Los Angeles 1969. Sergio Leone in procinto di iniziare le riprese di “Giù la testa”, si trovava nella Città degli Angeli insieme al suo grande amico, nonché co-sceneggiatore del film, Luciano Vincenzoni, per acquistare i costumi. I due amici vennero invitati ad una festa che si sarebbe tenuta pochi giorni dopo, organizzata dalla giovane attrice Sharon Tate, moglie del regista Roman Polanski, nella loro villa situata sulle colline di Bel-Air, nella famosa Cielo Drive. Stuzzicati dall’idea di svagarsi un po’, Leone e Vincenzoni accettarono volentieri l’invito.
(S)Fortuna volle che lo sceneggiatore venne contattato da un suo amico di vecchia data, nonché boss della casa di produzione United Artists, Jack Beckett, che lo invitò a passare qualche giorno a casa sua a San Francisco. Luciano Vincenzoni, non poteva certo rifiutare l’invito di un così illustre personaggio. Dovette quindi declinare la festa di Sharon Tate, lasciando Sergio Leone solo a Los Angeles. Arrivò quindi la fatidica e tragica notte tra l’8 e il 9 agosto.
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La sera in cui quattro adepti della Manson Family fecero irruzione nella villa di Polanski ed uccisero tutti i presenti alla festa. Compresa Sharon Tate che all’epoca era incita di otto mesi.
La notizia sconvolse l’America e venne trasmessa in tutti i notiziari.
Il mattino seguente Vincenzoni, ignaro che Sergio Leone avesse all’ultimo momento deciso di non unirsi alla combriccola, telefonò immediatamente all’hotel dove alloggiava il suo amico chiedendo di farsi mettere in contatto con la camera di Leone. Quando il regista romano rispose al telefono disse al suo amico che, vista la sua scarsa conoscenza dell’inglese, aveva deciso di non andare ad una festa dove si sarebbe trovato con persone che conosceva a malapena. La sua decisione di rimanere in camera a guardare un film fece in modo che non venisse ucciso dai Diavoli di Manson. E gli diede la possibilità di girare capolavori come “Giù la testa” e, soprattutto, “C’era una volta in America”.
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Quattro anni prima…
Le pagine iniziali del romanzo, raccontano la storia di tre bambini che, durante una lezione sognano di andare nel west ed unirsi alla banda di Jesse James. I tre ragazzini in questione erano David “Noodles” Aaronson, Maximilian “Max” Bercovicz e Philip “Cockeye” Stein, coloro che 19 anni dopo, insieme a Patrick “Patsy” Goldberg, sarebbero diventati i protagonisti del più grande capolavoro del regista italiano… “C’era una volta in America”.
Leone sognava un soggetto così da decenni, ad inizio carriera, da quando aveva progettato di girare un film che avrebbe intitolato “Viale glorioso”, un lavoro autobiografico ispirato alla sua infanzia nel quartiere di Trastevere. Viale glorioso, era infatti la strada di Sergio Leone e della sua banda di amichetti, dove, quando erano ragazzini, scendevano giù dalle scalinate con delle grandi tavole di legno, giocavano a lanciarsi i sassi e si battevano con i rivali del quartiere vicino.
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Leone, voleva che “Viale glorioso” fosse la sua Via Pal. Ma Fellini lo anticipò sul tempo girando quel capolavoro che è tuttora, “I Vitelloni”. I due film avevano infatti contenuti troppo simili tra loro. Il padre dello spaghetti western dovette quindi inchinarsi al volere di Fellini ed abbandonare il suo ambizioso progetto.
E poi arrivò “Mano armata” che, grazie alla voce del narratore che raccontava gli atteggiamenti e i dialoghi tra gangster. E, ovviamente, gli scontri tra bande rivali. Sembrava essere concepito come un copione noir cinematografico.
La storia era talmente ben raccontata che persino Grey stesso faceva fatica a ricordare quale parte fosse vera e quale fosse quella inventata. I racconti riguardanti l’infanzia erano tutti autentici, ma per le scorribande di Noodles, Max, Cockey e Patsy in versione adulta, lo scrittore aveva adattato le storie agli standard del cinema dell’epoca. Elevando all’ennesima potenza il mito del gangster.
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“C’era una volta in America” rappresenta per Sergio Leone la sua seconda occasione.
Grazie all’opera di Harry Grey, trovò infatti il modo di poter realizzare il film della sua vita. Ambientato nei quartieri decadenti di New York, “C’era una volta in America”, racconta le scorribande di quattro amici alle prese con le pessime condizioni di vita in cui si trovavano con le loro famiglie. Con l’obiettivo di diventare uomini di successo, e il sogno di un’America che per Leone simboleggiava la Mecca cinematografica.
In un arco di tempo che va dal 1920 fino alla fine degli anni ’60, Leone ha raccontato una “favola per adulti” (come lui stesso definiva i suoi film) attraverso gli occhi di un sognatore, Noodles, che fin da bambino brama l’amore di Deborah.
