Ci sono pellicole in grado di cambiare la storia di un genere e di rivoluzionare il concetto stesso di cinema. “Psycho” è una di queste.
Ci credereste che alcuni dei primi accenni alle storie dell’orrore provengono dal remoto 1920 (più di un secolo fa), in particolare dalla Germania? Ricordiamo due pellicole, ovvero “Der Golem” di Paul Wegener e Carl Boese e “Nosferatu” di Friedrich Wilhelm Murnau.
E solamente negli anni ’30, con l’avvento delle storie di Mostri della Universal, arrivarono le grandi produzioni horror dagli Stati Uniti, da “Dr. Jekyll e Mr. Hyde” al “Dracula” di Bela Lugosi fino alla Creatura di “Frankenstein”, “L’uomo lupo” e “Il mostro della Laguna Nera”. Creature mostruose che infestavano le notti di ogni appassionato di cinema trasformando i sogni in incubi.
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Eppure, che fosse un vampiro assetato di sangue, un mostro concepito in laboratorio e assemblato con le parti dei cadaveri trafugati dalle tombe o un misterioso anfibio che vive in una lugubre palude, quei volti della paura, che terrorizzavano quelle povere anime influenzabili, erano entità soprannaturali. O, addirittura, aliene, come nel caso de “L’invasione degli ultracorpi”, in cui un’ignota razza aliena sostituiva il genere umano.
Ma dal 1960 qualcosa è cambiato nella storia del cinema. Poiché Sir Alfred Hitchcock diede un nuovo volto alla paura.
Un paio di anni prima, il Maestro del Brivido e la sua troupe stavano ultimando le riprese di “Intrigo Internazionale”, con Cary Grant, quando, sfogliando la rubrica del New York Times, lesse la recensione di un romanzo piuttosto curioso scritto da un certo Robert Bloch. La storia narra le insolite abitudini di un misterioso e inquietante proprietario di un Motel, una struttura situata ai margini della strada. Ma disgraziatamente, la maggior parte dei pochi clienti che decidono di alloggiarvi, non fa mai ritorno al luogo da cui provengono.
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Così, nel lontano 1958, Hitchcock entrò per la prima volta in contatto con Norman Bates e con “Psycho”, ovvero la storia che avrebbe per sempre cambiato il corso della cinematografia. Violenta, sanguinaria e angosciante, la trama colpì nel profondo il regista di “Rebecca – La prima moglie” e “Notorious”, tanto da contattare i dirigenti della Paramount e intimargli di acquistare i diritti del romanzo. Cosa che però gli venne negata poiché valutarono la storia poco avvincente e non in grado appassionare il pubblico. Ah! Poveri stolti!
Ma Hitchcock era testardo. Molto testardo. Così decise di acquistare personalmente i diritti. Ma non solo. Annunciò al suo staff (che aveva preso parte ad “Alfred Hitchcock presenta”) che avrebbe usato il libro di Bloch per creare un film horror di serie B che avrebbe sconvolto l’opinione pubblica.
Grazie alla magistrale interpretazione di Anthony Perkins, una delle migliori performance di tutti i tempi, ad una trama sorprendentemente contorta e ad una potente simbologia onnipresente specialmente nelle scene con Norman Bates , “Psycho” riuscì ad infrangere la tradizione secondo cui il cinema horror era dominato da entità soprannaturali o aliene. Ma di sicuro non umane.
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Hitchcock riuscì a terrorizzare generazioni intere di spettatori attraverso un semplice sguardo. Ed ecco quindi che un uomo quieto e impacciato come Norman si trasforma nel più agghiacciante degli assassini.
Ma, soprattutto, dimostrò che il terrore può essere trasmesso da un semplice, per quanto afflitto da una mente malata, essere umano.
In “Psycho” infatti non ci sono uomini che si trasformano in bestia con il plenilunio. Oppure vampiri assettati di sangue. Ma un uomo come tanti. Per Hithcock il Mostro non spunta da una fatiscente palude e non giunge neppure da un altro pianeta. Per il Maestro del Brivido, il Mostro dimora nella mente umana.
