico come la MadredelBlues, e sta per svolgersi la registrazione del brano Ma Rainey’s Black Bottom. Apparentemente una trama semplice, senza grossi sbocchi narrativi. Ma in realtà quella che per due ore viene messa in scena è più di una semplice storia. Come direbbe Sylvester, il nipote di Ma, “non avete ancora visto niente, Ma Rainey sta per mostrarvi il suo grosso culo nero” (perdonatemi il francesismo).
Credo che Ma Rainey’s Black Bottom, uscito nelle sale digitali di Netflix lo scorso 18 dicembre, sia stata la giusta conclusione per un anno in cui i cinema sono stati chiusi a causa dell’emergenza sanitaria e dove effettivamente la cinematografia non ha brillato per grandi film. Un’ombra si aggira tra le trame del film. Quella di Chadwick Boseman nei panni del trombettista Levee. Il ruolo gli calza a pennello, scollandogli di dosso quello che lo ha reso famoso, ovvero quello del primo eroe Marvel di colore Black Panther.
Guardando la sua interpretazione sulle nostre bocche compare un sorriso amaro pensando alla sua recente scomparsa lo scorso agosto. E’ naturale chiedersi chissà quanti altri ruoli fantastici avrebbe potuto interpretare un attore così versatile come lui. In Ma Rainey’s Black Bottom si è ricavato una parentesi non indifferente. Quella di un uomo, un giovane trombettista, desideroso di fama, gloria, una bella vita e qualche bella donna, che nasconde, dietro questa apparente estetica scanzonata, un sorriso amaro e realista, quello di un giovane afroamericano la cui vita non è stata facile e che vive in attesa di potersi vendicare della violenza indiretta compiuta da un gruppo di bianchi verso la sua famiglia.
Se da un lato la storia sembra essere occupata dalla storia di Levee e dalle prove della band, la situazione viene subito bilanciata quando in scena entra lei, una splendida e curiosa Viola Davis nei panni di Ma. Curiosa perché il trucco e l’interpretazione sulla e della Davis hanno reso in modo più che riuscito questa donna, questa cantante, di cui sappiamo non moltissimo: nome d’arte di Gertrude Pridgett, nasce nel 1866 in Georgia. Capendo fin dalla prima infanzia di avere un potere enorme, quello della voce, tanto che, dopo essersi unita ad un gruppo teatrale, si ritrovò a sentire un giorno una storia di vita vera cantata con delle strane note, che prese e fece sue, dando origine ad un nuovo genere, il blues, del quale coniò addirittura il termine. La musica “su cui Dio ballava se solo era negro”, come direbbe Tim Tooney a Novecento.
Perché questo nome, Ma Raineys? Si sposò col cantante William “Pa” Raineys, fecero coppia e ne assunse il nome. Insieme portarono all’attenzione pubblica canti popolari e storie di vita vera degli afroamericani in chiave blues. Questa storia, più che un vero e proprio personaggio, ha come protagonista la voglia di riscatto. Tanto Levee quanto Ma vogliono riscattarsi da una vita difficile che li ha messi alla prova e da una manica di bianchi che li hanno derisi e additati. E vogliono farlo con la musica.
La Davis si è calata veramente bene nella parte, rendendo bene questo bisogno di riscatto di Ma, dalla corporatura giunonica alla voce graffiante e scura come la notte. Lei non ha paura dei bianchi. Lei li sfida, li sfida cantando. Li sfida giocando sull’eccentricità e sulle smanie da star, dal ventilatore alla coca cola, al non fare mistero della sua ménage con la giovane amante Dussie Mae, ragazza che si mostra aperta a più rapporti, persino con Levee.
Sotto questa estrosità e queste smanie c’è una riflessione potente sul filone dei diritti umani portato avanti per tutto il corso del film. Un po’ in linea con le proteste sociali dei BLM che hanno sconvolto l’America a partire dallo scorso giugno.
Ma sa di avere talento. Lo sanno anche i tanti che la ascoltano e le hanno dato il successo che merita. Sa delle manovre e dei giochi sporchi che si celano nelle politiche commerciali dei bianchi: sa di essere una grande voce e non “una bambola da mettere dove vogliono”, come lei stessa dirà, rivendicando i diritti sulla canzone e su quell’arrangiamento che Levee vorrebbe cambiare.
Cambiare l’arrangiamento si fa metafora del cambio di vita che avverrebbe se Levee sfondasse nel mondo della musica. Nel momento in cui il trombettista sfonda la porta dello scantinato delle prove, aspettandosi una stanza segreta, si ritrova in uno spazio angusto dove l’unico sguardo da dare è quello rivolto al cielo verso Dio. Un dio in cui non crede perché “dalla parte dei bianchi”.
E come tutte le tristi verità il rancore e la perdita della ragione fanno il loro corso in un epilogo inaspettato quanto amaro. Ma, come direbbe Manzoni, “ai posteri l’ardua sentenza”, traducibile con “vi evito gli spoiler”.
Un film davvero interessante, che mette in scena non solo il tema più che attuale della rivendicazione dei diritti degli afroamericani o la libertà sessuale o ancora quello della maternità autoriale, del femminismo, della misoginia o della corruzione e tanti altri. Giocato su quella tensione scenica tipica del teatro americano. Non a caso si tratta di un adattamento fedele dell’omonima opera teatrale, composta negli anni 1982–84, del drammaturgo americano August Wilson, vincitore del premio Pulitzer, autore di cui sono state allestite a Broadway quasi tutte le sue opere.
Amante di penne del calibro di Borges, viveva la scrittura non come una narrazione rivolta ad uno specifico pubblico, ma nel vero senso di storia, ovvero la scrittura come testimonianza diretta di una contro narrazione rispetto alla storia universale. A guardarlo bene, si potrebbe dire, per i più attenti, che abbia preso grande ispirazione dalla scrittura dell’altrettanto celebre Cormac McCarthy, autore di SunsetLimited, che affronta, in un dialogo a due voci, il rapporto tra bianchi e neri e il senso più profondo della spiritualità, tema a cui Wolfe, il regista di Ma Rainey’s Black Bottom, ha dato molto spazio nei dialoghi tra Cutler e Levee. Possiamo dire che Ma Rainey’s Black Bottom suoni bene tanto quanto la sua stessa musica blues…
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