“La vita non è degna d’essere vissuta se non siamo disposti a morire per coloro che amiamo e per ciò in cui crediamo…” (“Selma – La strada per la libertà”)
Il 4 aprile 1968, viene assassinato a Memphis, nel Tennessee, Martin Luther King Jr, in circostanze mai chiarite.
Parliamo di un predicatore di Atlanta. Un semplice pastore protestante, che decide di mettere in gioco la propria vita per un ideale, consapevole dei rischi, del pericolo di morte, e della brutalità e della crudeltà con cui la maggior parte dei bianchi avrebbero guardato e offeso lui e la sua gente.
Un uomo comune che decide di ergersi a esempio, per migliorare la vita del suo prossimo. Un uomo di Chiesa che sceglie la propria battaglia e la accoglie dentro di sé, fino alla fine, per i diritti civili della comunità afroamericana.
L’evento da cui nasce il movimento per i diritti civili dei neri americani risale appena al 1955: è il boicottaggio degli autobus di Montgomery (Alabama), per protestare contro l’arresto di Rosa Parks. Allora era previsto che i neri dovessero cedere il posto ai bianchi qualora l’autobus fosse pieno, e la donna afroamericana si era rifiutata di farlo.
Tuttavia, il movimento contro la segregazione razziale raggiunge una dimensione di massa solo qualche anno dopo, nei primi anni Sessanta, sotto la guida del leader che vogliamo celebrare oggi.
“Selma – la strada per la libertà” è un film del 2014 con la regia di Ava Marie DuVernay, che ripercorre gli eventi svoltisi a Selma, cittadina dell’Alabama, tra il 1964 e il 1965.
Nella narrazione dei fatti accaduti, le idee di libertà, di pari opportunità e di comunità risplendono e colpiscono forte attraverso la rappresentazione della frustrazione e della sofferenza di chi vede ogni giorno i propri diritti calpestati; la propria dignità annullata; e la propria identità beffeggiata. Il protagonista del film, infatti, non è il personaggio del Dottor King, come lo chiamano i suoi compagni e le sue compagne di viaggio, ma è la via verso la giustizia, che, per poter essere percorsa, attraversa non pochi ostacoli.
Il governatore dell’Alabama di quegli anni è George Wallace, ben conosciuto per aver tentato di impedire la desegregazione dell’Università dell’Alabama e l’entrata ai corsi dei primi due studenti neri, nel giugno del 1963.
Il presidente degli Stati Uniti d’America è Lyndon B. Johnson, personaggio democratico, vicino agli ideali e alle richieste avanzate dal movimento guidato da Martin Luther King Jr, nonché collaboratore di quest’ultimo.
L’Alabama, assieme agli altri Stati del sud, non è un posto sicuro per gli afroamericani.
Le aggressioni fisiche, verbali e psicologiche sono all’ordine del giorno, da parte della popolazione locale bianca, ma anche e soprattutto da parte delle autorità. Stando alla legge, un nero americano gode del diritto al voto come un bianco americano. Tuttavia, le leggi che vigono nello Stato di George Wallace non sono quelle federali e il risultato è un’intera popolazione al sicuro soltanto se confinata in sé stessa.
In questo contesto prende forma la pellicola cinematografica “Selma”. Già nel primo istante di questa, ci si ritrova a dover fare i conti con uno sguardo intenso, profondo e severo, dritto dritto nella macchina da presa.
Pochi titoli d’apertura ed eccola lì, un’anima sensibile, umana e pragmatica che, attraverso gli occhi, interpella proprio te. Sembra dirti di non muoverti e di restare lì a guardare.
È lo sguardo di Martin Luther King Jr, interpretato dall’attore britannico David Oyetokunbo Oyelowo.
È il 14 ottobre 1964 e il leader del movimento per i diritti civili si sta preparando per ricevere il Premio Nobel per la pace; ciò che sente dentro di sé, tuttavia, è un forte senso di colpa. Vorrebbe stare tra la sua gente, uccisa, discriminata e aggredita per le strade, e non perdere tempo tra vestiti eleganti e ambienti raffinati.