Ma come può un uomo qualunque come Norman Bates infondere più terrore di un lupo mannaro e di un’orda di zombie? Per prima cosa, memore della sua permanenza in Germania anni addietro, decise di ispirarsi all’espressionismo tedesco e a quel gioco di luci e ombre che rese celebre una pellicola quale “Nosferatu” di Murnau.
La scelta del bianco e nero fu quindi una scelta audace ma necessaria per rendere credibile il mondo che ruoto attorno al Bates Motel. Non solo. Perdonatemi lo spoiler, ma Hitchcock azzardò una cosa mai fatta prima. Uccise a metà film quella che, in un primo momento, sembrava essere la protagonista principale, ossia Marion Crane.
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altro non è che un lungo preambolo a quella che sarà la vera trama di “Psycho”. Ossia la storia di Norman Bates. E qui, come in molti altri meccanismi presenti in Psycho, l’eredità di Hitchcock nella storia del cinema, e quindi nel cinema che fu dopo l’avvento di Psycho, si sente forte e chiara.
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Cambiando la fisionomia di Norman Bates, descritto nel libro come un uomo privo di caratteri distintivi, basso, tozzo e con pochi capelli in testa, Sir Alfred rese Norman un uomo a modo suo affascinante e dall’aspetto più rassicurante rispetto al protagonista del romanzo. Ma, allo stesso tempo, enfatizzando così il senso di inquietudine e violenza trasmessa dal personaggio e dal simbolismo che lo circonda. Norman osserva, come gli uccelli che ama tanto imbalsamare.
In tutta la sua filmografia infatti, Hitchcock ha disseminato le sue opere con molti riferimenti al simbolismo, in particolare a quello legato agli uccelli. Un esempio calzante è la pellicola datata 1963, in cui i passerotti, i gabbiani e i corvi assumono il ruolo del vendicatore alato, divenendo così metafora di una natura che si ribella allo sfruttamento del genere umano.
Ma in “Psycho”, il Maestro decide di fare un uso totalmente diverso dei pennuti. Invero, i rapaci impagliati che adornano la dimora di Norman Bates, per quanto ricoprano il ruolo dell’osservatore passivo (in quanto privi di vita), riflettono alla perfezione la minaccia che il gestore del Motel rappresenta per Marion, incombendo su di lei dall’alto delle mura, come predatori pronti a piombare sulla loro vittima.
Hitchcock creò quindi una pellicola in grado di terrorizzare e, allo stesso tempo, appassionare gli spettatori, tenendoli incollati allo schermo, curiosi di scoprire le motivazioni e le turbe di Norman Bates. E grazie ad un magistrale uso del punto di vista, Sir Alfred è riuscito a creare una forte empatia tra pubblico e interpreti. Obbligando gli spettatori a identificarsi con i personaggi (persino con Norman) e con il lato più tetro dell’animo umano.
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Cosa praticamente impossibile se si parla di lupi mannari, vampiri o mostri della laguna. Umorismo macabro e acuto, una dose di romanticismo e una profonda analisi della crudeltà dell’essere umano, resero il film di Hitchcock unico nel suo genere. Il tutto accompagnato da una colonna sonora, composta da Bernard Herrmann tanto tagliente, come nella famosa scena della doccia, quanto avvolgente. Il compositore decise inoltre di avvalersi esclusivamente di archi, senza l’ausilio di strumenti a percussione o a fiato, in modo da creare una musica che fosse solenne quanto il bianco e nero
scelto da Hitchcock.
“Psycho” non è quindi un semplice film ma un fenomeno culturale. Una pellicola in grado di ispirare altre pellicole e di rivoluzionare l’estetica di un intero genere se non del cinema stesso. Perché ricordatevelo, mie giovani menti. Marion Crane, protagonista leggendaria di quella famosa e mai dimenticata scena della doccia, ha dimostrato che ogni essere umano può essere vulnerabile e quindi terrorizzato quando viene colto, improvvisamente nell’intimo. E Hitchcock lo sapeva. E così facendo ha rivoluzionato la storia del cinema.