Vincitore del Premio Oscar per il miglior cortometraggio di animazione, “Paperman” è l’opera prima del regista John Kahrs.
New York, anni ‘50. George è un giovane solitario e insoddisfatto, inchiodato ad un lavoro che non lo soddisfa e costretto, ogni mattina, a rispettare la solita routine: andare alla stazione, prendere il treno e dirigersi a lavoro, dove lo attende una pila di scartoffie da compilare e un capo tirannico che lo tratta come un automa. Ma sarà proprio grazie a questa routine che George incontrerà Meg, la ragazza dei suoi sogni e che darà un senso alla sua vita. Purtroppo il loro primo incontro sarà fugace, ma il destino offrirà al nostro protagonista una seconda possibilità.
Come nella migliore tradizione disneyana, il regista esordiente John Kahrs, ha inserito al centro dell’animazione un uomo alla disperata ricerca del vero amore.
Difatti “Paperman” (presente nel catalogo Disney+), corto di animazione ambientato in una New York degli anni ‘50, resa fiabesca da uno splendido bianco e nero, è la storia di un ragazzo che per conquistare il cuore della ragazza dei suoi sogni, non potrà fare altro che affidarsi al proprio estro e alla propria creatività.
A un occhio disattento il corto potrebbe sembrare ambientato ai giorni nostri, se non fosse per alcuni piccoli dettagli alquanto rilevanti: come i telefoni, le automobili, e lo stile di abbigliamento tipico dell’epoca e, soprattutto, l’ambiente che vige nel posto di lavoro di George in cui, come abbiamo già scritto, il regime autoritario e tirannico regnano sovrani.
Come a definire un periodo specifico nell’America degli anni ‘50, la Disney si è soffermata (seppur con poco tempo a disposizione) a delineare specifici comportamenti umani. Difatti, come sottolineare un’epoca di transizione, post conflitto mondiale e in pieno regime razzista, in cui nuovi colori e nuove creatività erano ostacolati dall’ostruzionismo?
Sottomesso a rigide regole comportamentali, e a un lavoro abitudinario che logora mente e spirito, George è un uomo che si differenzia dalla massa. George è un sognatore, colui che reagisce al despota, colui che trova nell’azione e nell’immaginazione la soluzione, in un mondo grigio e senza alcuna emozione.
Inventandosi un curioso stratagemma per attirare l’attenzione della ragazza senza nome, senza una voce (riferimento ad Ariel?) ma con i più begli occhi e il più bel sorriso del mondo, George nella sua estrema goffaggine (e con qualche somiglianza a Rudy Radcliff ne “La carica dei 101”) non raggiunge il suo scopo, ma è il destino a farlo per lui.
Difatti, come in una leggera brezza portata da un’indomita tenacia è il fato a mettersi in mezzo, con perseveranza e costanza.
Perché la vita è per i sognatori, e come in un moderno “Pleasantville”, in cui i significati tra bene e male erano designati grazie alla metafora dei colori, George trova nel rosso di un bacio la strada per la felicità.