“Si è cattivi molto giovani e cattivi molto vecchi” (Karen Wright – “Quelle Due”)
Nel 1930, la Motion Picture Producers and Distributors of America (MPDDA), assegnò a William Hays il compito di redigere un testo che includesse un insieme di regole morali che rendessero le pellicole accettabili per le menti ben pensanti dell’epoca.
Fu così che nacque il Codice Hays, la più famosa raccolta di norme e restrizioni della storia del cinema, un volume che tra le altre cose vietava le scene di nudo e di danze lascive, la ridicolizzazione della religione, la rappresentazione di uso di alcolici e droghe e le allusioni all’omosessualità, considerata da molti una perversione sessuale. Lo scopo era quello di evitare le emulazioni da parte del pubblico e ribadire il concetto della classica famiglia americana con moglie, marito e figli.
Le scintille che accesero la miccia di questo movimento perbenista, furono i tre scandali legati al mondo del cinema degli anni ’20: il suicidio della 26enne modella Olive Thomas; il processo del comico Roscoe “Fatty” Arbuckle, accusato di aver partecipato ad un’orgia dove avrebbe tolto la vita a Virginia Rappe; e l’omicidio irrisolto del regista William Desmond Taylor.
Successivamente, nell’ambiente Hollywoodiano iniziarono a trapelare indiscrezioni che accusavano i divi di fare uso frequente di droghe e alcool.
Tutto questo portò a pensare che l’ambiente cinematografico fosse un ambiente immorale e tossico. Un male da cui era obbligatorio proteggere la società. E per farlo i film dovevano essere purificati e i divi dovevano, in qualche modo, espiare le proprie colpe. Chiunque venisse sorpreso a infrangere le regole, a fare ancora uso di sostanze stupefacenti, o a partecipare a feste a base di alcolici, veniva immediatamente licenziato.
Uno degli argomenti principali che venne etichettato come tabù dopo l’avvento del Codice Hays, fu quello dell’omosessualità.
Eppure, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, agli albori del cinema, la mentalità era molto più aperta. Anche se l’omosessuale veniva rappresentato come una macchietta comica, usata da contorno alla storia, l’omosessualità era comunque vista come socialmente accettabile. Basti pensare che il primo film a tema transgender risale al 1914 (“A Florida Enchantment” di Sidney Drew), in cui una donna che mangia un seme esotico cambierà i suoi gusti sessuali, iniziando a provare delle pulsioni erotiche verso persone del suo stesso sesso, arrivando a trasformarsi in un uomo.
E a proposito di mentalità aperta, nel 1927 William Wellman diresse “Wings”, un film in cui due soldati instaureranno un bellissimo rapporto d’amicizia. Il loro affetto reciproco culminerà nel momento della morte di uno dei due, quando si scambieranno il primo bacio gay della storia del cinema.
Nel 1929, “Wings” fu la prima pellicola a vincere la statuetta per il Miglior Film ai Premi Oscar.
Difatti, nei primi anni ’30 le relazioni tra persone dello stesso sesso non causavano nessun problema, anzi, venivano addirittura celebrate, purché questo non cambiasse il loro atteggiamento di genere. Gli uomini dovevano continuare a comportarsi da uomini e le donne da donne, pur avendo una relazione omosessuale. Un esempio perfetto è il film “Marocco” del 1930 in cui Mademoiselle Amy Jolly (interpretata da Marlene Dietrich) indossava abiti maschili e baciava sulla bocca un’altra donna, il tutto però allo scopo di cogliere le attenzioni e di sedurre il legionario Tom Brown (Gary Cooper).
Tali “provocazioni” erano delle conseguenze necessarie dopo la Grande Depressione del ’29. Gli Studios, trovandosi in estrema difficoltà, erano pronti a tutto pur di riportare le persone al cinema e trovarono la soluzione ai loro problemi economici girando e mostrando scene di violenza, di sesso e atteggiamenti promiscui. Lo scopo era quello di mostrare qualcosa di nuovo agli spettatori, qualcosa che al tempo stesso incuriosisse e scioccasse.
Pochi anni dopo, nel 1934 entrò in vigore il Codice Hays e tutte queste libertà di espressione cessarono.
