“Persuasione”, il film con protagonista Dakota Johnson non rende giustizia all’omonima opera di Jane Austen.
Netfix ci riprova e dopo il successo planetario di “Bridgerton”, ispirato ai romanzi di Julia Quinn, propone una versione tutta nuova di “Persuasione”, tratto dall’omonimo romanzo di Jane Austen, pubblicato postumo dai suoi fratelli nel 1818.
Meno conosciuto dei classici “Orgoglio e Pregiudizio” o “Ragione e Sentimento”, in questo romanzo si legge tutta la profondità della Austen, che affronta il tema della persuasione e di subire il giudizio altrui facendoci scoprire un’eroina che è decisamente più forte di quanto non dia a vedere, e che tiene su di sé il carico enorme di responsabilità di una donna dell’Ottocento che non è ancora libera di decidere del proprio futuro. Il matrimonio, che in quasi tutti i suoi romanzi rappresenta ciò a cui si ambisce, in “Persuasione” è solo la degna conclusione di un percorso che parte dalla scoperta interiore dei propri sentimenti e degli sbagli commessi, forse un riferimento proprio alla vita della scrittrice che non si sposò mai.
Piccola sinossi del romanzo
Anne è la seconda di tre figlie di Sir Walter Elliot, baronetto che nel suo sangue nobile e nell’ossessione per la bellezza esteriore trova la sua ragion d’essere. Dilapidata la sua fortuna, Sir Walter è costretto ad affittare la sua proprietà e a trasferirsi a Bath per fare economia. Ormai ventisettenne e considerata una zitella, Anne vive ripensando al suo grande amore, il capitano Wentworth, che otto anni prima è stata persuasa ad abbandonare perché di umili origini. Le circostanze faranno in modo che il capitano torni nella sua vita, ricco ed influente ma ancora pieno di rancore nei suoi confronti. Tuttavia, la sola presenza dal capitano, risveglierà in Anne sentimenti mai realmente dimenticati.
Quella di Netflix è la quarta trasposizione del romanzo. “Persuasione” fu già portato sullo schermo con lo sceneggiato BBC del 1971. In seguito, con il film del 1995, primo esperimento di quello che viene considerato il biennio Austiniano 1995 – 1997 (che produsse sei adattamenti tra film e serie tv in soli 24 mesi). E, infine, con il film tv della ITV del 2007.
Le ultime due non mi avevano convinta.
Se “Persuasione” del 1995 si classifica come uno degli esperimenti meglio riusciti, risultando fedele alla narrazione Austiniana, grazie anche alla straordinaria regia di Rogert Michell che rispetta nei tempi e nell’ambientazione le più sottili descrizioni all’interno del romanzo, risulta meno convincente nella scelta degli attori protagonisti, Amanda Root e Ciarán Hinds (ma qui ammetto di essere una voce fuori dal coro), che non riescono a trasmettere quella chimica che ci si aspetta da una coppia letteraria e che appaiono più vecchi di quanto debbano in realtà essere i loro personaggi. Certamente resta un buon prodotto. Un prodotto che ci permette di conoscere Anne Elliot da un nuovo punto di vista, quello dello spettatore, che non conosce i suoi pensieri e le sue paure, come invece avviene nel libro.
Al contrario, la trasposizione del 2007, diretta da Adrian Shergold, se da una parte ci porta nella testa di Anne, facendoci conoscere la storia dal suo punto di vista e attraverso la sua sensibilità, pecca nella regia per alcuni tagli e semplificazioni, soprattutto sul finale, e per scelte non convenzionali come quella di correre con la macchina da presa assieme alla protagonista rendendo una delle scene chiave alquanto caotica. Ad ogni modo, porta in scena due protagonisti, Sally Hawkins e Rupert Penry–Jones che trasmettono chimica già dal primo sguardo e che rispettano maggiormente l’età che i personaggi dovrebbero avere.
Per tutte queste considerazioni, l’idea di una nuova versione di “Persuasione” a distanza di tanti anni, ha creato non poche aspettative che, puntualmente, sono state deluse.