Nella scena immediatamente successiva alla cerimonia di premiazione, infatti, ecco che la violenza e l’ingiustizia che caratterizzeranno il resto della pellicola si fanno strada.
Siamo all’interno di una chiesa della comunità nera e quattro bambine scendono le scale della cappella per dirigersi a messa; poi lo scoppio. Quello che vediamo rappresentato è l’attentato dinamitardo alla chiesa battista di Birmingham (Alabama) del 1963, che uccise quelle quattro bambine e ferì circa venti persone afroamericane lì presenti.
Sono anni in cui la violenza sulla comunità nera appare legittima agli occhi di gran parte della popolazione statunitense; anni in cui chiunque, se nero, può temere per la propria vita ovunque si trovi; anni in cui le forze dell’ordine sono in prima linea per compiere ingiustizie e difendere la propria libertà di fare del male al prossimo, se nero.
Tuttavia, sono anche anni di risposta all’odio, con propositi di pace, speranza e fede. Ed è commovente come la regista del film abbia deciso di rappresentare questo episodio così feroce.
La macchina da presa si muove, infatti, lentamente verso l’alto, con lo sguardo ai corpi e le macerie. Una luce chiara si diffonde nello spazio ed una musica grave ma limpida accorre come per cantare l’ascesa al Cielo di quelle anime vittime dell’odio, come a dire “niente e nessuno sarà dimenticato, e ognuno sarà accolto tra le braccia sicure e giuste del Signore”.
La non-violenza praticata dal pastore King lo rende caro non soltanto a gran parte della popolazione bianca mondiale, ma anche e soprattutto al Presidente degli Stati Uniti, che lo accetta come guida del Movimento per i Diritti Civili e stabilisce con lui un dialogo continuo, sebbene non privo di tensioni.
Come abbiamo già detto, il voto della comunità afroamericana è costantemente sabotato negli Stati del Sud da parte delle autorità competenti, e la richiesta che Martin Luther King Jr avanza al Presidente è quella di firmare una nuova legge che ribadisca in modo più forte quel diritto di voto, ancora di fatto inesistente. È per convincere il Presidente Johnson ad agire, infatti, che organizza una serie di marce pacifiche nella cittadina di Selma, che diventeranno sedi di una violenza crudele.
La prima marcia ha come destinazione il tribunale della città.
Decine di donne e uomini afroamericani si inginocchiano di fronte all’edificio con le mani dietro la nuca, per ribadire la natura pacifica della protesta. La bestialità dello Sceriffo Clark lì presente, però, non si lascia toccare da questo gesto ed emerge contro un anziano che non riesce ad inginocchiarsi, provocando la reazione (non violenta) del nipote di questo. Proprio nel momento in cui lo Sceriffo prende il manganello viene fermato da un brusco colpo di borsetta da parte di una delle manifestanti.
Martin Luther King Jr già sa che un gesto simile, sebbene legittimo, avrà delle conseguenze tremende; conosce lo Stato dell’Alabama e sa di cosa siano capaci le persone ostili al suo movimento. La vendetta da parte delle autorità, infatti, non tarda ad arrivare, quando il governatore Wallace, venuto a conoscenza degli avvenimenti, suggerisce una mossa. Le forze dell’ordine dovranno approfittare della temporanea assenza del pastore, che si allontanerà per partecipare ad una raccolta fondi, per colpire una piccola marcia pacifica che, sanno, si terrà di lì a pochi giorni.
Sarà in questo contesto che il giovane Jimmie Lee Jackson, il ragazzo che aveva voluto difendere il nonno dall’aggressione dello sceriffo, perderà la vita.
La morte del giovane, come gli eventi del film descritti fin adesso, è ispirata alla vera storia di quegli anni ed è una delle cause che contribuirà ad alimentare ancora il desiderio di riscatto sociale all’interno della comunità dei neri d’America. Sempre al 1965 risale un’altra morte significativa, causata anch’essa da un’aggressione, ed è quella di Malcolm X.