Tutte le storie in cui apparivano personaggi omosessuali vennero riadattate. Uno dei primi film a fare le spese per le restrizioni del Codice Hays fu “La Calunnia” di William Wyler.
La versione originale, ossia il dramma teatrale di Lillian Hellman, era la storia di Karen e Martha due ex compagne del college che dirigevano un collegio femminile privato nel Massachussets. Le loro vite verranno distrutte dalla crudeltà di una bambina, l’odiosa Mary Tilford che, a causa di un capriccio, per vendicarsi di una punizione racconterà a sua nonna che il rapporto tra le due insegnanti non è convenzionalmente accettabile. Il pettegolezzo arriverà immediatamente alle orecchie dei genitori e, conseguentemente, le vite di Karen e Martha non saranno più le stesse.
“La Calunnia”, uscito nel 1936, avrebbe dovuto essere il primo adattamento cinematografico della piece teatrale.
La storia subì numerosi cambiamenti per essere adeguata alle norme che vigevano all’epoca. La presunta attrazione tra le due insegnanti, interpretate da Miriam Hopkins e Merle Oberon, venne tramutata in un triangolo amoroso eterosessuale. Nel film di Wyler infatti, Karen è in procinto di convogliare a nozze con il suo fidanzato, il dottor Joe Cardin (Joel McCrea), quando scopre che anche la sua socia Martha si è innamorata di lui.
Secondo il Codice Hays, l’omosessualità era considerata una perversione sessuale del tutto inaccettabile, era quindi impossibile che potesse essere mostrata in un film. Una donna che invece si innamorava di un uomo, anche se fidanzato con un’altra e prossimo alle nozze, era socialmente tollerabile.
Scontento del risultato finale e volenteroso di adattare fedelmente l’opera di Lillian Hellman, quasi trent’anni dopo Wyler girò “Quelle Due”, con protagoniste questa volta Audrey Hepburn (Karen Wright) e Shirley MacLaine (Martha Dobie). La trama risultò molto più fedele a quella del dramma teatrale, anche se, nonostante i lievi cambiamenti apportati al Codice, alcune scene dovettero essere tagliate per non correre il rischio che la censura vietasse la produzione del film.
La stesura iniziale di “Quelle Due” prevedeva che tra Martha e Karen ci fossero delle scene piuttosto intime, che potessero indurre il dubbio che tra loro ci fosse del tenero, come sguardi intensi e carezze.
“Quelle Due” è un perfetto esempio di quanto il Codice Hays avesse subito degli ammorbidimenti, anche per permettere alle produzioni americane di tenere il passo con i film stranieri non soggetti alla censura, ma anche di quanto le pellicole ne fossero ancora influenzate. La natura omosessuale dei personaggi poteva in qualche modo essere rappresentata purché, in un modo o nell’altro, essi si rendessero conto e si auto convincessero che in loro ci fosse qualcosa di “sbagliato”, dopo aver subito le sentenze delle persone eterosessuali.
Nella maggior parte dei casi, dopo un cammino psicologico travagliato ed esasperante, il personaggio omosessuale doveva andare incontro ad finale tutt’altro che lieto.
Questo è quello che accade al personaggio di Martha (Shirley MacLaine). Dopo essere stata accusata ed emarginata dai suoi concittadini, e dopo aver tentato in tutti i modi di rinnegare i suoi sentimenti per Karen (Audrey Hepburn), ha un crollo emotivo e psicologico e scoppia in una profonda disperazione. Non tanto perché è consapevole che Karen non prova le sue stesse emozioni, ma perché sente che in lei c’è qualcosa di sbagliato. Come la società la induce a credere. Martha si sente colpevole di essere “diversa”, si sente “sudicia”.
Ma poi, colpevole per cosa? Per provare amore?
La profonda disperazione in cui Martha è caduta la porterà a compiere un gesto estremo, in un finale che rappresenta perfettamente il falso perbenismo borghese. Un mondo bigotto e puritano sempre pronto a puntare il dito e a condannare chi veniva considerato “diverso”.
L’interpretazione di Audrey è quanto mai superba alla fine del film. Mentre esce dal cimitero dopo aver dato un ultimo saluto alla sua amica, procede a passo spedito guardando dritto di fronte a sé, circondata e osservata dalle stesse persone che l’avevano condannata senza appello, consapevole di poter vivere una vita libera dal giudizio.
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