“Once Upon a time in America” e i retroscena del capolavoro di Sergio Leone.
Ogni regista ha il proprio sogno nel cassetto. Un film che per anni, forse decenni, aspetta di poter finalmente realizzare. Stanley Kubrick per esempio avrebbe voluto girare un film su Napoleone. Progetto che poi è stato raccolto come eredità da Ridley Scott con la pellicola dal titolo “Napoleon” con protagonista Joaquin Phoenix.
Quello di Sergio Leone, regista italiano famoso per aver diretto capolavori del western come “La trilogia del Dollaro”, “C’era una volta il West” e “Giù la testa”, dopo aver terminato la lettura del romanzo di Harry Grey “Mano Armata”, fu colto dalla folgorante idea di dirigere un film ispirato alle vicenda narrate nel libro che tanto aveva amato. “C’era una volta in America” è stato un sogno che Leone ha seguito per circa vent’anni. E, visto il risultato, è il caso di dire che l’attesa è valsa la pena.
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E, come ogni pellicola che si rispetti, ci sono molti aspetti, soprattutto legati ai retroscena e ai dietro le quinte, che spesso, a noi umili spettatori sono celate. Nonostante questi retroscena siano molto curiosi e interessanti. Proviamo quindi a scoprirne qualcuno legato a “C’era una volta in America”. Un film che in molti definiscono essere tra i capolavori del cinema.
1 – Ispirato dal romanzo di Grey, il cui titolo originale è “The Hoods”, prima di poter finalmente realizzare “C’era una volta in America”, il sogno di Sergio Leone era ben altro.
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“Mano Armata” è un romanzo parzialmente autobiografico che Harry Grey, ossia l’ex braccio destro di Frank Costello, ha scritto durante il suo periodo di reclusione a Sing Sing. La storia comincia raccontando le scorribande di un gruppo di ragazzini nella New York degli anni ’20 e, leggendo quelle pagine, a Leone tornò in mente un film che avrebbe voluto fare a inizio carriera ma che, purtroppo, rimase incompiuto, e che avrebbe intitolato “Viale Glorioso”.
Il progetto era quello di realizzare un racconto di formazione ispirato alla sua infanzia, trascorsa a Trastevere durante gli anni ’30. La trama doveva raccontare la storia di un ragazzino che, assieme ai suoi amici, tra una scorribanda e l’altra, subiva la fascinazione per il cinema.
Ma ben presto Leone dovette accantonare l’idea poiché Fellini diresse “I Vitelloni”, una pellicola che, secondo Sergio Leone, aveva già detto tutto quello che c’era da dire sull’argomento.
2 – La realizzazione di “C’era una volta in America” non fu per niente facile. E ottenerne i diritti fu ancora più complicato.
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Se Fellini battè sul tempo Leone realizzando “I Vitelloni”, Dan Curtis, già regista della serie TV “Dark Shadow”, fu il primo ad acquisire i diritti del libro di Harry Grey, intenzionato più che mai a dirigere la trasposizione cinematografica.
Curtis era talmente tanto convinto della potenzialità della storia che non cedette a nessuna delle lusinghe del suo collega italiano. Neppure quando gli vennero offerti 250.000 dollari. Fu solo l’intervento del produttore Antonio Grimaldi, avvenuto nella seconda metà degli anni ’70, a convincerlo. Questo propose a Curtis di cedere i diritti a Sergio Leone, e in cambio avrebbe prodotto un altro suo film, ossia “Ballata Macabra del 1976.
3 – Ci sono diverse leggende riguardo all’incontro e alla collaborazione tra Sergio Leone e Harry Gray. La verità è che l’ex galeotto era molto restio a cooperare, tanto da arrivare a chiedere che nei loro incontri non ci fosse nessun testimone.
Una condizione impossibile da rispettare per Leone poiché non parlava e non capiva l’inglese. Così Gray concesse al regista di portare con sé un interprete. Gli incontri avvennero in una serie di vecchi locali newyorkesi che servirono al regista da ispirazione per alcune scene del film.
Grey parlò pochissimo. Ma confessò comunque a Leone che l’uomo a cui si era ispirato per il personaggio di Max era ancora vivo e, poco prima che avvenisse l’incontro, aveva tentato di coinvolgerlo in un mal affare. Ad ogni modo, Sergio Leone riuscì a convincere Grey a partecipare alla realizzazione del film nelle vesti di consulente. Purtroppo però lo scrittore morì nel 1980, prima che cominciassero le riprese.