Deborah rappresenta l’America per Noodles. Il raggiungimento del suo più grande sogno. Ma viene sedotto dal suo lato oscuro, Max, il suo migliore amico, che lentamente lo allontana dalla realizzazione del suo desiderio, rappresentato da Deborah. Questo aspetto viene decisamente ancor più enfatizzato nel romanzo di Harry Gray, in cui Noodles spesso si trova a sognare ad occhi aperti e a parlare più volte della sua ambizione di diventare uno scrittore.
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Non solo Noodles, ma tutti i protagonisti, si trovano intrappolati in quella che sembra essere un’America piena di illusioni e di sogni infranti. Una realtà che non offre alcun punto di evasione o di salvezza, a differenza dei precedenti film di Sergio Leone, i famosi spaghetti western, in cui i personaggi sembravano avere ampia possibilità di scelta.
A differenza del romanzo, che si conclude con il tradimento di Noodles con la conseguente fuga da New York, il film di Sergio Leone riserva una parte della storia al ritorno di David Aaronson nella Grande Mela.
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Il finale creato dal regista è sicuramente uno dei più enigmatici della storia del cinema, rappresentato dall’iconico sorriso di Noodles mentre si trova in una fumeria d’oppio. Il film inizia e finisce con l’immagine di Noodles disteso su una branda a fumare oppio, con in faccia stampato un sorriso che lentamente svanisce con l’affiorare dei ricordi, e con accanto il giornale che enuncia la morte di Max, Cockey e Patsy.
Le interpretazioni sono molteplici, ma la più conosciuta è “La teoria del sogno”, secondo la quale tutto ciò che succede dal 1933 in poi è solamente un sogno allucinogeno causato dall’oppio. Noodles non avrebbe mai lasciato la fumeria, immaginando una realtà alternativa per sopprimere il dolore dopo aver appreso della morte dei suoi amici. Il futuro creato da David è solamente un’allucinazione creata dalla sua mente per donare un po’ di pace a se stesso, mettendo a tacere i fantasmi del passato. Un futuro che guarda caso si svolge nel 1968, anno in cui i sogni e l’immaginazione erano il pane quotidiano dei movimenti giovanili.
Nel momento stesso in cui Noodles inizia a sorridere, comincia il suo “C’era una volta…”, in cui rivive il suo passato e immagina come potrebbe essere il suo futuro.
D’altro canto, c’è chi sostiene che essendo il 1933, Noodles non avrebbe mai potuto sognare eventi come la guerra in Vietnam o la musica dei Beatles, poiché tutte queste cose non erano ovviamente ancora accadute.
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L’ambiguo sorriso finale di Robert De Niro, sarebbe indotto da un dettaglio colto nei ricordi grazie al quale raggiunge la consapevolezza che Max non è morto. Ma ha bensì inscenato tutto per salvarsi la vita. L’obiettivo di Max sarebbe quello di allontanarsi definitivamente da Noodles, lasciandolo, oltre che solo, libero di scegliere il proprio futuro.
Neppure Sergio Leone si è mai sbilanciato, senza confermare né smentire nessuna delle due teorie.
“C’era una volta in America” è un film sull’infanzia perduta, su quella parte di vita che una volta rotta nessuno può rimettere a posto. Una frattura che si concretizza in tre momenti cruciali del film: la morte di Dominic, l’arresto di Noodles e il rilascio di quest’ultimo. Noodles, Patsy, Cockey e il piccolo Dominic sono cresciuti in un quartiere povero. Dove la criminalità è probabilmente l’unica maniera per fare strada e mettere insieme un po’ di soldi. Costretti a diventare grandi troppo presto, i quattro ragazzini cominciano da giovanissimi a lavorare per Bugsy, un ragazzo più grande già a capo di una gang.
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Ma improvvisamente un bel giorno arriverà Max, un ragazzo con la mente già proiettata verso il futuro, con le idee già chiare sul cammino da percorrere.
Il primo passo è quello di staccarsi da Bugsy per cominciare a lavorare in proprio. Grazie all’intraprendenza di Max e all’ingegno di Noodles, i cinque ragazzi (compreso Dominic), cercheranno di creare un proprio giro d’affari proponendo le loro idee ai gangster di New York. Ma sarà la morte di Dominc a cambiare definitivamente il loro futuro. Il passaggio cruciale dall’infanzia alla cruda realtà sarà devastante e fatale non solo per Dominic, ma anche per Noodles che finirà in galera per undici anni, per aver cercato di vendicare l’amico. Una volta uscito di prigione Noodles, troverà tutta la sua vita completamente cambiata. Non è più un ragazzo, è un uomo.
Legati da un’amicizia fraterna, Max durante la sua scalata nel crimine organizzato non smetterà di includere Noodles nei loro giri d’affari. Una volta scontata la sua pena, uscirà dal carcere e una volta ringraziato Max per essersi occupato per anni del benessere della sua famiglia, scoprirà di aver a disposizione un discreto capitale. Difatti negli anni Max e compagni hanno creato un impero redditizio divenendo delle personalità importanti nel crimine organizzato. Gestiscono, tra altri molteplici affari, il club notturno “Fat Moe’s”, una delle loro attività più fruttuose durante l’epoca del proibizionismo.