Il film, con protagonista la bellissima Dakota Johnson (forse troppo bella per il ruolo di Anne), tenta di entrare a gamba tesa nel 2022, modificando e alterando alcuni aspetti cardine del romanzo di Jane Austen. Alla regia Carrie Cracknel, amata regista teatrale inglese al suo debutto sullo schermo. La Cracknel rompe la quarta parete. Questo rende di fatto il film uno spettacolo teatrale in cui Anne parla direttamente con il pubblico, commentando con non poca criticità ciò che le avviene intorno come protagonista onnisciente.
Effettivamente, l’elemento che più di ogni altro distingue questo dagli altri romanzi della Austen è l’empatia che si crea con la protagonista che, senza filtri, si mette a nudo. Non sono solo le sue parole o le azioni a definirla ma i suoi pensieri, le emozioni che possiamo leggere chiaramente pagina dopo pagina, crescendo assieme a lei, amando assieme a lei.
Tuttavia, nella scelta di far interagire Anne con il pubblico, l’empatia viene meno e subentra il fastidio.
La Anne del libro è timida, discreta, in un certo senso bullizzata dalla famiglia. Eppure è gentile, accogliente, si prende cura con amore di tutti coloro che le stanno intorno. Pur non avendo una personalità spiccata come Elizabeth (“Orgoglio e Pregiudizio”) o Emma, o addirittura Lydia (“Orgoglio e Pregiudizio”), donne sarcastiche, pungenti, ribelli, fuori dagli schemi, è una protagonista con la P maiuscola.
Nel tentativo di modernizzare la figura di Anne, o più semplicemente di darci un’idea del femminismo del 2022, il film Netflix stravolge completamente il personaggio. Lo snatura e lo avvicina molto di più alla già citata figura di Elizabeth Bennet (non a caso conosciuta persino dai profani della Austen).
Da ragazza rassegnata ad aver perso l’amore della sua vita ma ferma e decisa nel suo proposito di non amare più nessuno, consapevole dei propri errori ma in grado di perdonarsi, che trova sollievo nei versi dei poeti romantici, la Anne di questa nuova versione è una ragazza di quasi trent’anni che si riempie il bicchiere in ogni occasione per affogare le sue pene, girando per quasi tutto il film con un coniglio in braccio come animale da compagnia. Vorrei poter dimenticare la scena in cui ubriaca urla dalla finestra “Amami stupido” ad un povero capitano Wentworth che volentieri si sarebbe sotterrato. O quella in cui grida e sfoga la sua rabbia contro il cuscino.
La Johnson porta in scena un’eroina moderna. Troppo moderna.
Probabilmente con l’intento di compiacere tutti e attrarre un pubblico più giovane, “Persuasione” di Netflix cerca di unire le atmosfere di “Bridgerton” e una protagonista che, nelle intenzioni, dovrebbe avvicinarsi all’eroina di “Fleabag”, o all’Elizabeth di Keira Knightley ( Orgoglio e Pregiudizio, 2005), cosa che però non riesce perché il continuo incalzare dei commenti della Johnson distrae da quello che è il fulcro del romanzo, dal tema della persuasione al cammino di autoconsapevolezza dei protagonisti.
Preso a sé potrebbe anche essere un buon prodotto. La fotografia è bella, i paesaggi stupendi. Ma non come trasposizione dell’opera di Jane Austen, che viene completamente travisata proprio nel suo essere il più “moderno” e “romantico” dei lavori della scrittrice. Liberamente ispirato? Può essere. Ma a questo punto tanto valeva trasformarlo completamente, come varie volte è stato fatto con “Orgoglio e Pregiudizio”. Basti pensare a “Lost in Austen” o alla versione bollywood “Matrimoni e pregiudizi”.
Insomma, un prodotto che non solo non convince ma che stufa dopo i primi minuti. Un racconto Austiniano che della Austen ha poco e nulla. Speriamo di essere più fortunati con la nuova trasposizione (regia della britannica Mahalia Belo e sceneggiatura di Jessica Swale), annunciata addirittura prima della produzione Netflix.
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