One Tree Hill non è stato solo Ravens e triangoli amorosi. Ma molto, molto di più.
Fine anni ’90. Grazie a questa piccola e all’apparenza insignificante scena iniziava la nostra adolescenza. Un giovane Dawson Leery, assieme all’amica d’infanzia, Joey Potter, si ritrovavano a guardare, nella piccola cameretta del ragazzo, colma di poster di cinema e oggetti cinematografici, lo schermo della tv in camera del ragazzo, rapiti dalla milionesima visione di E.T – l’extraterrestre, film di Steven Spielberg, regista a cui Dawson era devoto.
Dawson’s Creek, classe 1998, telefilm (all’epoca si chiamavano così) dedicato non solo ad un pubblico adolescenziale in cui ogni protagonista di sedici anni parlava come se fosse Sigmund Freud, ma “erede” ufficiale, se così lo si vuol definire, di “Beverly Hills 90210”, capostipite del genere a inizio anni ’90, era incentrato sulla vita di un gruppo di adolescenti tutt’altro che privilegiati. Alle prese non solo con i consueti problemi che l’adolescente medio era costretto ad affrontare, i ragazzi della cittadina di Capeside, erano colmi d’angoscia nello scegliere la giusta via da intraprendere per il proprio futuro.
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E qui entra in ballo il buon caro vecchio Dawson Leery, ragazzo equilibrato, sognatore e giovane romantico. Leale in amicizia e in amore (anche se in amore in futuro si rivelerà un po’ meh…), Dawson è stato colui che tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio ci ha insegnato, oltre a non desiderare mai e poi mai la donna altrui, a leggere tra le righe di ogni film che guardava. Dawson, infatti, era convinto che nei film di Spielberg vi erano nascoste tutte le risposte ai dubbi della vita (vedere per credere, la prima puntata). E così Dawson, puntata dopo puntata, ha analizzato fino all’osso ogni film che si è ritrovato a guardare, richiamandone il significato, proiettando, come un giovane regista, ogni frammento della sua vita.
E mentre Dawson’s Creek era perso verso il viale del tramonto, grazie alle ultime due stagioni che hanno lasciato davvero a desiderare, un’altra serie tv, un altro teen-drama, avrebbe varcato la soglia della serialità adolescenziale. Un po’ in sordina, forse. Ma alla grande. E con alcune puntate, aggiungerei, da fare invidia alla serialità attuale.
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Sto parlando di One Tree Hill.
Creata dalla mente di Mark Schwahn, One Tree Hill, cittadina fittizia del North Carolina, è principalmente la storia di due fratellastri, Nathan e Lucas Scott, divisi fin dalla nascita dal loro padre naturale, Dan Scott, che, appena diciottenne, si trovò a prendere un’importante decisione. Messe incinte due ragazze a distanza di un paio di mesi l’una dall’altra, prima Karen e poi Deb, Dan scelse di crescere il piccolo Nathan Scott, a discapito del figlio maggiore, Lucas, cresciuto grazie agli sforzi di sua madre Karen e con l’aiuto dello zio Keith Scott, fratello di Dan, da sempre innamorato della donna.
I due ragazzi, quindi, sebbene cresciuti nella stessa One Tree Hill, ormai sedicenni riescono a malapena a parlarsi, senza sfociare, inevitabilmente, nello scontro verbale e fisico. Ma un giorno le cose iniziano a cambiare a One Tree Hill. Whitey, il coach dei Ravens, la squadra di basket della scuola nella quale Nathan è il leader, sceglie di reclutare Lucas, provocando non pochi dissensi.
Inizieranno quindi le ostilità tra i fratelli Scott. Non solo Nathan e Lucas si faranno guerra sul campo da basket (e non solo), alimentata soprattutto dall’infido Dan Scott, che cercherà in tutti i modi di allontanare i due ragazzi, ma la lotta tra Caino e Abele non si fermerà qui. Difatti, la vera guerra tra fratelli interesserà soprattutto Keith e Dan Scott, e condurrà la serie a intraprendere una piega molto impegnativa. E riflessiva. Capito, “Caino e Abele”?
