78 inquadrature e 52 tagli. Questi sono i numeri che identificano i due minuti più famosi della storia del cinema: l’omicidio di Marion Crane (Janet Leigh) per mano di Norman Bates (Anthony Perkins), meglio conosciuto come “la scena della doccia” in “Psycho”. Una sequenza che dura appena due minuti circa, ma che nella sua semplicità ha cambiato completamente il modo di fare cinema, violando ogni genere di tabù.
Sir Alfred Hitchcock ha impostato i primi quaranta minuti di “Psycho” in modo da portare la protagonista (se così si può definire) al “Bates Motel” e alla fatidica morte di Mary.
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È come se tutta la prima parte di “Psycho” fosse solamente un’introduzione a ciò che realmente deve succedere. Perché la scena della doccia è sia l’incidente scatenante che dà il via alla storia, sia la conclusione del film su Marion Crane, e Hitchcock ha girato questa sequenza con una minuziosità impressionante. Ma è praticamente impossibile parlarne senza parlare di tutto quello che avviene prima.
Marion Crane è una donna semplice, impiegata come segretaria in un’agenzia immobiliare di Phoenix, innamorata di Sam Loomis, un uomo in procinto di divorziare dalla moglie e proprietario di un piccolo negozio di ferramenta a Fayrwale, con il quale ha intrapreso una fugace relazione segreta, fatta di incontri in un albergo durante la pausa pranzo. Stanca di questa vita, del suo umile lavoro e dei randez-vous clandestini con il suo uomo, Mary prenderà la decisione di dare una svolta alla propria esistenza. Una volta rubata una grossa somma di denaro al suo capo, fuggirà da Phoenix per fare una sorpresa a Sam. Con i soldi rubati i due potranno sposarsi e cominciare una nuova vita insieme, ma una serie di sfortunati eventi la porteranno a dover soggiornare per una notte al “Bates Motel”, il lugubre luogo dove non solo la sua fuga si interromperà ma dove troverà anche la morte.
Tutto ha inizio quando Marion si mette in viaggio per Fayrwale.
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La sequenza che ci mostra la fuga disperata della donna è il preludio perfetto a quello che vedremo qualche minuto più tardi. Mentre guida, Mary non riesce a vedere nulla a causa dell’incessante pioggia, nonostante i tergicristalli fendano a massima velocità sul vetro la visuale è molto ridotta. In quel momento la donna sta letteralmente annegando nella preoccupazione e nella paura. In questa sequenza Hitchcock confeziona un’ottima metafora di ciò che accadrà al “Bates Motel” quella sera stessa. Il fendere dei tergicristalli è molto simile ai rapidi movimenti di Norman Bates mentre accoltella ripetutamente la povera Mary. Quest’ultima in entrambe le scene si trova sommersa. Con la differenza che nella scena della doccia l’acqua che cade su di lei si macchierà del suo stesso sangue.
Giunta al “Bates Motel” verrà accolta dal proprietario, Norman, un uomo che divide la casa con la madre e che sembra essere una persona piuttosto gentile. Dopo averla sistemata nella stanza numero 1, la inviterà a cenare a casa sua e i due passeranno un po’ di tempo insieme. Argomento principale della loro conversazione sarà la vita di Norman Bates e il suo rapporto con la madre. Senza questa sequenza la scena della doccia non avrebbe funzionato altrettanto bene.
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Inizialmente tutto sembra essere tranquillo.
Norman e Mary parleranno tranquillamente. Ma quando la donna suggerirà a Bates di portare sua madre in una struttura per anziani, l’atteggiamento dell’uomo cambierà improvvisamente.
Durante il colloquio con Mary infatti, Norman era agitato e non riusciva a stare fermo. Quasi non sapesse cosa fare durante una normale conversazione. Ma poi, da un momento all’altro, si tranquillizzerà totalmente. Con la schiena dritta e lo sguardo impenetrabile, l’irrequieto Norman acquisterà sicurezza. Solamente i suoi occhi si muovono mentre spiega alla sua ospite il motivo per cui non ha intenzione di portare sua madre in una casa per anziani. Quello è l’istante in cui decide che avrebbe ucciso Mary.