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4 – La sceneggiatura passò di mano in mano. Furono dapprima incaricati Leonardo Benvenuti e Piero De Bernardi, coppia storica della commedia all’italiana. Poi altri nomi come lo sceneggiatore di Luchino Visconti, Enrico Medioli. L’ex critico cinematografico ma all’epoca sceneggiatore Franco Ferrini. Franco Arcalli e infine la sceneggiatura fu ultimata da Stuart Kaminsky, docente di cinema e autore di romanzi. E di molti dialoghi presenti nel film. Leone dichiarò il coinvolgimento di così tanti nomi, ma attribuì solo a Benvenuti e a Kaminsky l’onere di aver portato a termine la sceneggiatura.
Ma la sceneggiatura si rivelò essere molto più lunga del previsto. Scottati dalla paura di un insuccesso, in molti abbandonarono il progetto che rimase fermo per tre anni. Fu nel 1980 che ritrovò l’entusiasmo. Leone incontrò il produttore Arnon Milchan a Cannes che, convinto più che mai a realizzare il film grazie al racconto di Leone, riuscì a coinvolgere la Warner Bros e la Ladd Company.
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5 – Il romanzo di Grey si conclude esattamente dove Sergio Leone inizia a raccontare. Il film, infatti prosegue con una libera interpretazione del regista nell’esporre la storia di Noodles che, rimasto solo dopo la morte dei suoi amici e colleghi durante gli anni ’30, torna a New York invecchiato e sempre solo. Incontrerà Deborah e scoprirà delle verità sulla donna e sul suo amico Max. Leone, però, non si fermò. Diresse una tra le scene più disturbanti del film. Divenuta in seguito fonte di dibattito. La scena finale di Noodles al locale d’oppio. Difatti allo spettatore vien da chiedersi. Noodles ha immaginato tutto?
6 – Ci sono molte differenze tra il romanzo e il film di Leone. Per leggere le altre curiosità su “C’era una volta in America”, Link a Instagram.
7 – Come già accaduto in precedenza, Ennio Morricone realizzò la colonna sonora prima ancora che iniziassero le riprese. Considerata la prolungata realizzazione del film, molte melodie erano già pronte e Leone, che già da molti anni usava lavorare con il genio creativo di Ennio Morricone, usò, per meglio creare l’atmosfera necessaria, quei temi pieni di malinconia durante la lavorazione per creare al meglio l’atmosfera.
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8 – Nella sua genialità, Sergio Leone ha voluto omaggiare uno dei suoi registi preferiti, Stanley Kubrik. La sequenza di cui stiamo parlando è forse una delle più febbrili di “C’era una volta in America”, ovvero quella in cui, al ritmo de “La gazza ladra” di Rossini, i quattro criminali ricattano il capo della polizia Aiello facendo, in un certo qual senso, sparire il suo bambino appena nato.
Noodles e gli altri, nel tentativo di sostenere il sindacato (quello criminale ovviamente) e ottenere i favori della polizia, vestiti di tutto punto con un camice bianco, scambiano i braccialetti di tutti i bambini presenti nella nursery. Nel mentre Cockeye beve, da un biberon, una bella razione di latte.
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Oltre all’abito bianco, tipico di Alex e dei suoi Drughi, che per chi non lo sapesse sono i protagonisti di “Arancia Meccanica”, Sergio Leone ha voluto utilizzare la stessa sinfonia che Kubrick utilizzò per alcune sequenze, particolarmente violente.
Invero, mentre le note di Rossini riempiono lo schermo, i Drughi aggrediscono due donne. E se questo non bastasse, Cockeye beve il latte, che è la bevanda preferita, anche se allungato con la Vodka, della banda di Alex.
9 – Per quanto riguarda le location, a Leone fu offerta la possibilità di girare il film negli stessi luoghi che Francis Ford Coppola utilizzò per “Il Padrino – parte 2”. Ma il regista italiano rifiutò trovandoli poco interessanti.
Molte delle scene furono girate negli studi di Cinecittà, dove lo scenografo Carlo Simi costruì un intero quartiere di New York basandosi sulle fotografie del Novecento che ritraevano le strade della Grande Mela.
Ma per gli esterni, Leone decise di girare il mondo. Dal New Jersey fino a Parigi e Venezia. Il lussuoso hotel di Long Island, per esempio, è ispirato all’Hotel Excelsior del Lido di Venezia, mentre la Grand Central Station di New York venne ricreata nella Gare du Nord di Parigi.
Ma l’aspetto più interessante è che Leone voleva rappresentare il ghetto ebraico, con il ponte di Brooklyn visibile nelle profondità di campo. Una cosa che gli è riuscita perfettamente. E infatti Dumbo, tutt’oggi è meta di milioni di turisti appassionati all’immenso film di Sergio Leone.