Tutto è andato come previsto nella 94esima edizione degli Academy Awards, o meglio, quasi tutto. Presentata da Regina Hall, Amy Schumer e Wanda Sykes, la cerimonia dei Premi Oscar si è svolta, come tradizione vuole, al Dolby Theatre di Los Angeles nella notte (almeno in Italia) tra il 27 e il 28 marzo 2022. Quì i vincitori.
Tributo per il sessantesimo anniversario di James Bond.
Una serata purtroppo all’insegna della banalità e del pronosticabile che non ha saputo sfruttare appieno le potenzialità di una simile occasione. Complice forse anche un minutaggio ridotto. Una cerimonia che, nonostante abbia offerto diverse parentesi piuttosto divertenti, come il tributo a “Pulp Fiction” prima della premiazione per il miglior attore protagonista, si è persa in sketch inutilmente troppo lunghi, penalizzando così molti discorsi di ringraziamento da parte di alcune categorie considerate “minori” ma che in realtà sono importanti quanto le altre.
E soprattutto, agli organizzatori va la colpa di aver trascurato l’omaggio per i cinquant’anni di una pellicola tanto importante quanto bella come “Il Padrino”, in favore di gag e siparietti decisamente evitabili.
L’omaggio, se così lo si vuol chiamare, si è ridotto ad una clip e ad un discorso di pochissimi minuti da parte di Francis Ford Coppola, con Robert De Niro e Al Pacino, spettatori non paganti. Non sarebbe stato più emozionante se ci fosse stato un tributo con tutti i membri del cast ancora in vita?
Per decenni le aperture dei Premi Oscar sono state di grande impatto. Ricordiamo ad esempio l’esilarante presentazione di Billy Crystall in cui reinterpretò in un video tributo molte pellicole in gara. Oppure Hugh Jackman, che nella sua conduzione volle sbalordire il pubblico con un’esibizione di ballo e di canto, degna dei musical di Broadway. E per quanto la performance di Beyoncé con il brano “Be Alive”, colonna sonora di “King Richard”, sia stata molto apprezzabile, probabilmente un omaggio al contributo che “Il Padrino” ha dato al mondo del cinema, probabilmente sarebbe stato molto più d’impatto.
Eppure, anche nella più prevedibile delle ultime edizioni dei Premi Oscar, qualche piccola sorpresa c’è stata, così come la conferma che nell’ambiente di Hollywood qualcosa sta effettivamente cambiando.
I primi segnali erano già arrivati durante la cerimonia di due anni fa. Il dominatore indiscusso della serata fu il regista sudcoreano Bong Joon-oh e quel “Parasite” che sbaragliò la concorrenza. Difatti, oltre alla statuetta per il miglior film straniero, vinse anche i Premi alla miglior sceneggiatura originale, alla miglior regia e, soprattutto, al miglior film, una doppietta (film, e miglior film straniero) che Alfonso Cuaron aveva solo sfiorato nel 2019 grazie al suo indimenticabile “Roma”.
Quest’anno, per quanto scontata, è stata la vittoria per la miglior attrice non protagonista di Ariana DeBose, un’interprete di origini afro e latinoamericane dichiaratamente queer, a dimostrare quanto la società perbenista hollywoodiana stia facendo dei piccoli passi avanti. Difatti sembra che l’Academy stia ponendo finalmente l’attenzione sul talento invece che sul colore della pelle o sull’orientamento sessuale.
Da sottolineare che, per quanto l’interpretazione della DeBose sia stata di forte impatto, è davvero un peccato che Judi Dench e Kirsten Dunst, siano rimaste a bocca asciutta per i loro ruoli in “Belfast” e “Il potere del cane”. Come se non bastasse, la DeBose si è aggiudicata la statuetta interpretando lo stesso ruolo in “West Side Story” che nel 1962 valse l’Oscar a Rita Moreno.
E se la vittoria di Ariana DeBose ha provato quanto l’Academy si stia aprendo mentalmente, quella di Troy Kotsur è decisamente entrata la storia del cinema.
Insignito dell’Oscar per la miglior interpretazione da non protagonista grazie alla sua performance in “CODA”, Kotsur è stato il primo attore sordo a salire sul palco del Dolby Theatre per ritirare l’ambita statuetta, premiato da un’emozionatissima Youn Yuh-jung che, prima di comunicare a tutta la platea il nome del vincitore, ha deciso di annunciarlo prima a Kotsur, con il linguaggio dei segni. Tuttavia, nonostante Kotsur si sia meritato tale riconoscimento, è impossibile non rimanere con po’ di amaro in bocca per la mancata vittoria di Kodi Smit-McPhee, la giovane promessa di “The Power of the Dog” che è riuscito, grazie alla sua interpretazione, ad aggiungere una certa dose di inquietudine alla pellicola di Jane Campion.
Probabilmente, l’unica vera sorpresa è stata durante l’assegnazione del Premio per la miglior sceneggiatura originale, quando Jennifer Garner, J.K. Simmons e Elliot Page, saliti sul palco del Dolby Theatre per commemorare i quindici anni dall’uscita di “Juno”, hanno annunciato la vittoria di “Belfast”, battendo così le due pellicole favorite ossia “Don’t look up” e “Licorice Pizza”. E così Kenneth Branagh, grazie alla sua pellicola più intima e personale, ha finalmente ottenuto quella statuetta che inseguiva da oltre vent’anni.