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Sebbene intelligente e ricco di inventiva, Noodles ha sempre avuto una qualche dipendenza da Max. Persino quando si trova a dover scegliere tra Deborah (l’amore della sua vita) e Max, non può fare a meno di rispondere alla chiamata dell’amico. “Corri Noodles, che mamma ti chiama”, come gli dice più volte Deborah, quasi per sfidare il ragazzo e poi l’uomo.
Come un burattinaio, Max muove i fili della vita di Noodles da sempre, con le sue manie di potere pretende che tutti, specialmente Noodles, siano sempre a sua disposizione. Già dalla sua prima entrata in scena, Sergio Leone ci presenta Max come un leader. Entra in campo seduto su una poltrona, su un carro pieno di poveri averi della sua famiglia, ed è fiero e sicuro come un re. Da quel momento in poi, dopo l’incontro con l’amico di una vita, Noodles, l’esistenza di David Aaronson cambierà.
Da timido “Scarafaggio” affascinato da Deborah, una creatura angelica che danza fra i sacchi di farina del bar di Moe, Noodles si trasformerà in una pedina sulla scacchiera di Max. Condizionato nella crescita e negli affetti, da una vita misera. Povera e senza alcun futuro. Dagli anni trascorsi dietro le sbarre e da un’esistenza già tutta organizzata dall’amico Max che tutto gli ha dato e tutto gli prenderà, Noodles reprimerà così tanto i propri sentimenti verso Deborah, che sarà incapace di prendere decisioni sensate per il proprio futuro. Diventando il peggior nemico di se stesso.
Noodles è violento, possessivo e incapace di controllare i propri impulsi.
Abituato a prendere ciò che vuole con la forza è talmente influenzato da un passato criminale da essere facile preda ad attacchi di violenza. Basti pensare a come si comporta con il genere femminile.
Da ragazzino è totalmente incapace di approcciarsi ad una ragazza che la sua prima volta sarà con Peggy, il cui affetto può essere comprato con un dolcetto. Finirà poi in galera. Con gli anni crescerà e non avrà modo di sviluppare la propria personalità e il giusto desiderio e comportamento verso una donna. Di fatto, le sue esperienze sessuali una volta libero si ridurranno all’incontro con una prostituta organizzato da Max, a Carol, la dipendente di una banca che la banda rapinerà. A Deborah, con cui perderà ogni speranza e ogni ragione esistente perché userà violenza su di lei. Chiudendo definitivamente il sipario sulla loro storia.
E quando la rivedrà, nel 1968, ogni cosa sarà cambiata. Noodles sarà un uomo anziano, stanco, affranto e deluso dalla vita. Mentre Deborah avrà raggiunto il successo che tanto agognava. Sarà proprio in teatro, dopo averla vista interpretare Cleopatra, che Noodles si renderà conto di quanto tutto sia cambiato. Scoprirà che Deborah è da anni l’amante di Max, che nel 1968 sarà conosciuto come Senatore Bailey. Ma le sorprese per Noodles non finiranno qui.
Quando Noodles deciderà di aprire la porta del camerino, varcherà le soglie del tempo.
Correndo il rischio di “trasformarsi in una statua di sale”, incontrerà un giovane Max che altri non è che David, il figlio del senatore Bailey.Tutti i ricordi del passato riaffiorano. I brividi salgono e Noodles capisce tutto. In questi cinquanta secondi di scambi di sguardi e di piccole ma significative espressioni, la musica di Ennio Morricone (“Friendship and Love”), diventa maestosa e tenera allo stesso tempo. Il Maestro incornicia ogni attimo con la sua colonna sonora. Costantemente e perfettamente presente per tutto il film. Perché come Sergio Leone stesso ammise: “Non potrei mai andare sul set se non avessi già a disposizione la musica di Ennio”.
Ed è nell’ufficio del Senatore Bailey che il sogno di Noodles giungerà al termine. Sono passati più di trent’anni dall’ultima volta che Noodles ha visto Max. Anni in cui Noodles ha potuto vivere la propria vita senza costrizioni, senza fili. Faccia a faccia con il fantasma dell’amico che era un tempo, nessuna delle provocazioni di Max riesce a scalfire la corazza di Noodles.
“Ho rubato la tua vita è l’ho vissuta al posto tuo. Ti ho preso tutto. Ho preso i tuoi soldi. Ho preso la tua donna”, gli sussurra Max. Ma per Noodles niente cambia. I bei tempi andati, quando da ragazzi giocavano a fare i gangster, scorrono nella mente di David fino al momento in cui tutto è cambiato: la morte di Dominic. I ricordi si spezzano nella mente di David Aaronson pochi secondi prima che lo sparo colpisca il loro amico. E poi tutto diventa nebbia. Tuttavia di fronte al Senatore,Noodles rimane impassibile. Max non ha più alcun potere su di lui. Noodles è finalmente libero.