Prima di analizzare quello che succede sotto la doccia, c’è un altro aspetto del film di Hitchcock da considerare. Ossia il momento in cui Norman spia la sua vittima attraverso un buco nel suo ufficio.
Il quadro che il signor Bates rimuove dal muro è una delle tante rappresentazioni iconografiche dell’episodio biblico “Susanna e i Vecchioni”. Si parla di una donna virtuosa che veniva spiata da due uomini anziani, giudici eletti della comunità ebraica di Babilonia, mentre faceva il bagno nel suo giardino. Desiderandola ardentemente, questi la minacciano di accusarla di adulterio con un giovane amante se non si fosse concessa a loro.
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Escludendo il fatto che spesso la scena è rappresentata con i due anziani che non si limitano semplicemente a guardare, ma si avvinghiano letteralmente a Susanna, il significato del quadro si lega molto alla personalità di Norman perché “Susanna e i Vecchioni” è il simbolo dei voyeurismo, e Bates è il voyeur per eccellenza. Colui che smuove i suoi impulsi guardando di nascosto. E il vecchio Sir Alfred sicuramente non ha scelto quel particolare dipinto a caso. Per rendere ancora meglio l’idea della minuziosità del regista, basti guardare il punto da cui Norman spia Mary. Il buco nel muro ha esattamente la misura del suo volto. Questo serve ad indicare il fatto che per lui spiare le persone dal suo ufficio sia un’abitudine radicata e quindi ha bisogno di un posto comodo.
E poi giungiamo finalmente alla sequenza della doccia. Una scena che ha cambiato completamente il modo di fare cinema e che ha violato un numero considerevole di tabù. Una scena che Sir Alfred ha pianificato in ogni minimo particolare.
Dopo essersi fatta i propri conti e aver considerato l’idea di dare un taglio a quella pazzia della fuga, tornare indietro e restituire i soldi rubati, Mary straccia la carta e si dirige verso il bagno.
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A questo punto Hitchcock mette subito le cose in chiaro aprendo il piano sequenza con un’inquadratura del water. Per quanto possa sembrare assurdo, fino a quel momento nessun regista aveva osato mostrare un gabinetto in un film. Tanto meno fare in modo che il bagno diventasse la scena di un terribile crimine. Il fatto che Hitchcock riprenda chiaramente lo scarico del water dove Mary ha gettato la carta stracciata, è il segnale che tutte le scene seguenti saranno qualcosa di sensazionale, unico nel suo genere.
Prima di “Psycho” la stanza da bagno veniva considerata come un luogo sacro, puro e candido. I vittoriani pensavano che un bagno luminoso, bianco, con le piastrelle lucide fosse igienico e Hitchcock, che condivideva appieno questo pensiero, era convinto che invadere la santità del bagno fosse una cosa forte e sovversiva da fare. Mostrare quella brillantezza era un modo per sottolineare quanto fosse importante la sacralità del bagno. E allo stesso tempo quanto avesse osato Hitchcock violando tale sacralità.
Qualche secondo dopo, Mary si denuda completamente per entrare in doccia.
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Gli spettatori si trovano davanti agli occhi il sogno erotico di milioni di persone, coperto solamente da una tenda traslucida che lascia intravedere le forme di Janet Leigh. Un vero e proprio tocco di classe del Maestro del Brivido. Mostra quel tanto che basta da solleticare l’immaginazione del pubblico, ma non così tanto da poter essere considerato esplicito.
Ovviamente Hitchcock voleva che tutto fosse perfetto. Era seriamente intenzionato a realizzare una scena di nudo in cui la cosa più importante era ciò che lo spettatore pensava di vedere, e non cosa vedesse realmente. Doveva studiare nei minimi particolari ogni singolo aspetto della sequenza, dalla temperatura dell’acqua al livello di nitidezza della tenda, e per farlo aveva bisogno di una persona che fosse disposta e abituata a stare nuda di fronte a decine di persone. Quindi decise di ingaggiare una modella di nudo. Naturalmente il Maestro fece in modo che la notizia non trapelasse. Era la prima volta che veniva una controfigura per le scene di nudo, ed era essenziale che il pubblico pensasse che la donna ripresa fosse Janet Leigh. Ma grazie a questo espediente, Hitchcock fu in grado di valutare ogni minimo particolare.
