È impensabile il fatto che una ragazzina alla quale venga dato Precious come secondo nome, finisca per avere la vita devastata dagli stessi genitori che l’hanno chiamata così.
Eppure, è su questo fondamentale ossimoro che si basa la storia della giovane Clarice “Precious” Jones, una ragazza che di attraente e “prezioso”, all’apparenza, non ha niente; semi-analfabeta, obesa e proveniente dai bassifondi della spietata Harlem degli anni Ottanta, Precious non nasce; viene letteralmente sputata nel mondo, vittima, da subito, di nefandezze di ogni sorta, da parte di una famiglia recalcitrante a qualsiasi forma di buonsenso e umanità.
La rabbia che le viene continuamente scaraventata addosso da una madre che definire mostruosa, sarebbe farle un complimento, ha degli effetti catastrofici sulla giovane. Questa difatti cresce rabbiosa, sfrontata e aggressiva. Il rapporto con una donna che serba un rancore viscerale nei suoi confronti è espresso magistralmente, in una scena in particolare, che riporta una citazione ad una perla del cinema nostrano. Gli unici momenti in cui Precious riesca ad abbandonare la realtà sono quelli in cui, dopo essere stata raggiunta da qualche oggetto gettatole contro, perde i sensi e si abbandona, inconsapevole, allo splendore colorato e musicale di una vita da copertina patinata, che stride fortemente con la dura esistenza di cui è vittima.
Una regia ambiziosissima porta alla ribalta una storia incredibilmente tragica, affidando il ruolo da protagonista all’ottima Gabourey Sidibe; sebbene esordiente, l’attrice ci regala una performance da artista navigata e, ad un orecchio attento, non sfuggirà il dettaglio che la sua doppiatrice sia la stessa che, nel 2007, aveva prestato la voce all’irriverente Juno, ragazza-madre della brillante commedia omonima di Jason Reitman. Nonostante le due storie abbiano uno spirito completamente diverso, la voce della Amendola; complice la splendida sceneggiatura, premiata con l’Oscar – bella coincidenza – in entrambi i film; esprime la stessa esuberanza ribelle, in due ragazze diverse, ma che hanno entrambe spalle troppo piccole per sopportare responsabilità enormi, e che, comunque, riusciranno a uscirne a testa alta.
La drammaticità della storia di Precious è, tuttavia, ben più complessa e stratificata. La giovane, sebbene vittima innocente degli eventi, viene continuamente incolpata e vessata. L’interpretazione più memorabile e incisiva ce la regala, infatti, Mary Lee Johnston; accollarsi la responsabilità di interpretare un personaggio crudele come la signora Mo’Nique richiede una bravura enorme; la perfidia nell’affibbiare un nomignolo offensivo a una bambina down; l’atteggiamento spudoratamente sgradevole, cattivo, che ostenta verso la propria figlia; l’incrollabile, feroce frustrazione che sfoga apertamente, arrivano allo spettatore come schiaffi in pieno viso e valgono all’attrice la conquista dell’ambita statuetta.
In questa storia di atroci e gratuiti soprusi, trovano spazio e si affermano, per contrasto, anche gli splendidi valori di amicizia e amore, destinati a trionfare ad ogni costo: riuscendo a non cedere all’odio e all’anaffettività ai quali è portata a tendere, Clarice si configura come un’eroina contemporanea, una self-made woman, che, nel bellissimo epilogo, splende in tutto il suo fulgore, dimostrando a sé stessa e al mondo quanto lei sia preziosa.
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