“Modern Times”, oltre ad essere l’ultima apparizione di Charlot, è una forte critica al sistema capitalistico dell’America post Crollo di Wall Street. Una critica particolarmente osannata durante la scena della catena di montaggio.
Durante la crisi del ’29, diretta conseguenza del Crollo di Wall Street, le industrie americane subirono numerose perdite. Per risollevare i profitti nel disperato tentativo di far tornare i conti, il sistema capitalistico cominciò a sfruttare la classe operaia. Il costo della manodopera venne notevolmente abbassato, riducendo così al minimo il salario dei manovali, che producevano molto più di quanto guadagnassero.
Charlie Chaplin, uomo colto e intelligente, fortemente a favore della classe lavoratrice, decise di rappresentare a modo suo le pessime condizioni in cui i proletari erano costretti a svolgere il proprio mestiere.
Grazie al suo personaggio più celebre, l’eterno vagabondo Charlot, Chaplin mise in scena una pellicola che portò alla luce le pessime condizioni in cui si trovavano gli operai, ammassati nelle fabbriche e costretti a lavorare a ritmi impossibili. Il tutto per guadagnare abbastanza da permettersi un tozzo di pane e un tetto sulla testa.
Per la sequenza iniziale di “Modern Times”, considerato come il manifesto della Grande Depressione secondo Chaplin, ambientata interamente in una fabbrica, il regista decise di ricreare la catena di montaggio che aveva notato durante una visita agli stabilimenti automobilistici della Ford. Basandosi sulla sua esperienza diretta furono realizzati una serie di bozzetti che servirono da modello per la costruzione di una scenografia che apparisse come una fabbrica abbastanza grande da ospitare centinaia di lavoratori.
E inserendo Charlot all’interno della scena, Chaplin riuscì a cogliere i concetti chiave della catena di montaggio: produrre tanto, rapidamente e con regolarità.
In una breve ma significativa introduzione Chaplin paragona un gregge di pecore che corre verso il macello, ad un gruppo di operai che, ammassati tra loro, escono dalla metro per dirigersi con una certa fretta verso la fabbrica. Un luogo dove il singolo elemento non conta e la cosa più importante è la produttività. A questo punto, l’attenzione del regista, e di conseguenza degli spettatori, si concentra su tre operai impegnati nel compito di stringere dei bulloni che un macchinario trascina davanti a loro. Del terzetto fa parte Charlot. La sua mansione è quella di maneggiare due chiavi inglesi per attanagliare i cavicchi che poi verranno definitivamente bloccati dai suoi compagni di reparto.
Da notare l’importante contrapposizione rappresentata dalla presenza del presidente della Electro Steel Corporation.
Mentre gli operai stanno faticando per mantenere alta la produttività, senza avere neppure un attimo di tregua, egli può permettersi di starsene comodamente seduto nel proprio ufficio a completare un puzzle e leggere il giornale, osservando, per mezzo di uno schermo, i comportamenti più o meno accettabili, e il rendimento dei suoi dipendenti. Dal suo ufficio, infatti, il presidente può comunicare con i capireparto e decidere se amplificare o diminuire la velocità dei macchinari. Un espediente per aumentare la produttività e rendere il lavoro degli operai sempre più frenetico.
Difatti, il povero Charlot, si troverà costretto a ripetere in maniera sempre più convulsiva il medesimo movimento per avvitare i bulloni, tanto che non potrà permettersi neppure un secondo di distrazione per non perdere il ritmo. Cosa che accadrà quando un insetto disturberà la sua concentrazione, obbligando il Vagabondo a interrompere il lavoro per poi correre dietro ai pezzi trascinati dalla macchina per recuperare il tempo perso.
Assoggettato da una più che frenetica condizione lavorativa, in cui una macchina conta più di un essere umano, Charlot, umile operaio che ha un estremo bisogno di non perdere il proprio impiego, si fionderà sopra al rullo finendo per incastrarsi tra gli ingranaggi. Grazie a questa sequenza, Chaplin realizzò una perfetta metafora della condizione in cui si trovavano gli operai americani durante la Grande Crisi: incastrati in un lavoro che non li soddisfaceva ma del quale non potevano fare a meno.
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