“Se uscivi a Ostia e cominciavi a fare il principe, come minimo ti rubavano la bicicletta e poi ti davano pure due pizze!” (Luca Ward – Il talento di essere nessuno, pagina 70).
Ho dovuto interrompere la lettura per qualche minuto, mi è scappato da ridere. Io questa frase l’ho letta con la voce di Luca Ward, avendo in mente la faccia con cui l’avrebbe pronunciata. Il volto stampato in copertina, quello di un uomo serio e tenebroso, è lo stesso che in una puntata di Voice Anatomy (che trovate su RaiPlay), si apriva in una spassionata e autoironica risata, nel momento in cui gli veniva sottoposto lo scioglilingua “tu ti ci stizzisci”, che non riusciva a pronunciare. “Pensa se dovevo di’ tu ti tisti scisci, se diventavo famoso!”, scherzava con i colleghi Insegno e Pannofino, tra le risate generali.
Il carattere di Luca Ward è condensato proprio in queste brevi frasi spontanee, parole di una persona che ha raggiunto i propri obiettivi e superato i suoi limiti, nella carriera, come nella vita personale, ma che continua a presentarsi con grande umiltà. È partito, è arrivato, è andato anche oltre, ma conserva la sua indole bontempona e scanzonata.
La dedica nella sua autobiografia, del resto, la dice lunga: “A tutti quelli che credono di non farcela. Non è così”. E si parte già con una bella carica di ottimismo, che sottende, però, una vena malinconica.
Luca Ward ci ha abituati al sé stesso personaggio: timbro suadente, bella presenza, gran professionalità. La voce inconfondibile di molti noti e apprezzati attori, colui al cui segnale non si può scatenare altro che l’inferno. È inevitabile.
Ma voi riuscireste a immaginare la sua voce di bambino? O di adolescente? Io pagherei per sentirla!
Eh sì, perché il self–made man che vediamo oggi in TV, è stato anche piccolo – Capitan Ovvio – e certamente non immaginava che la sua voce gli avrebbe cambiato la vita.
Nel raccontarsi, Luca parte da lontano, vale a dire da William Jim Ward; pone l’accento sul suo cognome, dice che sì, è “quello vero”, perché il nonno era un americano di origini inglesi. Non voglio togliere a nessuno il gusto di scoprire la storia di questo uomo di mare, mi limiterò a dire che essa, filtrata attraverso le parole di suo figlio, abbia avuto un grande impatto sul temperamento del nipote.
Il mare è una costante, nella famiglia Ward, da William, ad Aleardo, a Luca. Il mare di Ostia per quest’ultimo, nella fattispecie. E si ritorna, quindi, da dove si era partiti, da quell’enorme quartiere, croce e delizia di una Roma di lati chiari e oscuri, motivo di orgoglio per un ragazzo, ora un uomo, che alla domanda “di dove sei?”, risponderà sempre – non senza un certo moto di orgoglio – “so’ de Ostia”!
“Negli anni della povertà, quelli in cui la scelta più facile sarebbe stata rubare o delinquere, ho potuto difendermi solo così: lavorando”
La scomparsa di Aleardo Ward fa sì che Luca cresca in fretta; figlio d’arte, non si fregia dei suoi natali, tutt’altro. Prima di approdare al mondo del cinema, e solo successivamente – quasi casualmente – a quello del doppiaggio, si butta anima e corpo in qualsiasi tipo di attività, pur di essere d’aiuto alla sua famiglia, del cui benessere si ritrova ad essere responsabile. Il bagnino, l’addetto alla vendita delle bibite nell’autodromo di Vallelunga, il restauratore, il facchino, il camionista. Lo stesso uomo che sarà gladiatore, gangster, sicario, agente 007, ma anche Duca – e in quest’ultimo ruolo metterà la faccia, i fan di “Elisa di Rivombrosa” lo sanno…!
“Tu hai stoffa, vedrai che tra qualche anno diventerai il nuovo James Bond!”
Le parole di Pino Locchi, alla voce che avrebbe raccolto quell’immenso testimone. Nel 1995, il felice pronostico si avvera: Luca Ward è il doppiatore del Bond di Pierce Brosnan. A questo punto, aveva già raggiunto vette altissime – tutti già sapevano che il suo nome fosse “quello del Signore”, tanto per fare un esempio banale. – È incredibile come, pensando al suo volto, mi venga in mente un collage di attori, ramificato, a sua volta, in una quantità esponenziale di personaggi. Tutti che bucano lo schermo.
Il doppiaggio, come anticipavo, si fa strada di soppiatto, nella sua vita. “Mi sembrava una macchina infernale, di cui mi sfuggivano i meccanismi, altamente tecnici e specializzati. Tutto diverso dal teatro o dal cinema”, dice a riguardo. Ma mai avrebbe potuto darsi per vinto. Inizia quindi a studiare incessantemente, a sacrificare il suo tempo libero per provare battute in solitaria, per familiarizzare con quel mondo, pendendo dalle labbra dei più grandi – oltre a Pino Locchi, Ferruccio Amendola, Sergio Fantoni, Alberto Sordi. – Si dice grato a ognuno di loro, al cui confronto si sente il più anonimo dei signori Nessuno.
La sua sfolgorante e impegnativa carriera, oltretutto, non gli ha impedito di essere uno splendido marito, un amorevole figlio e fratello, un ottimo padre.
Sacrificio e abnegazione ne hanno fatto la persona che è oggi: con la voce oltreoceano, ma Ostia nelle vene, il sorriso sornione di chi la sa lunga, la battuta pronta. La sua è un’autobiografia a cuore aperto; niente, della sua vita, resta nell’ombra. Ne emerge una personalità votata al lavoro, quello onesto, quello che nobilita. Quello con il quale intendeva riscattare suo padre. Perché Luca Ward, nel suo lavoro, voleva essere il migliore.
C’è riuscito.
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