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Mentre sta facendo la doccia, Mary è felice e per la prima volta la vediamo sorridere.
In quel momento lei si sente in pace con sé stessa. Ha preso la propria decisione ed è pronta a pagarne le conseguenze, qualunque esse siano. Che sia la decisione di restituire i soldi o che sia perché la mattina dopo avrebbe cominciato una nuova vita con il suo amato Sam. Mary ha finalmente qualcosa per cui sorridere. Ed è ironico perché proprio quando sembra che abbia trovato un motivo per essere felice e serena, alle sue spalle compare una losca figura avvolta nell’ombra, pronta a porre fine alla sua esistenza.
A questo punto una nota di merito va decisamente al compositore Bernard Herman, l’uomo che ha composto la più famosa melodia del cinema horror. Dal momento in cui Mary entra in bagno si sentono solamente i rumori degli oggetti che ne fanno parte: prima lo scarico. Poi gli anelli della tenda. E infine lo scorrere dell’acqua. Nel momento stesso in cui Norman Bates apre la tenda per dare libero sfogo alla sua furia, inizia la musica. La tenda viene aperta e si sentono le prime note stridenti, che altro non sono che il battito accelerato del cuore di Mary. Inizia quindi il massacro, e la musica rallenta assieme al cuore della povera ragazza che sta perdendo la vita.
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Sul suo ultimo respiro la musica scompare del tutto. Quello che sentiamo è il suono della tenda che viene strappata dagli anelli e l’impatto della sua testa con il pavimento.
A rendere indimenticabile la sequenza della doccia sono stati anche gli effetti sonori, che hanno donato un enorme contributo alla violenza delle pugnalate che colpiscono ripetutamente la malcapitata Marion. Come già detto, Hitchcock è stato attento ad ogni minimo particolare. Non mostrare il pugnale che effettivamente colpisce il corpo di Janet Leigh è stato un buon espediente per non incappare nelle limitazioni dei codici di buona condotta.
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Aveva anche chiesto al dipartimento per gli effetti speciali della Paramount un busto di gomma in cui affondare il coltello e far uscire il sangue, ma non venne mai usato. Ma come rendere l’idea della carne che viene lacerata da una lama senza mai mostrare le ferite al pubblico? La trovata geniale di usare un melone venne al tecnico del suono. L’idea era quella di registrare il rumore di un coltello che colpiva ripetutamente il frutto.
Per trovare il melone giusto, il regista ne comprò a dozzine, di ogni tipo, di colori e dimensioni diverse ed insieme al suo tecnico iniziarono ad accoltellare un melone dopo l’altro con un coltello da macellaio, fino a trovare il tipo di frutto che faceva al caso loro. Alternarono così il suono del coltello sul melone con quello dello stesso coltello che però colpiva un grosso controfiletto. Il risultato fu superlativo.
Ma l’inquadratura più difficile da realizzare fu quella del primo piano del volto esanime di Marion. A livello tecnico richiese molto impegno. All’epoca non esisteva la messa a fuoco automatica quindi, mentre la telecamera si muoveva il focus doveva essere mantenuto manualmente. E Janet Leigh doveva rimanere perfettamente immobile, senza sbattere le palpebre, nonostante l’acqua le scendesse sul viso e le gocce le battessero sugli occhi. E a detta della tessa Janet Leigh, fu davvero difficile restare immobile.
E poi arriverà Norman, sconvolto perché nel suo motel si è consumato un omicidio, e inizierà a pulire la stanza con molta meticolosità, come se non fosse la prima volta che si trova a dover eliminare le tracce di un assassinio.
Con molta cura toglierà tutte la macchie di sangue dalla vasca, dal pavimento e dalle sue mani. Una volta assicuratosi che la stanza sia pulita, avvolgerà il corpo esanime di Marion nella tenda della doccia, per poi chiuderlo nel portabagagli della sua macchina insieme al giornale in cui erano nascosti i 40.000 dollari e lo lascerà affondare nella palude. Ogni traccia del passaggio di Marion Crane è stata cancellata e di lei non rimane che una goccia di sangue.