Tra bullismo, omicidi e tentati omicidi, stalker, cuori spezzati, tradimenti, matrimoni tra adolescenti, e il basket che sempre sarà in qualche modo protagonista della storia, One Tree Hill ha da sempre avuto una particolarità che ha contraddistinto la serie.
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Quindi, qui la correlazione con Dawson. Se Dawson Leery prestava attenzione nel cogliere i profondi significati nascosti all’interno di ogni tipo di film per capire e affrontare la propria esistenza, Lucas Scott, giocatore di basket, lettore appassionato e futuro scrittore, riesce a cogliere, attraverso le frasi degli autori e dei romanzi che legge, le numerose affinità che le parole hanno sulla sua vita e di chi ha intorno. Difatti, la maggior parte delle volte, è sua la voce fuori campo che funge principalmente da narrante alla fine di ogni puntata (e qualche volta anche ad inizio).
Un esempio calzante è proprio durante la prima puntata. Lucas, come dicevo, è un assiduo lettore, e le sue letture variano tra poesie e romanzi d’autore. Sua madre Karen, conscia della sua dirompente passione per la letteratura regala al figlio il “Giulio Cesare” di William Shakespeare. La cui frase più conosciuta “C’è nelle cose umane, una marea…che colta nel flusso conduce alla fortuna. Ma perduta, l’intero viaggio della nostra vita si arena sui fondali di miseria. Ora noi navighiamo in un mare aperto…dobbiamo dunque prendere la corrente finché è a favore…oppure fallire l’impresa davanti a noi.” Calza a pennello con la svolta che la vita di Lucas Scott sta prendendo.
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Lucas, difatti, dopo aver letteralmente combattuto per sé stesso, per sua madre e per ottenere un posto in squadra, completamente in balìa dell’arroganza e dalla supremazia di Nathan Scott, leader indiscusso dei Ravens di Tree Hill, che convince la squadra (a parte Jake) a rifiutare ad ogni ripresa la presenza ingombrante del suo fratellastro, Lucas, quest’ultimo, alla fine del primo episodio, recita le parole scritte da Shakespeare, che riassumono il fine di quel che il ragazzo ha scelto di fare della sua vita. Ovvero, cogliere l’occasione, proprio come dice il coach Whitey, di entrare nella squadra locale del liceo, i Ravens, e sperare quindi di poter avere un glorioso futuro ed entrare così in un buon College (ovviamente questo è sottinteso).
L’episodio, come le sue parole finali “oppure fallire l’impresa davanti a noi” si ferma con Lucas che, quasi in imbarazzo, entra nella palestra dei Ravens, mentre tutta la squadra e l’intero corpo delle cheerleader lo osserva. Cosa ne sarà di Lucas? Riuscirà a non perdere sé stesso una volta entrato nel mondo dei ragazzi popolari?
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Puntata dopo puntata, i personaggi crescono, imparano dai loro errori, poi ricadono in essi o ne creano altri. Insomma, per chi non conoscesse ancora la serie, come avrete capito, vi state sicuramente perdendo un gioiellino.
Con il tempo e con lo scorrere delle puntate, e ad inizio anni duemila erano ancora arenati a produrre più di venti episodi a stagione (se pensiamo che Beverly Hills 90210 ne aveva più di trenta!), i rapporti tra i personaggi cambiano drasticamente. Haley, migliore amica di Lucas, riesce ad innamorarsi del “cattivo ragazzo”, o meglio il fratello di Lucas, Nathan, e a cambiarlo talmente tanto da trasformarlo in un uomo (oltre che tra i migliori personaggi della serie) e a condurlo sulla retta via. Haley, però, cadrà nella perdizione e partirà per seguire il sogno di diventare una musicista. Lasciando Nathan che è cotto di lei come una pera, a disperarsi e a versare lacrime amare sul suo pallone da basket.