Per quanto riguarda le altre assegnazioni, come abbiamo già accennato in precedenza, tutto quanto è rimasto nella prevedibilità più totale.
Per cominciare crediamo che siano doverosi i complimenti a Billie Eilish. La cantautrice, grazie al brano “No Time to Die” dell’omonimo film dedicato a James Bond, si è aggiudicata il premio per la miglior canzone e, con la sua performance, ci ha regalato uno dei momenti più belli di questa 94esima edizione.
“Dune” è stata la pellicola più premiata con sei statuette, tra cui la miglior colonna sonora di Hans Zimmer, sulle dieci nomination che aveva ricevuto. Da segnalare che il compositore non ha potuto ritirare il suo premio, il secondo dopo la vittoria ottenuta nel 1995 per la splendida colonna sonora “Il re leone”, poiché impegnato in un tour europeo.
L’unica pellicola ad essersi aggiudicata tutti premi cui era nominata è stata “CODA”. Questa, oltre al premio per il miglior attore non protagonista, ha ricevuto le statuette sia per la sceneggiatura originale che per il miglior film.
Per quel che concerne l’animazione, gli Academy confermano di essere incapaci di osare, premiando “Encanto”, l’ennesima pellicola targata Disney, piuttosto che omaggiare opere come “Flee” o “I Mitchell contro le macchine“, l’Oscar per il miglior film straniero è andato, ovviamente, al complesso “Drive my car”, del giapponese Ryusuke Hamaguchi, candidato anche per la miglior regia, sceneggiatura non originale e per il miglior film.
Jessica Chastain è stata (finalmente!!!) insignita dell’Oscar per la miglior attrice protagonista grazie all’interpretazione di Tammy Faye nella pellicola diretta da Michael Showlater. Un riconoscimento che l’attrice californiana attendeva dal 2012, dopo essere stata candidata per “The Help” e aver sfiorato la vittoria un anno dopo per aver impersonato Maya Harris, la donna che catturò Bin Laden, in “Zero Dark Thirty”.
Infine Will Smith è riuscito a conquistare quella statuetta per il miglior attore protagonista per il film “King Richard” che, come Kenneth Branagh, attendeva da ben vent’anni, sottraendola (a nostro avviso) al ben più meritevole Andrew Garfield che, grazie alla sua performance in “Tick, Tick… Boom!” ha sbalordito il pubblico.
Nel lontano 2002 sembrava proprio che il fu Principe di Bel-Air si sarebbe aggiudicato l’Oscar per “Alì”. Ma purtroppo per lui la statuetta andò al suo grande amico Denzel Washington per il ruolo di Alonzo Harris in “Training Day”.
Cinque anni più tardi ebbe la sua seconda occasione con “La ricerca della felicità”. Tuttavia quell’anno Forest Whitaker (“L’ultimo re di Scozia”) riuscì a sbaragliare persino la concorrenza di Leonardo DiCaprio (candidato per “Blood Diamond”). Ma grazie a “King Richard”, Will Smith è finalmente riuscito a coronare con l’Oscar la sua carriera da attore e performer, pronunciando poi un bellissimo e commovente discorso sull’amore e sulla famiglia.
Premi Oscar 2022. In Memoriam. L’omaggio a coloro che non ci sono più.
E se Ariana DeBose e Troy Kotsur hanno scritto un pezzo di storia degli Academy con le loro vittorie, Jane Campion ha fatto altrettanto. La regista di “The Power of the Dog” si era già assicurata una citazione nel grande libro degli Oscar poiché, grazie a questa nomination, è divenuta la prima regista donna ad essere candidata per la seconda volta. La prima fu nel 1994 per “Lezioni di Piano”, ma quell’anno dovette inchinarsi a Steven Spielberg e al suo “Schindler’s List”.
Tuttavia, grazie alla vittoria in questa 94esima edizione, la Campion (già premiata a Venezia, ai BAFTA e ai Golden Globes), è divenuta la terza donna a vincere l’ambito premio nonché la seconda negli ultimi due anni.
Un traguardo veramente incredibile se si pensa che nessuna donna venne candidata come miglior regista prima del 1977, anno in cui la nostra Lina Wertmuller ottenne la nomination per “Pasqualino Settebellezze”. Sembra incredibile che ci siano voluti ben ottantuno anni (dall’istituzione dei Premi Oscar nel 1929) prima che Kathryn Bigelow divenisse la prima regista a vincere la statuetta grazie a “The Hurt Locker”.
Infine, ci teniamo a concludere affermando che, per quanto i film premiati si meritino tali riconoscimenti, troviamo abbastanza deludente che “Licorice Pizza” non abbia ricevuto neppure una statuetta, per quanto il cinema di Paul Thomas Anderson, tra cui ricordiamo “Vizio di Forma”, “Il Petroliere” e “The Master”, dovrebbe essere più degno di considerazione.
Articoli Correlati:
- 100 e più curiosità sui Premi Oscar – dal 1929 ai giorni nostri
- Belfast: l’opera più personale di Kenneth Branagh
- Everlasting Love: l’amore eterno tra “Belfast” e “Veronica Guerin”
- West Side Story: da Shakespeare all’adattamento di Steven Spielberg
- Spielberg – dall’infanzia a “Incontri ravvicinati”
- King Richard: l’uomo che creò la leggenda delle sorelle Williams
- Gli occhi di Tammy Faye: Jessica Chastain e l’icona della cultura queer
- Film in uscita 2022: 15 fra i titoli più attesi nei prossimi mesi