Quest’ultimo rappresentava l’altra faccia della medaglia della lotta per i diritti civili degli afroamericani. Criticava la non-violenza promossa da Martin Luther King Jr, rifiutava l’aiuto dei bianchi alla propria causa, e voleva un movimento apertamente violento, in risposta alla violenza che la sua gente era costretta a subire. Nel corso della sua vita, però, Malcolm X arrivò a cambiare la propria posizione, originariamente così radicale, e avvicinandosi alla figura del pastore protestante per offrirgli la propria amicizia. L’atmosfera all’interno del movimento è tesa e il pericolo della morte si fa sempre più vivo.
“Mi sono abituata a molte cose, […] nel bene e nel male, ma quello a cui non mi abituerò mai è la morte, la costante vicinanza della morte. È come una specie di nebbia per me. Così fitta da non riuscire a vedere la vita, perché sono avvolta di continuo da questa gelida nebbia di morte.” questo confida la Signora King al marito ed è in questa atmosfera gelida di morte che le pressioni al Presidente Johnson aumentano. Il Congresso dei leader cristiani degli Stati del Sud (SCLC), di cui King è membro e fondatore, minaccia una marcia da Selma a Montgomery per ottenere quella legge sul voto che il Presidente non è ancora disposto a concedere.
Nonostante la contrarietà di Johnson, King mantiene la propria parola ed i preparativi per la marcia hanno inizio.
Particolarmente suggestiva è l’organizzazione di veri e propri incontri al fine di allenare i manifestanti a non reagire di fronte alle provocazioni delle autorità e delle persone razziste che incontreranno.
Centinaia di neri americani iniziano così una protesta pacifica, lasciandosi il centro di Selma alle spalle; tuttavia, alle porte della cittadina li attende, ancora una volta, una violenza atroce.
La risonanza mediatica dell’evento è straordinaria.
Migliaia di stazioni radiofoniche e canali televisivi trasmettono le notizie e le immagini sconvolgenti degli scontri che si verificano sul ponte di Selma. Le forze dell’ordine gettano fumogeni per nascondere con una fitta nube le proprie azioni brutali; ciò nonostante, le immagini degli episodi di violenza riescono a raggiungere settanta milioni di spettatori e ascoltatori.
L’elemento della polizia a cavallo è fondamentale. La presenza di questa riporta alla mente immagini lontane nel tempo, ma forti e cocenti. Subito si avverte un senso di ingiustizia, iniquità e rabbia. Ciò a cui ci si ritrova a pensare è, infatti, la figura del dragone russo, presente nella maggior parte dei film di produzione sovietica degli anni Venti del secolo scorso, ma anche in rappresentazioni successive della Russia di quell’epoca, come Il Dottor Zivago: emblema della repressione, della prepotenza e della sopraffazione, il dragone russo rappresenta chi attacca senza umanità la gente indifesa che marcia per il pane e per i propri diritti.
Le forze dell’ordine che bloccano i manifestanti di Selma sono veri e propri dragoni russi, temibili, imponenti e pericolosi.
A questo trionfo di ingiustizia sociale, Martin Luther King Jr risponde con un appello, trasmesso in televisione su scala nazionale.
“Mentre la furia della violenza e dell’odio si abbatteva con forza sulla gente inerme di Selma […] nessun americano poteva evitare di ritenersi responsabile di questa brutalità, poiché siamo tutti responsabili del nostro prossimo. Io mi appello alle donne e agli uomini di Dio che hanno cuore e animo buono, neri, bianchi o di altro colore. Se voi pensate che tutti gli uomini siano uguali, venite a Selma, unitevi a noi, unitevi alla marcia contro l’ingiustizia e la disumanità!”
