“A volte sogno di essere una tigre. Ma poi sveglio sciacallo” (“Mowgli – Il figlio della Giungla)
Benvenuti nella vera Giungla, quella descritta da Kipling nei suoi libri, quella cattiva e spietata, dove il forte mangia il debole, dove le scimmie non ballano, i lupi non sono amichevoli e lo stretto indispensabile non basta. Una Giungla tanto bella da vedersi ma dove è difficile sopravvivere. Gli animali sono feriti, sporchi e sottomessi ad una Legge della Giungla che a volte può essere ingiusta, ma che nessuno osa infrangere. Nessuno tranne Shere Khan (Benedict Cumberbatch), la feroce tigre che uccide le vacche degli esseri umani e che ha sete del sangue del Cucciolo d’uomo (Rohan Chand).
Alla sua seconda esperienza da regista, Andy Serkis ripercorre fedelmente i racconti di Kipling con protagonista il giovane Mowgli, un bambino cresciuto con i lupi Nisha (Naomie Harris) e Vihaan (Eddie Marsan), con la pantera Bagheera (Christian Bale) e l’orso Baloo (Andy Serkis). Un film molto più maturo rispetto alla trasposizione in live action di due anni fa, targata Disney. Serkis toglie le parti canterine, spoglia il racconto di ogni spensieratezza e crea un universo oscuro e atrocemente crudele, come sono realmente i libri.
Dopo essere stato a scuola di regia da Peter Jackson, Serkis confeziona una pellicola che a tratti ricorda i lavori del suo maestro (“Il signore degli anelli” e “Lo Hobbit”), specialmente nella scena iniziale in cui la voce narrante del pitone Kaa (Cate Blanchett) è la stessa di Lady Galadriel ne “Il signore degli anelli”, e racconta cosa sta accadendo nella Giungla. Con un’ambientazione che passa dai colori accesi della Giungla aperta, al buio inquietante di caverne e antiche rovine, un ritmo serrato e movimenti di macchina veloci, “Mowgli – Il figlio della Giungla” esce decisamente a testa alta nel confronto con il suo predecessore della Disney.
Baloo non è un orso giocoso e pigro, ma un insegnante della Legge della Giungla severo e molto esigente, che non fa sconti a nessuno, arrivando anche a mollare qualche zampata pur di farsi ascoltare dai suoi allievi.
Bagheera è colui che insegna a Mowgli a cacciare e a procurarsi il cibo senza mai mancare di rispetto alla preda. Un maestro il cui principale scopo è quello di mettere il Cucciolo d’uomo di fronte alla verità. La maggior parte dei lupi del branco odia Mowgli e preferirebbe consegnarlo alle fauci di Shere Khan piuttosto che considerarlo uno di loro. E finalmente possiamo goderci una rappresentazione di Tabaqui (Tom Hollander), la iena che fa da galoppino a Share Khan, anche se effettivamente Serkis non gli rende abbastanza giustizia, poiché Kipling stesso la descrive come una bestia da temere molto più della tigre per via della sua pazzia.
Serkis produce un film pretenzioso, che non rinuncia alla violenza e al sangue. Un’opera razionale, ottima rappresentazione del vero spirito delle fiabe: crudo, cruento, mai prodigo di buonismi e di inutili sequenze smielate. “Mowgli – Il figlio della giungla” è un film che attraverso immagini potenti insegna a grandi e a piccoli l’importanza di riconoscere e non rinnegare la propria natura, anche a costo di essere esclusi dal branco.
E’ bello vedere (finalmente) dei personaggi “difettosi”.
Le bestie di Serkis infatti, a differenza dei perfetti e puliti animali di Favreau, hanno un enorme carisma pur essendo grezzi, sporchi e feriti. Ognuno di loro ha un’evidente ferita o menomazione sul proprio corpo. Baloo ha una cicatrice che gli storge la bocca, Bagheera porta i segni di un collare che indossava quando era schiavo degli uomini e Sherer Khan è zoppo. Per non parlare dell’aspetto di Tabaqui che ha il pelo lacerato in ogni parte del corpo e le mosche gli svolazzano costantemente intorno. Ogni cicatrice rappresenta la sottomissione degli animali alla Legge della Giungla. Per questo Kaa è l’unico essere a non avere difetti, essendo lei “vecchia quanto la Giungla”, essendo lei “gli occhi della Giungla”, e quindi al di sopra di ogni regola. Niente a che vedere con il goffo ipnotizzatore, che soffre di sinusite, come nel Classico Disney.
Pur essendo un’ottima trasposizione del libro di Kipling, il film di Serkis non è di certo privo di difetti. La seconda parte infatti è molto meno potente e più tirata via rispetto alla prima. Il finale soprattutto, è eccessivamente frettoloso e sbrigativo. Ma nonostante qualche piccola pecca, la pellicola funziona e conferma il grande talento di Andy Serkis.
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