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Durante la seconda stagione, quindi, Lucas, oltre a “badare” al fratello ex bulletto che non aveva mai avuto, e al fatto che “deve ritrovare se stesso” (un po’ come Joey Potter, ma lasciamo perdere altrimenti esce un poema), soffre perché Haley, la sua migliore amica, non è accanto a lui. Così, l’episodio inizia con le parole di Lucas, le quali citano in parte la favola dei Fratelli Grimm, “Hansel e Gretel”. “E Hansel disse a Gretel: lasciamo queste molliche di pane dietro di noi così che potremo ritrovare la via di casa. Perché perdere la strada sarebbe la peggior cosa possibile. Quest’anno io ho perso la mia strada.”
Per il giovane Lucas Scott ovviamente è un chiaro riferimento al fatto che Haley (Gretel) non è accanto a lui. E stanco e affranto, tenta in più modi possibili di ritrovare se stesso. Anche se, onestamente, Lucas è sempre stato un tipo un po’ confuso.
Ma l’originalità della serie non finisce qui. Di colpo, senza preavviso, Lucas non sarà la sola voce narrante. Non sarà il solo a riflettere sulle gioie e sulle tragedie della vita. Non sarà il solo a filosofare su quelle parole che fungeranno da riflesso alla sua esistenza.
Così, per la prima volta a Tree Hill la riflessione si fa corale. E proprio su una frase di George Bernard Shaw: “Esistono due tipi di tragedia nella vita. Una è perdere ciò che più si desidera. L’altra è ottenerlo.” La frase difatti calza a pennello con la “tragedia”, chiamiamola così, che ogni personaggio sta affrontando. Brooke, per esempio, soffre perché ha ancora nel cuore Lucas, ma ha paura che il ragazzo la faccia ancora soffrire.
E poi ecco la riflessione senza mezze misure di Nathan. Quel che sta affrontando, seppur devastante, lo farà crescere. E diventare una persona migliore.
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“Secondo me Shaw era un matto. E sapete perché? Le tragedie accadono. E cosa dovremo fare, rinunciare? Lasciare tutto? No. Mi rendo conto ora che quando ti si spezza il cuore devi lottare per restare vivo. Perché lo sei. E il dolore che provi, fa parte della vita…”
Interessante è invece la parte finale dell’episodio 18 della seconda stagione, quando in scena vi è un intenso scambio di opinioni tra Lucas e Dan, in quanto entrambi, assidui lettori e appassionati delle storie di Conan Doyle, che vedono protagonista il detective più famoso della letteratura, ovvero Sherlock Holmes, analizzano assieme a suon di botta e risposta il bene e il male, l’etica e l’immoralità della vita che li circonda a Tree Hill. Lucas fa quindi le “veci” di un moderno Sherlock Holmes, indagando su Dan. Al contrario, il signor Scott, il signor “padre dell’anno”, recrimina l’atteggiamento di Holmes, riferendosi in sottinteso a Lucas di essere troppo ficcanaso. Affascinante come la letteratura al giorno d’oggi possa essere usata in maniera intelligente.
Vi è quindi una continua ricerca della morale attraverso ogni storia raccontata. Ed è evidente che ogni autore che viene anche solo menzionato non è stato scelto con superficialità. Così come ogni singolo aforisma. E il significato che ne deriva è reale, intimo oserei dire, attraverso le storie di Tree Hill. Sembra quasi che gli autori della serie abbiano voluto celebrare la parola scritta. Basti solo pensare alla storia biblica di Caino e Abele, o meglio, Dan e Keith Scott, su cui “One Tree Hill” pone le fondamenta. Genesi 4:10. “La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra”. Così come la mano di Dan Scott porrà fine alla vita di suo fratello e Abele giace morto ai suoi piedi.