Migliaia di uomini e donne, d’ogni fede religiosa ed estrazione sociale, giungono così a Selma, per dar vita ad una nuova, grande marcia di protesta; contravvenendo alle indicazioni del governatore Wallace e del Presidente degli Stati Uniti in persona. Quando, tuttavia, le forze dell’ordine liberano il passaggio, che era stato negato nella marcia precedente, Martin Luther King Jr si rende conto di una grande verità. La marcia non avrà senso finché non ci sarà una legge che tuteli davvero i diritti civili della sua comunità; fino a quel momento, marciare significherà soltanto andare incontro ai violenti e ai razzisti, sacrificandosi per nulla. “Il nostro obiettivo è votare, non marciare” dirà.
Così rinuncia a marciare.
Dal momento in cui anche molti bianchi esprimono il proprio supporto alla causa dei neri d’America, diventano anche loro bersaglio di aggressioni; è a seguito di una di queste aggressioni che il reverendo James Reeb, partito da Boston per prendere parte alla marcia, perde la vita.
Particolarmente interessante è come nel film venga notato l’atteggiamento di rispetto e sostegno tenuto dal Presidente Johnson nei confronti della vedova dell’uomo, a dispetto di un non-atteggiamento tenuto nei confronti della famiglia di Jimmie Lee Jackson, ignorata totalmente. Il Presidente, in questo caso, è un vero e proprio simbolo; un simbolo di come giri il mondo in quegli anni, nonostante gli ideali e i valori personali, indipendentemente da lui; di cosa appaia spontaneo e doveroso e cosa no; di come addolorarsi per la morte di un bianco appaia più naturale che addolorarsi per la morte di un nero.
Quando un processo in tribunale, che vede contrapporsi il SCLC e lo Stato dell’Alabama, vede la vittoria di King e l’ottenimento ufficiale del diritto di marciare da Selma a Montgomery, il Presidente Johnson prova a raggiungere un accordo con il governatore Wallace, per lasciare che la marcia abbia luogo senza spiacevoli sorprese. Durante un interessante dialogo, il Presidente si rende conto della meschinità dell’altro, e decide di volersi distinguere da personaggi simili.
E’ finalmente pronto a proporre al Congresso la legge sul voto richiesta dal movimento per i diritti civili.
Il progetto di una marcia da Selma a Montgomery torna così ad avere un senso per il leader Martin Luther King Jr e viene dunque portato a compimento, con la partecipazione attiva di personaggi mondiali come Nina Simone, James Baldwin, Bill Cosby e Harry Belafonte (nel film non rappresentati); circa ottomila sono i manifestanti che partono da Selma la domenica del 21 marzo 1965. E circa venticinquemila sono quelli che arrivano al Campidoglio dello Stato dell’Alabama a Montgomery il 25 marzo. È di fronte all’edificio che King sceglie di tenere un discorso di fede e giustizia, di speranza e fraternità; rifiutando i consigli di rimanere in silenzio, rifiutando di nascondersi, nonostante le minacce reali di un attentato alla sua vita proprio in quella sede
Il suo esempio non basterà ad impedire che la violenza, l’odio e il razzismo dilaghino ancora e vengano perpetrati sia da persone comuni che dalle autorità. L’attivista Viola Liuzzo sarà una delle prime vittime subito dopo il discorso del pastore, assassinata da tre membri del Ku Klux Klan, poi assolti da una giuria totalmente bianca dello Stato dell’Alabama. Tuttavia, l’esempio di Martin Luther King Jr rimane vivo nella storia e nei cuori della gente che lo ha seguito e ha creduto in lui, nella sua fede, nella sua perseveranza, nella sua umanità e nel suo senso di giustizia. L’esempio di Martin Luther King è ancora oggi una luce nitida e solenne pronta a guidare chiunque voglia lasciarsi illuminare da lui, chiunque voglia vedere la nascita di un mondo finalmente giusto e pacifico, così come lui lo sognava.
“Selma – La strada per la libertà” nel 2015 venne candidato a due premi Oscar: miglior film e miglior canzone. Quell’anno vinse “Glory“, la canzone per la libertà scritta e interpretata da Common e John Legend.
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